Donato Moscati
C’è una via a Serripola, una frazione di San Severino Marche, dedicata ad un medico ebreo romano, un medico che ha combattuto per la liberazione dal nazifascismo, quel medico aveva il nome di Mosè Di Segni. Abbiamo chiesto a Rav Riccardo Di Segni, terzo figlio di Mosè, di raccontarci la storia di Resistenza del padre. Mosè Di Segni è un pediatra che si è pagato gli studi scrivendo per «Il Giornale d’Italia» e proprio la conoscenza con un giornalista lo porterà a scappare dalla retata del 16 ottobre 1943.
Alla fine del 1936 viene chiamato come medico militare nella guerra di Spagna, fino al 1938 quando con le leggi razziali viene radiato sia dall’esercito che dall’ordine dei medici con il permesso di poter esercitare solo per gli ebrei.
“Come consigliere della Comunità ebraica di Roma si sentiva nel mirino dei nazisti – racconta Rav Riccardo Di Segni – tanto che durante la giornata dell’oro, quando il comandante della polizia tedesca chiamò il presidente della comunità per ordinare di consegnarli 50 chili d’oro altrimenti avrebbe preso 200 capifamiglia in ostaggio, la polizia fece una perquisizione a casa sua e capì che da lì a poco qualcosa sarebbe successo”.
Mosè così chiama il suo amico giornalista che lo informa che la perquisizione non era su ordine della autorità italiane ma di quelle tedesche.
“Mio padre ebbe così la conferma di essere uno degli obiettivi dei tedeschi così telefonò sua moglie Pina dicendole di prendere i due figli e alcune cose e prepararsi a scappare”
In poco tempo capisce dove poter andare: la destinazione è San Severino, più precisamente Serripola, dove c’è un suo amico farmacista che può aiutarlo e che lo può nascondere in un fienile.
Pensando che le donne fossero meno a rischio, la moglie Pina torna a Roma per prendere qualche indumento più pesante per affrontare l’inverno. Era il 15 ottobre 1943, la stanchezza del viaggio si fa sentire ed indecisa se restare a Roma e ripartire l’indomani mattina o ripartire subito, ripartì subito. Il 16 ottobre 1943 i tedeschi compiono il grande rastrellamento in tutta la città. Anche l’abitazione dei DI Segni, a piazza Benedetto Cairoli, a pochi passi dal Ghetto è tra gli obiettivi, ma è vuota..
Nelle Marche si forma una banda partigiana che fa parte della Brigata Garibaldi, il Battaglione Mario, di cui Mosè diviene medico e custode delle memorie redigendone il diario ufficiale.
Il Battaglione Mario è una formazione partigiana diventata una forza costituita da ex prigionieri alleati, slavi, antifascisti, ex confinati politici ed ebrei ma anche eritrei, somali ed etiopi.
Il fienile dove Mosè con sua moglie e i figli Frida di sei anni ed Elio di tre erano nascosti era diventato una vera e propria infermeria da campo e il luogo dove il battaglione si riuniva per prendere delle decisioni.
“Ci fu un evento drammatico, uno scontro importante dove anche mio padre combatté e per il quale ricevette nel 1948 la medaglia d’argento al valor militare. Un giorno dei primi di Luglio mentre mio padre non c’era ci fu un attacco fascista, al fienile-casa dove stavano mia madre e i miei fratelli e grazie al parroco che chiamò i partigiani i fascisti scapparono. Mio padre raccontava molto poco di quel periodo. Ci ha lasciato i diari ufficiali dove raccontò di scontri di ogni tipo, degli inglesi che paracadutavano dei soldati da infiltrare e che venivano salvati dai partigiani o catturati dai nazifascisti. Ci furono molti atti di sabotaggio e anche la liberazione di un campo di prigionia”.
Nel 2011 San Severino Marche ha conferito la cittadinanza onoraria ai fratelli Frida, Elio e Riccardo Di Segni, figli di Mosè “Questo riconoscimento cementa e rinverdisce il nostro legame con San Severino, che è stato mantenuto sempre vivo attraverso il ricordo di nostro padre – ha sottolineato Riccardo Di Segni -. Siamo custodi di una memoria che deve essere tramandata alle nuove generazioni. Bisogna stringersi attorno alla storia, riscoprire quei valori buoni che hanno consentito all’Italia di superare periodi terrificanti per costruire un’Italia migliore”.
Mosè Di Segni non divenne solo il medico della Brigata ma anche il medico dei bambini del paese, un paese che all’inizio lo guardò con diffidenza ma che poi ne riconobbe il valore, che ne capì la sua partecipazione per la libertà e il suo amore per la Patria che lo aveva rinnegato.