A Termeno la prima tappa degli assassini degli Ebrei
Passarono da Termeno molti nazisti ricercati come criminali di guerra, in fuga dal Reich devastato e sconfitto, indirizzati in quel comune dal vicario della diocesi di Bressanone Alois Pompanin, per ricevere nuovi documenti di identità. Forse qualcuno fece un’ altra tappa – così alla fine degli anni Cinquanta René Preve Ceccon il segretario, anzi il federale del Msi trentino, raccontava al giornalista Massimo Infante capo servizio della redazione del giornale Alto Adige di Trento – anche nei silenti edifici del Seminario Minore. Poi alcuni si imbarcarono a Genova per sparire nell’America del Sud mentre quelli che provenivano dalle Waffen-SS o dalla Luftwaffe, comunque dalla Wehrmacht, presero la via dell’ Egitto o della Siria perché agli arabi interessava avere istruttori militari tedeschi per affrontare lo Stato di Israele. Qualcuno venne accolto negli Stati Uniti; era l’epoca della “guerra fredda” e agli americani serviva l’ esperienza dei soldati germanici che sapevano “trattare” i russi.
Da ricordare che il 29 settembre del 1947, finito il mandato inglese, si decise la spartizione della Palestina in due stati, uno arabo e uno ebraico. Il 14 maggio del 1948 nasceva lo Stato di Israele e subito gli arabi lo attaccarono, i superatiti del nazismo furono gli istruttori della Legione Araba e si trovarono a fianco di istruttori inglesi. Contro gli Ebrei.
Per Termeno, quindi per il porto di Genova e diretto in Argentina, ci passò l’ SS-Obersturmbannführer Adolf Eichmann che aveva organizzato, continuando a perfezionarlo, il traffico ferroviario per il trasporto degli Ebrei ai campi di concentramento, soprattutto in quello di sterminio di Auschwitz. E sempre a Termeno si fermò, giusto il tempo per avere una nuova identità, il medico di quel Calvario dell’umanità, il dottor Josef Mengele chiamato “l’ angelo della Morte” perché smistava, subito dopo l’arrivo dei treni carichi di prigionieri, soprattutto Ebrei, chi doveva essere avviato ai lavori forzati e chi immediatamente soffocato nelle camere a gas. E monsignor Pompanin si diede da fare per trasferire in Argentina anche Erich Priebke uno degli assassini delle Fosse Ardeatine, l’uomo che sbagliò, per eccesso, il conteggio degli Italiani massacrati dalle SS in risposta all’attentato di via Rasella a Roma.
Oltre ai falsi documenti di identità avuti dal comune di Termeno, Pompanin ebbe i passaporti dalla Croce Rossa e così nel giugno del 1948 Eichmann divenne Riccardo Klement, nato a Bolzano, optante e dunque apolide e Priebke si chiamò Otto Pape. Dal 2 gennaio del 1947 e fino all’autunno del 1948 Priebke era vissuto a Vipiteno dove due sacerdoti lo misero in contatto con il Vicario generale di Bressanone dove venne battezzato. Si convertì anche Gerda, la moglie di Bormann che nel 1945 si era rifugiata in Alto Adige.
Certo, il molto reverendo Pompanin non poteva sapere che quelle persone molto distinte, vestite impeccabilmente, sempre cortesi che s’ inchinavano davanti a lui, fossero i protagonisti dell’enorme massacro. Erano anticomunisti, avevano combattuto i bolscevichi e finita la guerra si erano prontamente convertiti al cristianesimo. E questo bastava. Al cristianesimo si convertì anche la moglie di Martin Bormann, forse morto a Berlino, forse fuggito nel Sud America mentre i suoi resti vennero trovati, e riconosciuti, il 7 dicembre del 1972 nella Berlino Est, quella comunista. Il punto del ritrovamento era stato indicato da chi lo aveva sepolto durate le ultime ore della battaglia della capitale del Rerich.
Figura davvero controversa e molto inquietante, comunque simbolo di quei tempi davvero travagliati, quella di Alois Pompanin egregiamente narrata dallo storico Josef Gelmi nato a Cavalese nel 1937 e residente nel Sudirolo. Da ricordare che Gelmi, dopo aver studiato filosofia e teologia nelle severe aule del seminario maggiore di Bressanone era diventato sacerdote nel 1961, l’anno della “Notte dei Fuochi” epoca davvero difficile per il popolo tirolese. Poi all’Università Gregoriana concluse gli studi di storia della Chiesa, si laureò alla Statale di Roma per diventare professore di storia prima a Bressanone e poi alla Facoltà di Teologia di Innsbruck. Dunque, un’ autorità nella storia della Chiesa, soprattutto di quella tirolese e nel volume in lingua tedesca, intitolato “Un capitolo buio nella storia della Chiesa in Sudtirolo” (edito da Weger), Gelmi ha ricordato la figura del vicario generale Pompanin, definito una mente brillante e versatile, illustrando il periodo storico in cui visse e la scelta del vescovo Johannes Baptist Geisler di optare per Hitler.
Pompanin viene concordemente descritto come un convinto sostenitore dell’annessione dell’ Alto Adige all’ Austria “coltivando un’avversione per ciò che riguardava l’ Italia. Per esempio si rifiutò di benedire la guerra di Mussolini contro l’Etiopia – l’Abissinia nel linguaggio dell’epoca – richiesto, e immediatamente ottenuto, a tutte le diocesi dal Governo fascista. Nelle giornate dell’Oro alla Patria, la storica manifestazione del 18 dicembre del 1935 che vide donne e uomini consegnare la fede nuziale, Pompanin convinse il vescovo a vietare in tutte le chiese della diocesi di Bressanone quella pagliacciata fascista, che cementò la stragrande maggioranza degli italiani al Duce.
Fiancheggiò apertamente il nazismo e il 25 giugno del 1940 come vicario generale della Diocesi di Bressanone di fronte alla prospettiva offerta ai sudtirolesi di optare per la cittadinanza tedesca, scelse di diventare cittadino del Terzo Reich mentre la maggioranza del clero sudtirolese preferì conservare lo status italiano. Era il 1940, la Germania sembrava invincibile, il fragore della guerra assordava l’Europa, l’Italia fascista aveva scelto la non belligeranza e in quel frastuono, il grido di dolore dei Dableiber, chiamati anche Nicht-Optanten venne soffocato dal rombo dei cannoni.
Il molto reverendo Pompanin fu anche uno dei protagonisti del fenomeno chiamato “ratline” che nel gergo della marina ai tempi dei velieri indicava la cima che permetteva di salire in testa d’albero. Significa la “linea dei topi” perché nei naufragi si riempiva di ratti in fuga dalle sentine. La condizione? Che si facessero battezzare con rito cattolico
Pompanin come scrive Gelmi, “resse l’allora diocesi di Bressanone con pugno di ferro fino al 1952 quando con la morte del vescovo Geisler finì la sua era. Il vescovo Josepf Gargitter, infatti, su posizioni diametralmente opposte, non lo confermò”. Da ricordare che fra il 1961 e il 1963 Gargitter è stato amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Trento subentrando al Principe vescovo Carlo de Ferrari, un prelato alfiere dell’anti “bolscevichismo” che nel 1942, nel benedire la pietra angolare della chiesa di Cristo Re, pronunciò quel “bene facisti domine col santo manganello”, dove il “domine “ era il federale di Trento e il “facisti” divenne “fascista” nella tipografia del quotidiano “Il Brennero”.
I piani di fuga dalla Germania cominciarono nella primavera del 1944 quando alcuni nazisti compresero che la guerra era perduta. Si prepararono per andare in Argentina o meglio in Patagonia, la terra dove finisce il mondo che negli anni Quaranta era poco conosciuta e raramente esplorata. Scelsero San Carlos de Bariloche città molto simile a quelle svizzere, edificata sulle rive di un grande lago, il Nahuel Huapi dominato dal Cerro Lopez, una cima delle Ande, catena montuosa all’epoca nota dagli Italiani per il racconto “Dagli Apennini alle Ande” di Edmondo De Amicis. Oggi è un famoso luogo vocato al turismo: sci, vela, equitazione, alpinismo e una cucina dove l’asado si mescola alle prelibatezze bavaresi e il vino “tinto” o “blanco” con la birra. Insomma, la Svizzera argentina dove nel 1895 erano arrivati austriaci, tedeschi e veneti questi ultimi della provincia di Belluno. Sarebbero stati loro a portare vitigni molto importanti, piantarli, coltivarli; mezzo secolo dopo i tedeschi accolsero i “camerati” in fuga dall’ Europa: Adolf Eichmann che venne catturato dal Mossad e processato e giustiziato in Israele, il “dottor Morte” deceduto per infarto e quel Priebke trovato da una troupe televisiva americana alla quale disse: Ho solo eseguito gli ordini. E al processo di Norimberga quella giustificazione divise i militari soprattutto americani che si ritenevano obbligati ad una disciplina che impone l’esecuzione degli ordini.
Se Bariloche sorprende per il suo stile svizzero-bavarese, lo stupore coglie chi da Salta va verso Misiones dove fra il 1609 e il 1773 i gesuiti si erano insediati per convertire i nativi Guarani. La “caretera” si allunga con rettifili infiniti nel mezzo di una foresta fantastica. E’ un impenetrabile muro di verde con alberi enormi, altissimi, luogo ideale per i serpenti a sognagli, il “cascabel”, la “vigura” altro serpente mortale, ragni velenosissimi ed esemplari di vedove nere grossi come scarpe. All’ improvviso la foresta si apre, compare un prato tenuto alla perfezione con edifici in perfetto stile bavarese. Di legno, con tetti fortemente spioventi, balconcini con festoni di gerani. Ecco l’insegna di un ristorante, la porta è spalancato, il profumo di birra è acuto. Ad una parete alcune fotografie: sono gruppi di famiglia, le donne in costumi tedeschi, gli uomini in uniforme con sui risvolti delle divise i simboli delle SS. Una fotografia ritrae un gruppo di donne in una sala dove troneggia la bandiera con la svastica; al bar una giovane ragazza racconta che i suoi nonni erano tedeschi, certo militari come tutti; che la Germania aveva perso la guerra. Aveva sentito raccontare che i russi violentavano tutte le donne tedesche. Lei e i suoi amici che si sono radunati, curiosi per quei due turisti arrivati da Trento, parlano solo spagnolo, si salutano con uno schioccante “ola”, sciamano verso un campo da golf che sembra non finire mai. Auschwitz? “Mi pare una città forse vicina a Norimberga”. Hitler? “Sì, era il generale di mio nonno”.
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