Dai Protocolli dei Savi di Sion ai chip nei vaccini
Mattia Giusto Zanon
Il 19 febbraio del 2016 moriva a Milano Umberto Eco. Un anno prima il professore e semiologo ha tenuto una lectio magistralis all’Università degli Studi di Torino dal titolo Conclusioni sul complotto: da Popper a Dan Brown, tracciando un excursus sul complotto, una tendenza antica che continua a influenzare anche il mondo contemporaneo. L’ossessione per il complotto è forse nata con l’essere umano, come ricorda il filosofo Karl Popper ne La società aperta e i suoi nemici, descrivendolo come quella “teoria cospirativa della società che risiede nella convinzione che la spiegazione di un fenomeno sociale consista nella scoperta degli uomini o dei gruppi che sono interessati al verificarsi di tale fenomeno e che hanno progettato o congiurato per promuoverlo”.
Dalle leggende medievali sul fantomatico regno del Prete Gianni, al grande complotto dei Gesuiti di cui parla Le monde malade des jésuites di Joël Labruyère – che li vede spuntare ovunque in veste di responsabili dei massimi eventi della storia –, fino al Pizza-gate, le narrazioni alla base del complottismo sono diverse, ma finiscono sempre per rispondere a uno schema ricorrente. Alla base del complottismo c’è la convinzione che le cose non siano mai come appaiono nella narrazione ufficiale. L’idea che esista un’élite, ristretta ma con ramificazioni capillari in tutti i livelli della società e spesso in tutto il mondo, che controlla le istituzioni per mantenere saldo il potere nelle sue mani, fabbricando una narrazione per la gente comune in modo che non sospetti della sua esistenza o reali intenzioni. Una costante nella riflessione di Eco rimane la convinzione che “la psicologia del complotto nasce dal fatto che le spiegazioni più evidenti di molti fatti preoccupanti non ci soddisfano, e spesso non ci soddisfano perché ci fa male accettarle”.
Nel corso dei secoli questo meccanismo ha dato vita a centinaia di saggi su presunte verità svelate e complotti, dai Protocolli dei Savi di Sion ai Turner Diaries di William Luther Pierce. Pubblicato nel 1978, il libro racconta di un gruppo di suprematisti bianchi e del suo attacco al Campidoglio di Washington nel tentativo di rovesciare il governo degli Stati Uniti, facendo dozzine di morti durante l’assalto, compresi membri del Congresso e il loro staff. Il romanzo è diventato nel corso dei decenni un testo di culto delle frange dell’estrema destra, ispirando stragi come quella dinamitarda di Oklahoma City del 1995, il più sanguinoso attentato terroristico entro i confini degli Stati Uniti prima degli attentati dell’11 settembre 2001, con la morte di 168 persone e il ferimento di 672; il testo ha ispirato anche gli autori del “Nail bombings” di Londra del 1999, in cui bombe a chiodi di fattura artigianale furono fatte esplodere rispettivamente a Brixton, Brick Lane, Spitalfields, nell’East End e nel West End per colpire le comunità nera, bengalese e LGBTQ+ della capitale britannica. La trama del libro trova poi un’eco inquietante nei fatti del 6 gennaio di Washington, dove l’assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori di Trump aizzati dallo stesso ex Presidente ha causato cinque morti.
La comune convinzione è che ci sia sempre un non-detto, un qualcosa di nascosto, un segreto da scoprire e smascherare. Umberto Eco, secondo cui “non esistono segreti importanti”, riprende la concezione di Georg Simmel, sociologo e filosofo tedesco considerato assieme a Durkheim e Weber come uno dei fondatori della sociologia moderna: un segreto è tanto più efficace quanto più è vuoto. “Un segreto vuoto si erge minaccioso e non può essere né svelato né contestato”. Anche perché se veniamo a sapere un segreto questo non lo è già più, dal momento che è stato svelato.
Per questo la forma più raffinata di complottismo non è inventare di sana pianta i fatti, ma confondere i dati reali, tracciando connessioni pretestuose e infondate tra fatti davvero accaduti: un’esasperazione della realtà. La ricetta costante di molte narrazioni del passato è stata quella di portare ai “limiti estremi dell’interpretazione” anche semplici suggestioni. Coincidenze temporali che si fanno certezze, fili rossi che si connettono e che danno conferme, illudono di capire.
Frédéric Lordon, economista e filosofo francese, direttore della ricerca del Centro europeo di sociologia e scienza politica di Parigi su Le Monde Diplomatique ha avanzato l’ipotesi che la sindrome del complotto altro non è che la reazione naturale di individui o un intero popolo che vorrebbero trovare una spiegazione razionale a quanto stanno vivendo, ma hanno la sensazione di non avere accesso alle informazioni necessarie perché gli vengono negate per una precisa volontà dall’alto.
Già prima di social media, fake news e click baiting, spiegava Eco, bastava prendere un paio di analogie tra eventi storici minori, fatti realmente accaduti o presunti, e condirli con una manciata di leggende antiche, di riti e di espedienti narrativi per dare vita a una vera realtà parallela. Come ha spiegato durante il suo intervento all’Università di Torino, “leggo su internet che Lincoln è stato eletto al Congresso nel 1846, Kennedy nel 1946, Lincoln Presidente nel 1860, Kennedy nel 1960; entrambe le loro mogli hanno perduto un bambino mentre risiedevano alla Casa Bianca, entrambi sono stati colpiti alla testa da un sudista, di venerdì; il segretario di Lincoln si chiamava Kennedy e il segretario di Kennedy si chiamava Lincoln, il successore di Lincoln fu Johnson nato nel 1808, eccetera eccetera”. È il fascino delle coincidenze, che conquista molti all’insegna dell’“only connect”, liste di concomitanze che lette con occhi pregiudizievoli e a posteriori diventano i ritornelli virali in stile “Coincidenza-io-non-credo” dell’informazione alternativa.
A queste mitologie che in alcuni casi si auto-avverano si ispirava Il pendolo di Foucault di Eco, dove i redattori di una casa editrice inventavano una trama cospiratoria così vertiginosa, precisa e avvincente che finivano per crederci davvero, cadendo loro stessi nella trama che avevano imbastito. Una realtà parallela come quella in cui vivono i sostenitori del maggiore complotto contemporaneo, per i quali l’attuale mondo pandemico è il frutto di un’oscura trama ordita da Bill Gates e dai suoi complici, affiancati da “cripto-ebrei” miliardari come Rockefeller e Soros, in una riedizione contemporanea del falso conclamato dei Protocolli dei Savi di Sion fabbricati dalla polizia segreta zarista nei primi anni del Novecento. Elemento comune ai complottismi di tutte le epoche resta l’individuazione del nemico, di un gruppo, un’oligarchia di responsabili.
Nel suo romanzo del 2010 Il Cimitero di Praga, Umberto Eco gioca con i cliché antisemiti dell’Ottocento smontandoli uno a uno. Il protagonista del suo libro, Simone Simonini, di mestiere spia e falsario, è un antisemita patologico e finisce non solo per contribuire alla costruzione dei “Protocolli” da parte dell’Ochrana, ma anche a dei falsi documenti utilizzati nell’affaire Dreyfus per condannare ingiustamente l’ebreo francese Alfred Dreyfus, capitano di stato maggiore accusato nel 1894 di aver passato segreti militari alla Germania. Umberto Eco è sempre stato ossessionato dalla costruzione de I Protocolli dei Savi Anziani di Sion, la madre di ogni complotto antisemita, pubblicato per la prima volta in Russia nel 1903. Un testo a lungo considerato autentico, nonostante fosse pieno di contraddizioni interne. Già nel 1921 il Times aveva dimostrato che era in gran parte copiato dal libro del giornalista Maurice Joly Dialogo all’inferno tra Machiavelli e Montesquieu, pamphlet satirico scritto non contro gli ebrei ma contro il dispotismo di Napoleone III. Questo non ha impedito che Hitler continuasse a considerarlo un documento autentico, tanto da portarlo a prova della malvagità ebraica nel suo Mein Kampf, mentre ancora oggi continua ad apparire nelle librerie filonaziste o sulle pagine dei siti di “informazione alternativa”.
Nella costruzione del nemico, diceva Eco, si comincia con l’analizzare come gli avversari non sono tanto i “diversi”, che ci minacciano direttamente come accade con i “barbari”, quanto coloro che qualcuno ha l’interesse “a rappresentare come offensivi anche se non minacciano direttamente, così che tanto la loro minacciosità ne faccia risaltare la diversità, ma la loro diversità diventi segno di minacciosità”.
Pier Paolo Pasolini, più volte accusato di complottismo per il celebre incipit “Io so, ma non ho le prove” usato nell’articolo sulle stragi e sui punti oscuri della storia repubblicana a cavallo degli anni Settanta, ragionò sul tema del complotto in una delle sue ultime interviste nel 1975, tentando di metterci in guardia non tanto dai complotti, quanto dalla tendenza al complottismo, definendola come ciò che “ci libera dal peso di doverci confrontare con la realtà”.
La stessa visione appare nei riferimenti che Eco fa a Dan Brown, ricordandone i goffi tentativi di cercare nelle opere di Leonardo Da Vinci e di Raffaello significati reconditi e nascosti, connessioni incredibili che spieghino i misteri del mondo, finendo per vederci ciò che in partenza aveva deciso di trovare. Lo stesso Dan Brown fu colto dall’abbaglio di interpretare come veritiera saggistica storica un’opera pubblicata negli anni Ottanta, Il Sacro Graal, di Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln, una delle più grandi opere di “pseudo-storia” pop, un libro carico di bufale con una trama confusa che enunciava una presunta cospirazione secolare sulle radici del cristianesimo.
Il bisogno degli esseri umani di credere ai complotti e alle storie che diano una parvenza di razionale all’inspiegabile è antico quanto la nostra storia, come ha spiegato anche Rob Brotherton, ricercatore in psicologia alla Columbia University, nel saggio Suspicious minds: why we believe conspiracy theories(Menti sospettose, perché crediamo alle teorie del complotto): “Le teorie del complotto spesso sono avvincenti, costruite in maniera ingegnosa, e soddisfano in modo egregio certi bisogni che in alcuni sono più pressanti che in altri, per esempio la necessità di dare un senso a ciò che accade, di ridurre la complessità del mondo”.
A cinque anni dalla sua morte e in un mondo sconvolto da una pandemia che in molti non riescono ancora a spiegarsi in modo razionale, il pensiero di Eco torna più attuale che mai. Una riflessione puntuale e utile – usando le sue parole – per “guardarsi dai falsi profeti che vorrebbero riportarci indietro di 70 anni”.