Tratto da “Shabbath – A cura di Augusto Segre”, Ucei 1972
Heinrich Heine
Nelle favole d’Arabia
vedi principi incantati
ritornare al loro aspetto
vero e splendido ogni tanto.
Il peloso orrendo mostro
torna figlio di sovrano,
che amorosamente suona
in sfarzose vesti il flauto.
Ma nel magico scoccare
de l’incanto, vedi a un tratto
dileguarsi ancor Sua Altezza
e ricomparire un mostro.
Ed un principe di sorte
simigliante io canto. Ha nome
Israele. Un sortilegio
trasformato l’ha in un cane.
Cane, con idee canine,
ringhia e sguazza dentro il fango
de la vita per sei giorni,
a ludibrio dei monelli.
Ma quand’è venerdì sera,
al crepuscolo, ad un tratto
l’incantesimo svanisce
ed il cane ancora è fatto
uomo, con affetti umani:
capo eretto, cuore in alto,
lindo, rivestito a festa,
va del Padre a la Dimora.
« Salve a te, diletta Casa
del Sovrano Padre mio!
Le tue soglie consacrate
bacio, o Tenda di Giacobbe! ».
Va per l’aura misterioso
un frusciare, un mormorio:
l’invisibile Signore
come un brivido vi aleggia
nel silenzio. – Ed il sciamàsh
(vale a dire lo scaccino)
sale e scende indaffarato
ad accender le lanterne.
Consolanti lumi d’oro
che balenano splendenti!
Tronfi ceri divampanti
tutt’intorno a la tevà!
Dirimpetto all’arca santa
che racchiude la Torà
dietro serica cortina
ingemmata e scintillante –
canta al pulpito il cantore
per la sua comunità.
E’ un ometto che con garbo
veste il nero mantellino.
Per mostrar la mano bianca
dietro il collo annaspa e, strano,
preme l’indice alla tempia
ed il pollice alla gola.
Cantillante corre lieve
la sua voce, e infine s’alza:
e prorompe in esultanza
l’inno di « Lekhà dodì »!
« Lekhà dodì liqrat càlla –
Vieni, amato, la tua sposa
sta ad attenderti, e ti svela
il suo volto verecondo! ».
Questo bel epitalamio
fu composto dall’insigne
celebrato trovadore
Jehudà ben Halevy.
Esso esalta l’imeneo
di Shabbàth – la Principessa
cosiddetta Silenziosa
con il Principe Israele.
Perla e fiore di bellezza
ella appare, né più bella
fu di Saba la Sovrana
prediletta a Salomone,
quell’etiope saccente
che, per far la spiritosa,
con i suoi sottili enigmi
annoiava a lungo andare.
Questa nostra Principessa
ch’è la personificata
pace, aborre da contrasti
dello spirito o contese.
Le dà noia la sonora
e retorica passione
che prorompe scalpitando
con la chioma scarmigliata.
Le sue trecce ne la cuffia
tien pudica la Silente;
mite sguardo di gazzella,
snella come un mirto in fiore.
All’amato lei permette
tutto, eccetto che il tabacco:
«Mio diletto, non fumare:
oggi è giorno di Shabbàth!
«In compenso a mezzogiorno
sopra il desco una vivanda
fumerà per te: quest’oggi
ci sarà il divino scialet!».
Scialet, splendida scintilla
di Dio, figlia dell’Elisio!
Così Schiller canterebbe
se assaggiato avesse il scialet.
Fu il buon Dio personalmente
a insegnar come si cuoce
questo cibo celestiale
sopra il Sinai, a Mosè,
dove già Domineddio
tutti i buoni e bei precetti
ed i suoi Comandamenti
tra le folgori impartì.
Scialet, del verace Iddio
è l’ambrosia chescerà,
voluttà di paradiso;
al suo gusto confrontata,
è una porcheria d’inferno
quell’ambrosia dei bugiardi
Dei pagani della Grecia
ch’eran diavoli truccati. –
Mangia il principe quel cibo
e il suo sguardo si rischiara;
poi sbottona il suo farsetto
e beato ride e parla:
« Ciò ch’io sento, del Giordano
non è il murmure? O le polle
tra i palmeti di Bet-El
dove accampano i cammelli?
«Non son questi i campanini
de le greggi? e i grassi arieti
che il pastore adduce a sera
dai pedi di Ghileàd?».
Ma il bel giorno impallidisce,
ed a lunghi tenebrosi
passi l’ora maledetta
torna. Ii principe sospira.
Come il ghiaccio degli artigli
d’una strega il cuor gli agguanta.
Già l’orror della canina
metamorfosi l’invade.
Tende a lui la principessa
il suo bossolo di nardo.
Egli aspira lento: ancora
vuoi bearsi un po’ all’aroma.
Quindi al principe ella porge
la bevanda del commiato –
Egli beve in fretta: e lascia
qualche goccia in fondo al nappo
con le quali asperge il desco,
e un lucignolo poi prende
che nell’umidore immerge
fin che sfrigola e si spenge.
(da «Melolie Ebraiche» (Romanzero) Trad. italiana di GIORGIO CALABRESI)