Si può costruire il tabernacolo di shabbat?
Il Signore parlò a Mose dicendo: parla ai figli d’Israele e prendano per me una offerta; prenderete la mia offerta da ogni persona il cui cuore lo spingerà a donare …. E faranno per me un Santuario ……. – tutto l’argomento dalla Menorà, al tavolo e all’altare, ai travi e alla tenda e alle cortine e a tutti gli oggetti del tabernacolo – che scopo hanno?
Hanno detto i figli di Israele di fronte al Signore: Padrone del Mondo! i re delle nazioni hanno una tenda e un tavolo e una Menorà e un incensiere, e queste sono le insegne regali, perché ogni re ha bisogno di questo; e tu sei il nostro re, il nostro redentore e il nostro salvatore: non ci saranno davanti a te le insegne regali, in modo che tutti coloro che vengono al mondo riconoscano che tu sei il nostro re?
(Rispose il Signore) Figli mei, voi siete fatti di carne e sangue e avete bisogno di tutto questo, ma io non ho bisogno di tutto questo, perché davanti a me non c’è cibo, né bevanda e non ho bisogno di luce; e i miei servi lo dimostrano: la luna e il sole illuminano tutto il mondo e io li influenzo con la mia luce e li controllo per merito dei vostri padri.
I figli d’Israele hanno risposto al Signore: Padrone del Mondo! Noi non chiediamo dei padri – perché tu sei il nostro padre, perché Abramo non ci ha conosciuto e Israele non ci riconosce (Isaia 63, 16).
Disse loro il Santo benedetto sia: allora, fate ciò che voi volete, ma fate le cose come io vi comando …… come è detto: “ Fate per me un santuario … fate una Menorà ….. farai un tavolo…. farai un altare per accendere dell’incenso… (Midrash Agadà Terumà 27,1)
Ma qual è la posizione della tradizione sulla costruzione del Tabernacolo?
Uno dei problemi che attraversa il Midrash e poi i commentatori alla Torà, è perché sia necessario esprimere i propri sentimenti con la creazione di una casa che abbia tutti quegli elementi che caratterizzano la vita dell’uomo e dei re di carne e sangue. La domanda è simile anche a quella di Dio, riferita dal profeta Isaia: “Che me ne faccio di tutti i vostri sacrifici?” (Isaia 1:11) e all’accusa che spesso viene rivolta al popolo ebraico per l’attenzione eccessiva che dedicano all’osservanza delle mizvoth nei minimi particolari. In un certo senso, la domanda è quali siano i limiti della “spiritualizzazione” nel modo di servire Dio: l’uso di dedicare ogni minuto e ogni atto al servizio divino serve a mettere al centro della nostra attenzione l’impegno a osservare le mizvoth sempre con entusiasmo.
Il Midrash qui ci dice che se proprio vogliamo in qualche modo “umanizzare” il rapporto con Dio attraverso la creazione di una casa con suppellettili presenti in ogni appartamento, allora dobbiamo farlo eseguendo la volontà espressa direttamente da Dio. Il pericolo di trasformare le mizvoth in un culto deciso dall’uomo per l’uomo stesso è molto forte: per non sconfinare nell’auto-idolatria è necessario attenersi a istruzioni precise non decise dall’uomo per l’uomo stesso.
Il pericolo costante in tutta la storia umana ed ebraica è quello di dare agli oggetti un valore sacro al di là di quello che può essere il loro uso. In effetti, secondo la Torà, il concetto di santità si applica ai luoghi non per il valore che hanno in se stessi, ma per l’uso che se ne fa. Per esempio, una Sinagoga acquisisce santità non nel momento in cui si è finita la sua costruzione, ma solo quando viene usata finalmente per la prima volta, per lo scopo per cui è stata costruita, cioè per una preghiera pubblica.
Lo spazio-tempo di Einstein, il Tabernacolo e lo shabbath
Se analizziamo le occasioni in cui la radice kadosh (sacro) viene usata dall’inizio della Torà, la troviamo per la prima volta alla fine della creazione (Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò vayikaddèsh); poi prima della promulgazione del Decalogo (Voi sarete per me una regno di Sacerdoti e una nazione sacra); infine la troviamo per la costruzione del Santuario (Mikdàsh) e i suoi arredi che vengono dichiarati Kòdesh.
Quindi, in prima istanza la kedushà riguarda il tempo, rappresentato dallo Shabbath; in seconda istanza la kedushà è data nelle mani dell’uomo, qui rappresentato da Israel; solo alla fine la kedushà viene trasmessa anche a un luogo o a degli oggetti.
Ma nel rapporto tra il Tabernacolo, emblema dello Spazio, e lo Shabbath, emblema del Tempo, i Maestri affermano: il lavoro per la costruzione del Tabernacolo non respinge lo shabbath, cioè non si può costruire il Santuario di shabbath. La santità del tempo sabbatico è più importante della costruzione del Tempio. In effetti, la tentazione di considerare lo Spazio sacro superiore a quello del Tempo sacro, cosa comunemente accettata quasi ovunque, è molto forte: in questo caso la Torà manda un segnale importante alle altre culture perché ad esso si uniformerà la cultura ebraica.
Tuttavia, le sorprese non finiscono qui. La parola ebraica per spazio e tempo in ebraico è olàm, che significa sia la totalità dello spazio, che l’eternità, la totalità del tempo. La stessa radice significa incognita, così come vieneusata anche in matematica come ne’elàm. Lo spazio e il tempo sono due dimensioni dell’occultamento divino che è al di là del tempo e dello spazio. E’ l’uomo che ha il compito di unire spazio e tempo. E che viene chiamato anche ‘olàm katàn, un piccolo mondo, un microcosmo.
E’ interessante notare come la relazione tra spazio e tempo è stata sviluppata da Albert Einstein. Un punto nello spazio ha bisogno di tre numeri per essere determinato.; a questi numeri Einstein ha aggiunto un quarto numero che serve a definire l’evento per tenere conto contemporaneamente della coordinata tempo. Tuttavia non dobbiamo illuderci (e neanche Einstein lo pensava) che la coordinata tempo sia paragonabile alle altre tre coordinate: l’intuizione di Einstein di unire spazio e tempo paradossalmente va incontro al fatto che nella lingua ebraica troviamo un termine che le unisce. Le mizvoth collegano entrami i termini: la santità di un luogo o di un oggetto è strettamente collegata al momento in cui viene usato. Compito dell’uomo che è ‘olam katàn (chi salva un uomo salva un mondo) è di unire i due mondi e metterli in relazione.
Scialom Bahbout
Abraham Joshua Heschel autore di molti libri tra i quali Il Sabato e il suo significato per l’uomo moderno scrive tra l’altro (pag. 146 , 163):
Ognuno di noi occupa una parte di spazio ed è il solo ad occuparla; la porzione di spazio che il mio corpo occupa è presa da me soltanto, e ne viene escluso chiunque altro, Ma nessuno possiede il tempo: non vi è alcun momento che sia esclusivamente mio. Questo stesso momento, come appartiene a me, appartiene a tutti gli uomini viventi. Noi condividiamo il tempo, ma occupiamo lo spazio. E’ facile cedere all’illusione che lo spazio sia stato creato per noi, per l’uomo; ma per quanto riguarda il tempo, siamo immuni da una siffatta illusione. …
Questo è il compito dell’uomo: conquistare lo spazio per santificare il tempo. Lungo tutto l’arco della settimana siamo sollecitati a santificare la nostra vita impiegando le ore dello spazio. Nel giorno del Sabato ci è dato di partecipare alla santità che è nel cuore del tempo. Anche quando l’anima è indurita, anche quando dalla nostra gola rinsecchita non esce alcuna preghiera, il riposo pulito e silenzioso del sabato ci conduce a un regno di infinita pace, o alla fonte della consapevolezza di ciò che significa l’eternità. Nel mondo del pensiero vi sono pochi concetti dotati di tanta forza spirituale quanto quello del Sabato. In un futuro lontano, quando molte delle nostre teorie predilette saranno ridotte a frammenti, quel meraviglioso arazzo cosmico splenderà ancora.
Abraham Joshua Heschel (Varsavia nel 1907 – New York 1972)
Discendente da una famiglia di Hassidim, laureato a Berlino nel 1933 emigrò a Londra e poi negli Stati Uniti. Ha insegnato a Francoforte e a New York al Jewish Theological Seminary. Professore di filosofia e Midrash, ha scritto diversi libri e tra questi anche “Dio alla ricerca dell’uomo”. I profeti, Torà minhashamaim beaspaklaria shel hadorot.