Silvia Golfera
“…Donne, bambini, anziani. Gli uomini non c’erano. Stipati nei pullman, ci diedero coperte, perché faceva freddo. Ci avvolgemmo tutti tremanti, fra i pianti dei bambini piccoli e il vociare confuso dei profughi. Dopo l’appello, i pullman partirono tutti in fila, per Alessandria, e di lì saremmo salpati…Alcuni poliziotti egiziani salirono armati sui pullman…e con aria spavalda confiscarono…oggetti d’oro che le profughe avevano addosso…Un poliziotto pretese anche la fede di una profuga”.
Così Carolina Delburgo, signora bolognese di origine egiziana, racconta la cacciata della sua famiglia e di molti altri correligionari, dall’Egitto, dopo la crisi internazionale del 1956, quando Nasser, nazionalizzato il canale di Suez, ne impediva il transito alle navi israeliane. Fu il primo di una serie di conflitti con Israele. Il più grave quello del 1967, con la guerra dei Sei giorni. Gli ebrei egiziani ne pagarono un prezzo altissimo.
Da Radio Cairo, il 25 maggio 1967, la voce di Nasser tuonò non solo nelle case egiziane, ma in tutta l’Africa mediterranea: “Il mondo arabo è fermamente deciso a cancellare Israele dalla carta del mondo”. Dei 100.000 ebrei egiziani del 1948, ne resistevano nel 1976 circa 200.
Una vicenda questa di cui si parla poco, ignorata dai media e dagli storici. Una vicenda troppo calda, forse, perché la si possa affrontare in un momento tanto gravido di tensioni. L’ha raccontata Magdi Allam, sulle colonne del Corriere della sera, in un articolo del novembre 2004, dove scrive che “perdendo i loro ebrei, gli arabi hanno perso le loro radici e hanno finito per perdere se stessi”.
Rinnegare se stessi, o parte di sé, comporta sempre un prezzo alto, in termini di identità e di equilibrio. ‘Rinnegare l’anima’ è parente stretta del ‘venderla al diavolo’, ricorda Allam. Purtroppo le tragedie che percorrono il mondo mussulmano sono una conseguenza pure di quelle scelte.
Alcuni anni fa un breve documentario di Pierre Rehov, “L’esodo silenzioso”, fu presentato a Milano, prima di sparire dalla circolazione. Eppure l’esodo degli ebrei dai paesi mussulmani ha segnato una ulteriore pagina nera di quel nerissimo secolo ventesimo da cui non riusciamo a liberarci.
Il libro di Carolina Delburgo, delicata storia familiare, ha il merito di resuscitare la memoria di un evento che, con i suoi pogrom sanguinosi, la sobillazione dei furori popolari, la demonizzazione del nemico, gli espropri e le prepotenze, ha rivaleggiato nei metodi, se non nei risultati, con la politica antisemita di Hitler.
“Quella sera gli ufficiali perquisirono la casa, e non trovando nulla per incolparci, invitarono mio padre e la zia Sara…a seguirli per “delle formalità” da fornire al commissariato. Da quel momento mio padre e mia zia sparirono nel nulla”, racconta l’autrice.
Ha termine così quella convivenza, non sempre pacifica, ma comunque proficua e stimolante fra gente di varie culture e religioni, che facevano dei paesi arabi affacciati sul Mediterraneo società sostanzialmente multietniche
Nel 1956 dall’Egitto furono cacciati circa 30.000 ebrei. Pian piano la Cairo cosmopolita dove circolavano lingue e culture diverse, raccontata con nostalgia dallo scrittore Naghib Mafuz, si svuota delle sue molteplici identità per conformarsi ai dettami del nuovo nazionalismo arabo
La famiglia Delburgo, di nazionalità italiana, approda nel porto di Brindisi. L’unica cosa che ha portato con sé è la propria abilità professionale, la volontà di riconquistare una vita dignitosa, la tenacia nel fronteggiare le difficoltà, quegli ‘scherzi della sorte’ che la storia ha spesso riservato al popolo ebraico. Fortunatamente questa vicenda amara e sconfortante ha un lieto fine. Carolina Delburgo racconta come “fummo davvero commossi e molto grati per la grande umanità con cui fummo accolti, non appena sbarcammo in Italia”, alimentando in qualche modo quel mito di “italiani brava gente”, così consolatorio per noi, ma purtroppo spesso smentito dalla storia e dalla cronaca. Non in questo caso, però, poiché la famiglia Delburgo riesce a integrarsi felicemente nella società italiana. Senza perdere la propria memoria e nella consapevolezza che niente è mai garantito per sempre: “Ricordatevi che siamo ebrei e…non esiste generazione che non venga colpita da circostanze e fatti incresciosi. È capitato a vostro padre che è vissuto in Europa, ma è capitato anche a me che sono vissuta in Africa…Quando scoppia un conflitto le autorità portano via tutto quello che possono: casa, auto…prosciugano i conti bancari…ma di una sola cosa non potranno mai impossessarsi né mai toccare: la vostra cultura, quello che avete studiato e quello che gli studi vi avranno insegnato a capire!” rammenta Carolina alla figlia adolescente.
Ebbene, la memoria storica serve anche a difendersi dagli errori e dagli orrori del passato. Per questo teniamo vivo il ricordo della Shoah. Per lo stesso motivo trovo ugualmente urgente ricordare le persecuzioni che gli ebrei hanno patito nei paesi mussulmani, tanto più che proprio da lì vengono oggi le più feroci minacce di una nuova apocalittica distruzione verso Israele e tutto il suo popolo. È la convenienza politica che ci spinge a tacere? O ci illudiamo forse che sia un affare fra “altri”, in cui non intrometterci, come un tempo fra Hitler e gli ebrei, e che solo chiudendoci gli occhi ne resteremo fuori?
Carolina Delburgo “Come ladri nella notte” ed. Rotas Barletta 2006
Richiedibile gratuitamente a info@cauterium.org