All’inizio della parashà l’Eterno disse a Moshè: “E vi porterò alla terra che ho giurato di dare ad Avrahàm, Yitzchàk e Ya’akòv, e ve la darò quale morashà, io sono l’Eterno (Shemòt, 6:8).
R. Naftalì Tzvi Yehudà Berlin (Belarus, 1816-1893, Varsavia) in Ha’amèk Davàr spiega perché nella Torà venga usata la parola morashà e non la normale parola yerushà che significa eredità: “Non [vi viene data] temporaneamente perché perfino quando voi siete in esilio appartiene a voi. La terra d’Israele è un proprietà perpetua, come disse il profeta Geremia (31:20): “Rizza dei segnavia, fatti dei pali indicatori, poni ben mente alla strada, alla via che hai seguita. Ritorna, o vergine d’Israele, torna a queste città che son tue!”.
Questo versetto del profeta Geremia è citato nelle parashà di ‘Èkev da Rashì (Troyes, 1040-1105) nel commento del versetto dello Shema’: “E porrete queste mie parole sui vostri cuori e sulle vostre persone e le legherete come segno sulle vostre braccia …” (Devarìm, 11:18).
In una versione del commento di Rashì citata da r. Zalman Volozhin (Belarus, 1756-1788) è scritto: “… anche quando sarete esiliati distinguetevi con le mitzvòt, separate le terumòt [per i kohanìm] e le decime [per i leviti] in modo che non siano cose nuove quando tornerete e così dice [il profeta Geremia] ‘Rizza dei segnavia’ ”. L’espressione “Rizza dei segnavia” è qui interpretata come metafora. Con queste parole il profeta incoraggiava gli israeliti che andavano in esilio in Babilonia, a continuare a separare le decime anche se questa non era una mitzvà da osservare al di fuori della terra d’Israele, per ricordarla e avere la certezza che sarebbero tornati alla loro terra.
R. Bahya ben Asher ibn Halawa (Saragozza, 1255-1340) nel suo commento alla Torà scrive che la Torà usa il termine morashà (che quando è verbo è una forma causativa) e non yerushà, per indicare che coloro che uscivano dall’Egitto non avrebbero ereditato la terra perché sarebbero morti nel deserto, ma che l’avrebbero data in eredità ai loro figli che vi sarebbero entrati. Così pure si spiega l’espressione “La Torà che Moshè ci ha comandato è una morashà alla comunità di Ya’akòv” (Devarìm, 33:4).“Yerushà” è una cosa che si riceve per un periodo determinato; morashà è un’eredità perpetua. Così è la Torà e così e la terra d’Israele.
All’inizio della parashà di Ki Tavò, rav Chayìm Yosef David Azulai (Gerusalemme, 1724-1806, Livorno) nel suo commento Penè David, cita rav Israel Zeevi (Chevròn, m. 1731) che in una derashà alla fine della parashà di Behàr Sinài disse che l’Eterno diede la terra d’Israele ad Avrahàm con queste parole: “E darò a te e alla tua descendenza dopo di te la terra nella quale tu abiti […]” (Bereshìt, 17:8). Per quale motivo era necessario dire “Alla tua discendenza dopo di te”? La spiegazione è che il Santo Benedetto con queste parole voleva dire che i discendenti di Avrahàm non ereditavano la terra da Avrahàm in quanto suoi figli, ma la ricevevano anche loro per forza della parola dell’Eterno. Le parole “Alla tua discendenza dopo di te” vengono a insegnare che la terra d’Israele appartiene a tutte le generazioni seguenti e che nessuno la può dare via.Una yerushà è un’eredità che può essere dissipata da chi la riceve; una morashà è un bene che appartiene a tutto il popolo e che va passato alle generazioni seguenti.