Il Beitar Jerusalem è noto per la tifoseria ultranazionalista. Tra i sostenitori anche Netayahu. Rivlin ne fu manager. L’annuncio: «Porte aperte anche a giocatori arabi»: Incidenti e arresti. Il proprietario: «svolta politica».
Simona Verrazzo
GERUSALEMME – In Israele è alta tensione tra i tifosi del Beitar Jerusalem, squadra di calcio tra le più importanti del Paese e nota per le sue posizioni ultranazionaliste: sono ormai giornaliere le proteste e le minacce verso la dirigenza del club, che da dicembre è per il 50 per cento di proprietà dello sceicco Hamad Bin Khalifa Al Nahyan, imprenditore e membro della famiglia reale degli Emirati Arabi Uniti.
La notizia è stata presa malissimo dalla tifoseria, famosa in Israele per la sua intolleranza, così come lo erano, in passato, anche i suoi proprietari, tanto che la squadra non ha mai avuto un giocatore arabo, sebbene ne abbia avuti di religione islamica. In queste settimane si sono moltiplicati gli slogan “Morte agli arabi” durante gli allenamenti a porte aperte, che adesso sono riferiti non ai calciatori ma allo sceicco. Il nuovo corso del Beitar Jerusalem si può meglio capire inscrivendolo nel più ampio quadro degli Accordi di Abramo, con cui – grazie alla mediazione degli Stati Uniti – sono state poste le basi formali per l’avvio di relazioni diplomatiche tra Israele da un lato ed Emirati Arabi Uniti e Bahrain dall’altro. Una svolta per l’intero mondo arabo, tanto poi da essere seguiti da intese simili prima con Sudan e poi con Marocco.
Gli Accordi di Abramo
Lo sceicco Hamad Bin Khalifa Al Nahyan è stato uno dei principali fautori della stretta di mano tra lo Stato ebraico e Abu Dhabi. E a riprova del dialogo intrapreso è arrivata l’intesa sul piano sportivo, con l’entrata dello stesso Al Nahyan nel Beitar Jerusalem. La notizia è diventata subito virale, anche per la cifra, 90 milioni di dollari in dieci anni, che lo sceicco intende investire nella squadra israeliana. Una vera rivoluzione, di risorse finanziarie e umane, visto che Al Nahyanha ha dichiarato che «la porta è aperta» ai giocatori arabi e «a tutti i talenti», senza alcuna distinzione. Tanto è bastato per scatenare la rabbia della tifoseria.
Durante la prima sessione di allenamenti subito dopo l’acquisto sono stati vandalizzati i muri del club e quattro persone sono state arrestate, tutte aderenti al gruppo ultrà La Familia. La mobilitazione del Beitar Jerusalem, fondato nel 1936, è seguita con grande attenzione nel Paese, per il profondo legame anche con l’élite politica: tra i suoi tifosi c’è il premier Benjamin Netanyahu, mentre il presidente Reuven Rivlin ne è stato manager e portavoce. La squadra è tra le più famose, non ultimo per le controversie che spesso accompagnano la sua tifoseria. La Familia, fondata nel 2005, non ha mai fatto nulla per nascondere le sue posizioni razziste contro gli arabi, questo perché il gruppo ultrà è composto da discenti delle comunità ebraiche che vivevano nei paesi arabi del nord Africa e del vicino e medio oriente (sefarditi e mizrahi). Alcuni giocatori di fede islamica, provenienti da Tajikistan, Albania e Cecenia, sono stati “accettati”, mentre ha fatto il giro del mondo una delle ultime polemiche. Nel 2019 La Familia ha chiesto ad Ali Mohamed, giocatore cristiano proveniente dal Niger, di cambiare il proprio nome perché “troppo musulmano”.
Nonostante le proteste e le minacce, la dirigenza sembra voler andare avanti nel progetto di distensione diplomatica e inclusione sportiva. Moshe Hogeg, imprenditore israeliano di criptovaluta che ha acquisito la squadra nel 2018, ha detto al settimanale britannico Observer che lui e lo sceicco «vogliono mostrare al mondo che ebrei e musulmani possono fare cose belle insieme e ispirare le giovani generazioni». Lo stesso Hogeg aveva annunciato la notizia dell’entrata del nuovo socio come «il frutto degli Accordi di Abramo». Vero banco di prova per la neo-dirigenza saranno il calcio mercato, con l’entrata nella rosa di nuovi giocatori, e il comportamento della tifoseria sugli spalti sia nelle partite del campionato nazionale sia in quelle delle competizioni internazionali Uefa.
Il Messaggero, 3.1.2021