Oggi in versione breve per chi ha poco tempo e in versione lunga solo per i secchioni
Uno degli episodi più noti, ma meno conosciuti a fondo, è quello della vendita di Giuseppe. I commentatori sono divisi su come si siano svolti i fatti che hanno causato la discesa di Giacobbe e i suoi figli in Egitto con tutte le conseguenze che ciò ha avuto per la storia di Israele. Rileggiamo il passo che parla della vendita (Genesi 37:28) Passarono degli uomini Midianiti commercianti, trascinarono ed elevarono Giuseppe dal pozzo e vendettero Giuseppe agli Isameliti per venti (monete di) argento, e portarono Giuseppe in Egitto.
Ci sono due modi di interpretare questa storia: un primo modo è che la vendita sia stata fatta dai fratelli (come dice Rashi e come sostiene l’opinione pubblica) oppure dai Midianiti (come sostengono la maggior parte dei commentatori). La seconda ipotesi ha un maggiore fondamento e la domanda è che differenza c’è se si accetta una posizione o l’altra.
Se quindi “Giuseppe non fu venduto dai fratelli”, cosa cambia nell’interpretazione della storia, e cioè che differenza c’è se i fratelli causarono la vendita, ma non vendettero direttamente Giuseppe?
A questa domanda risponde Benno Yakov: i fratelli di Giuseppe non possono essere accusati di avere venduto direttamente Giuseppe, perché in tal caso sarebbe stato applicato loro quanto stabilisce la Torà: “chi rapisce una persona e la vende, sarà messo a morte” (Esodo 21: 12 – 18). Il Signore ha quindi operato affinché i fratelli di Giuseppe non rapissero e vendessero Giuseppe: perché se la vendita fosse stata effettuata dai fratelli, ci sarebbe stata la possibilità di riscatto in qualsiasi momento ciò fosse stato possibile.
Invece, una persona venduta da stranieri ad altri stranieri non avrebbe potuto più essere riscattata: la vendita sarebbe stata definitiva, senza alcuna possibilità di riscatto. Benno Yakov nota come in tutta la storia della vendita viene sottolineato che gli agenti (chi compra e chi vende) sono sempre stranieri (Ismaeliti o Potifàr “uomo egiziano”).
Se rileggiamo tutto l’episodio possiamo ricostruire i fatti in questo modo
Alla vista di Giuseppe, i fratelli reagiscono pensando di ucciderlo, ma una volta gettato nel pozzo, i fratelli si calmano e si mettono a pranzare. Ruben pensa di recuperare il fratello, ma non è escluso che altri avrebbero potuto cambiare idea. Arriva poi la proposta di Giuda e i fratelli ascoltano, ma non si pronunciano: i fratelli intanto riflettono e potrebbero ancora limitarsi ad avere dato una bella lezione a Giuseppe e non lo avrebbero venduto. La scomparsa di Giuseppe rimette nuovamente tutto in discussione: la carovana degli Ismaeliti ha dato una svolta alla situazione. In quel mondo non esisteva la possibilità di riscatto. La schiavitù sarebbe stata eterna e i figli dei figli (il popolo d’Israele) non sarebbero mai usciti dall’Egitto.
Quando si legge un racconto della Torà bisogna inserirlo in un contesto più generale e cioè il fatto che la Torà è la testimonianza del patto tra Israele e il Signore. Quindi, nonostante che la liberazione dalla schiavitù dall’Egitto fosse impossibile, questo racconto è implicitamente la premessa di quanto avverrà successivamente: cioè la liberazione e il riscatto degli ebrei dall’Egitto, una paese dal quale nessuno schiavo era mai stato liberato: il popolo d’Israel è stato liberato solo in virtù del patto che lo legava a Dio. La consapevolezza di questo “privilegio”, che comporta anche una grande responsabilità, deve sempre essere presente nei nostri cuori.
Scialom Bahbout
PS. Nel seguito i lettori troveranno un’analisi dettagliata dell’evento
La vendita di Giuseppe – Le versione lunga
Uno degli episodi più noti, ma meno conosciuti a fondo, è quello della vendita di Giuseppe. I commentatori sono divisi su come si siano svolti i fatti che hanno causato la discesa in Egitto con tutte le conseguenze che ciò ha avuto per la storia di Israele.
Rileggiamo il passo che parla della vendita (Genesi 37:28)
Passarono degli uomini Midianiti commercianti, trascinarono ed elevarono Giuseppe dal pozzo e vendettero Giuseppe agli Isameliti per venti (monete di) argento, e portarono Giuseppe in Egitto.
Prima ipotesi: i fratelli vendettero Giuseppe
L’opinione che ha influito sull’interpretazione del passo appena citato è quella espressa da Rashi e, per la sua autorevolezza, è comprensibile che altri approcci al testo della Torà siano stati oscurati:
Passarono degli uomini Midianiti commercianti: questa è un’altra carovana – cioè non quella degli Ismaeliti che avevano visto da lontano mentre stavano mangiando lontani dal pozzo – e il testo dice che è stato venduto più volte: Trascinarono: (sono) il figli di Giacobbe (che trascinarono) Giuseppe dal pozzo e lo vendettero agli Ismaeliti, gli Isameliti ai Midianiti e i Midianiti all’Egitto.
Se leggiamo il verso che narra la vendita, non troviamo alcun cenno dei fratelli. Chi estrasse Giuseppe dal pozzo e chi lo vendette? Il soggetto di tutto il verso sono i commercianti Midianiti. Il dubbio che siano stati i fratelli deriva dal fatto che poco prima la Torà dice (37:25): “Si sedettero per mangiare del cibo, alzarono gli occhi e videro ed ecco una carovana di Isameliti che arrivava da Ghil’ad e i loro cammelli che trasportavano spezie, balsamo e loto, andavano a deporre (il carico) in Egitto: Giuda disse ai suoi fratelli “che guadagno c’è se uccidiamo nostro fratello e ne nascondiamo il sangue? . “ … Andiamo a venderlo agli Ismaeliti e la nostra mano non sia contro di lui….I suoi fratelli ascoltarono”. La proposta “andiamo a venderlo agli Isameliti” sembra sia stata accettata dai fratelli.
Rashi presuppone che ci siano state quattro vendite: la prima dai fratelli ai Midianiti, senza che i fratelli vengano nominati, e poi le altre tre vendite: questa interpretazione può essere giustificata dal fatto che Giuseppe era una “merce” che scottava e pertanto era necessario liberarsene appena possibile: ecco perché passa di mano in mano più volte.
Qual è la funzione dei commercianti Midianti in questa storia? Rashi risolve il problema della vendita affermando che ci sarebbero stati diversi passaggi: i fratelli agli Ismaeliti, gli Ismaeliti ai Midianiti e i Midaniti all’Egitto. La parola Medaniti, di cui si parla più avanti (37:36) sarebbe un abbreviazione del nome Midianiti, così come la parola Dotan per Dotain al verso 37:17.
Questa versione incontra non poche difficoltà:
Nel verso della vendita il nome dei fratelli non compare e, secondo Rashi, sarebbe sottinteso, un’ipotesi questa difficile da sostenere perché non si può modificare il soggetto senza scriverlo esplicitamente: il soggetto (Midianiti) dell’inizio del verso regge gli altri verbi – i verbi elevarono, vendettero, portarono – in quantosono collegati dalla congiunzione ve – cioè e. Cosa sembra confortare questa interpretazione?
1. Giuseppe dice ai fratelli quando si rivela a loro: Io sono Giuseppe vostro fratello che mi avete venduto (mekhartèm) in Egitto. Questa dichiarazione pone un chiaro problema: come è possibile che i fratelli non abbiano detto nulla a Ruben e che lui non sapesse niente della vendita? Dove si trovava Ruben al momento della vendita? E ancora: quando ritorna dai fratelli dopo essere andato al pozzo, Ruben dice il ragazzo non c’è e io come posso andare (a casa e a dirlo a nostro padre): se i fratelli avevano organizzato la vendita, perché non gli dissero nulla? Quindi anche loro erano sbalorditi e non capiscono che fine abbia fatto Giuseppe: organizzano quindi la messinscena che era stato aggredito da un animale feroce.
2. Anche quando parlano con il viceré (Giuseppe) i fratelli pensano che Giuseppe sia davvero morto e non era stato venduto. Essi dicono: Uno non c’è (42: 13 e 32), espressione che va interpretata nel senso che uno è morto, come si ricava dalle parole di Giuda “Noi dicemmo al nostro signore: abbiamo un vecchio padre e un figlio natogli in vecchiaia e suo fratello è morto” (44: 20).
3. I fratelli rivelano che si sentono colpevoli della morte di Giuseppe quando dicono: Ma noi siamo colpevoli per il nostro fratello (42, 21) e Ruben aggiunge “Io vi avevo detto: Non peccate nei confronti del ragazzo e voi non ascoltaste ed ecco il suo sangue viene richiesto” (42: 22). Ruben era ignaro di quanto accaduto perché,durante la vendita, una parte dei fratelli si era seduta a mangiare e Ruben si era allontano assieme agli altri per controllare il gregge (Rabbi Yosef Bekhor Shor)
4. Se i fratelli lo avessero venduto, perché non esprimono mai neanche la speranza di poterlo ritrovare?
La seconda ipotesi: Giusseppe fu venduto dai Midianiti
1. Rashbam è il primo a mettere in dubbio la versione di Rashi e sostiene che il soggetto del verso citato (37: 28) non cambia: i Midianiti estraggono Giuseppe dal pozzo e lo vendono agli Ismaeliti. Il tutto sarebbe avvenuto senza che i fratelli si accorgessero di nulla perché si erano allontanati dal pozzo. Secondo Rashbam chi vuole proprio sostenere che furono i fratelli a venderlo, deve dire che i fratelli ordinarono ai Midianiti di estrarlo dal pozzo e poi lo vendettero, ma questo non compare nel testo.
2. Questa interpretazione spiega perché Giuseppe dice al coppiere: Poiché sono stato rapito dalla terra degli ebrei (40: 15), quindi rapito – non venduto.
3. I fratelli non cercarono Giuseppe dopo la “vendita” perché pensavano che era stato veramente mangiato da “un animale feroce”.
4. Questa ipotesi è sostenuta anche da Ramban, Shimshon R. Hirsch, Malbim, Benno Yakov
Ramban sostiene che ci sarebbe stata una sola carovana composta da commercianti Midianiti che si servivano come trasportatori di Ismaeliti, una sorta di “vettore” di quei tempi: gli Ismaeliti erano coloro che fungevano da trasportatori e che avevano l’incarico di consegnare la merce. Questo spiega anche perché la Torà afferma che Potifàr lo acquistò dalla mano degli Ismaeliti. Questa spiegazione risponde anche alla domanda posta da Rabbi Eliahu Mizrakhi “non so cosa faccia Rashi del verso “Potifàr… lo comprò dalla mano degli Ismaeliti” (39: 1).
Molto interessante è l’opinione espressa da Rabbi Shmuel Haim Lolli, allievo di Shadal, e che Shadal cita nel suo commento, riferendo una sua lettera del 28 kislev 5589 (1829).
Dal commento di Shadal
La maggior parte della gente crede che i fratelli vendettero Giuseppe. Rashbam nella sua saggezza capì che non era così… e l’essenza delle sue parole indica che i figli di Giacobbe non vendettero mai il loro fratello Giuseppe e non sapevano nulla della sua vendita, e le cose andarono in questo modo: quando i fratelli di Giuseppe lo videro da lontano progettarono di ucciderlo e dissero andiamo a ucciderlo, Ruben intervenne e disse di gettarlo nel pozzo … poi si sedettero a mangiare e si allontanarono dal pozzo, per non ascoltare le grida di Giuseppe, quando li supplicava, secondo quanto testimonia la Scrittura … I suoi fratelli udirono le parole di Giuda e tutti concordarono che, dopo aver mangiato, sarebbero tornati al pozzo e avrebbero prelevato Giuseppe da lì e lo avrebbero portato dagli Ismaeliti per venderlo (perché nelle Scritture non c’è alcun accenno che gli Ismaeliti avrebbero dovuto raggiungere i figli di Giacobbe).
E avvenne che, mentre parlavano tra di loro, lontano dal pozzo, ecco (all’insaputa dei fratelli) i Midianiti trascinarono Giuseppe fuori dal pozzo e lo vendettero agli Ismaeliti per venti monete d’argento, e questi portarono Giuseppe in Egitto. Ed ecco, dopo aver mangiato, Ruben si affrettò da solo e si separò dai suoi fratelli senza vederli, e tornò rapidamente al pozzo per prelevare Giuseppe e restituirlo a suo padre, prima che i suoi fratelli venissero a riprenderlo e a venderlo. Ma … come cera che si scioglie al fuoco, il cuore di Ruben si sciolse e guardò nel pozzo, ma Giuseppe non era più lì, si strappò le vesti perché pensava inequivocabilmente che un orso o un leone lo avesse prelevato per dare da mangiare ai propri cuccioli nelle loro tane … quindi lì non fu trovato sangue … Ruben disse “io sono più colpevole di ognuno di voi, poiché l’ho fatto gettare nel pozzo e quindi io sono responsabile della sua morte”. E tutti i suoi fratelli credettero e rimasero stupiti di questa cosa…. Fu poi consigliato cosa fare per salvare Ruben dalle lamentele del padre… così immersero la tunica di Giuseppe nel sangue e la inviarono al padre, in modo che credesse che Giuseppe era stato preso come preda prima che arrivasse da loro. Ecco, quando i figli di Giacobbe andarono dal loro padre e videro quanto Giacobbe piangeva per suo figlio, immediatamente si pentirono di tutto ciò che avevano fatto. Ma cosa fare? Se Giuseppe era già stato preso come preda per essere mangiato dalle bestie dei campi, non avevano altra scelta che confortarlo.
Il fatto che non cercarono Giuseppe è perché non credevano che fosse vivo e che non c’era la speranza di trovarlo vivo. Il fatto che Ruben tacque quando udì il consiglio di Giuda di vendere Giuseppe, è perché voleva nascondere la sua idea e cioè che aveva pensato di salvare Giuseppe, affinché i suoi fratelli non si insospettissero vedendolo camminare … per andare da solo verso il pozzo … Ed è chiaro che non avevano risposto a Ruben che lo avevano venduto, perché non ne sapevano nulla … e non sapevano cosa fosse accaduto più di quanto ne sapesse Ruben…
Shmuel Haim Lolli cerca poi di spiegare altri particolari in modo da rafforzare questa sua opinione.
E’ importante sottolineare come non solo qui, ma altre volte nel suo commento (che ricordiamo è scritto in ebraico), Shadal riferisca le opinioni espresse dai suoi allievi secondo il principio per cui “Chiunque riporta le cose a nome di chi le ha dette porta la redenzione nel Mondo”.
I punti deboli di questa ipotesi e loro interpretazione
I punti sui quali questa interpretazione potrebbe cadere sono i seguenti:
1. “ אתם מכרתם אותי Attèm mekhartèm oti” che viene in genere tradotto con “voi mi avete venduto” : Il verbo Makhar oltre a vendere significa “causare” come troviamo più volte nel libro dei Giudici quando si parla del fatto che gli ebrei furono appunto “consegnati” nelle mani di un nemico (Giudici 2: 14; 3: 8; 4: 2) e molti altri ancora. Causare un evento può significare averlo fatto come nel verso: Voi farete scendere la mia vecchiaia con angoscia nello sheòl (42: 38), cioè se prenderete Beniamino sarete voi a causare la mia morte.
2. וישמעו אחיו Vaishmeù echàv non significa che i fratelli accettarono la proposta di Giuda perché altrimenti il testo avrebbe dovuto essere: וישמעו לו אחיו vaishmeu lo echav. La mancanza di questa parola לו lo è quella che determina il significato del verbo שמע: i fratelli ascoltarono, ma non è detto che accettarono. La prova che questa sia l’interpretazione da dare a questa frase è data anche dalla reazione di Giacobbe quando viene a sapere ciò che aveva fatto Ruben con la moglie Bilà (Genesi, 35: 22): è scritto: וישמע ישראל che non significa affatto che Giacobbe approvò……. un’azione che chiaramente disapprovava, ma che necessitava una riflessione su che decisione prendere.
Se accettiamo la lettura che di questo episodio fanno la maggior parte dei commentatori, “Giuseppe non fu venduto dai fratelli”, cosa cambia nell’interpretazione della storia, e cioè che differenza c’è se i fratelli causarono la vendita, ma non vendettero direttamente Giuseppe.
A questa domanda il commentatore Benno Yakov risponde: i fratelli di Giuseppe non possono essere accusati di avere venduto direttamente Giuseppe, perché in tal caso sarebbe stato applicato loro quanto stabilisce la Torà: “chi rapisce una persona e la vende, sarà messo a morte” (Esodo 21: 12 – 18). Il Signore ha quindi operato affinché i fratelli di Giuseppe non rapissero e vendessero Giuseppe: perché se la vendita fosse stata effettuata dai fratelli, ci sarebbe stata la possibilità di riscatto.
Una persona venduta da stranieri ad altri stranieri non avrebbe potuto più essere riscattata: la vendita sarebbe stata definitiva, senza alcuna possibilità di riscatto. Benno Yakov nota come in tutta la storia della vendita viene sottolineato che gli agenti (chi compra e chi vende) sono sempre stranieri (Ismaeliti o Potifàr “uomo egiziano”).
In conclusione: alla vista di Giuseppe, i fratelli reagiscono pensando di ucciderlo, ma una volta gettato nel pozzo, i fratelli si calmano e si mettono a pranzare. Ruben pensa di recuperare il fratello, ma non è escluso che altri avrebbero potuto cambiare idea. Arriva poi la proposta di Giuda e i fratelli ascoltano, ma non si pronunciano: i fratelli intanto riflettono e potrebbero ancora limitarsi ad avere dato una bella lezione a Giuseppe. La scomparsa di Giuseppe rimette nuovamente tutto in discussione e non è detto che Giuseppe sarebbe stato venduto. La carovana degli Ismaeliti ha dato una svolta alla situazione. In quel mondo non esisteva la possibilità di riscatto. La schiavitù sarebbe stata eterna e i figli dei figli (il popolo d’Israele) non sarebbero mai usciti dall’Egitto.
Quando si legge un racconto della Torà bisogna inserirlo in un contesto più generale e cioè il fatto che la Torà è la testimonianza del patto tra Israele e il Signore. Quindi, nonostante che la liberazione dalla schiavitù dall’Egitto fosse impossibile, questo racconto è implicitamente la premessa di quanto avverrà successivamente: cioè la liberazione e il riscatto degli ebrei dall’Egitto, una paese dal quale nessuno schiavo era mai stato liberato: il popolo d’Israele è stato liberato solo in virtù del patto che lo legava a Dio.
Scialom Bahbout
Sha.da.l, שד”ל Samuel David Luzzatto (1800 – 1865)
Nato a Trieste , Figlio di Hizkiya e Miriam Malka Lolli. All’eta di 18 anni aveva già studiato Torà, Profeti e Agiografi, Rashi, Radak e Mishnayot, ebraico, italiano, latino, tedesco, francese, matematica, geografia e storia generale. Ha completato lo studio di tutto il Talmud per due volte. Aveva già pubblicato un libro di poesie, una grammatica sia ebraica che aramaica e tradusse in ebraico le parabole di Esopo. Ha studiato poi Siriaco e aramaico e altre lingue. Perde la madre a 13 anni ed è quindi costretto ad occuparsi della casa.
A 28 anni dopo aver sposato Bilha Bathsheva Segre va a Padova a insegnare al Collegio Rabbinico, dove rimase fino alla morte. Ha avuto 4 figli dalla prima moglie e dopo la sua morte si sposò ed ebbe altri 4 figli. Perse ben 5 dei suoi figli. Rimasero in vita solo: Isaia, Yosef e Beniamino. Morì la sera di Kippur del 1865. E’ considerato la figura più originale e il più importante rappresentante del movimento Hochmat Israel del 19° secolo. Fautore dell’uso della scienza nella interpretazione dei testi, ma sempre assolutamente fedele al concetto che la Torà è di origine divina e non può essere modificata. Pertanto ha sempre cercato di trovare un accordo tra questi due aspetti (Torà e scienza). Era in contatto con altri studiosi del suo tempo, ma non ha avuto dubbi nel troncare rapporti con loro quando riteneva che si allontanavano dall’interpretazione corretta dei testi. Ha scritto commenti alla Torà e a diversi libri del la Bibbia.
Nuove edizioni dei suoi commenti sono stati pubblicati di recente in Israele a cura di Yonathan Bassi