A sinistra qualcuno trova del tutto normale andare a manifestare nel ghetto di Roma o davanti alle sinagoghe.
Ugo Volli
Piccola riflessione ad uso di quanti si interrogano ancora sul perché gli ebrei italiani, tradizionalmente progressisti, si siano spostati a destra. Vi è stata nei giorni scorsi una correlazione quasi matematica fra la collocazione politica dei giornali e dei politici e il loro atteggiamento rispetto all’azione dei teppisti che si sono organizzati militarmente sulla nave turca Marmara per provocare il massimo dei tumulti al momento del preventivato blocco israeliano. Tanto più a sinistra era schierato un giornale o un politico dichiarante, tanto più facilmente si è bevuto la propaganda islamista, tanto più si è rifiutato di riconoscere i fatti anche di fronte ai video più eloquenti, tanto più si è indignato, ha condannato Israele, ne ha profetizzato la vicina scomparsa allineandosi ad Ahmadinejad, tanto più ha infine accostato la condanna a Israele a quella degli ebrei, trovando del tutto naturale andare a manifestare al ghetto di Roma e alle sinagoghe nel resto d’Italia.
Ma anche le parti più istituzionali e “riformiste” dello schieramento di sinistra hanno pensato bene di manifestare davanti all’ambasciata israeliana. Gira in rete un video in cui una dirigente sindacale si riferisce a Israele dicendo “quei bastardi” e poi dice “magari mi prenderanno per razzista”.
Eh già… Solo le destre più estreme e semiclandestine, le schegge neonaziste vere e proprie, hanno avuto riflessi condizionati anti-israeliana pari a quelli della sinistra.
Con le opportune differenze questa stessa proporzione vale anche nel mondo ebraico, con gli ebrei di estrema sinistra del tutto allineati alla propaganda anti-israeliana dei loro compagni, quelli di sinistra un po’ meno estrema dolenti e scandalizzati, spesso profetizzanti la fine di Israele per mano della sua improvvida classe dirigente.
Ammettiamo pure che in questo gioco di opinioni e dichiarazioni tutti siano stati sinceri e abbiano semplicemente reagito per come capivano quel che fosse successo, cioè per come interpretavano le informazioni disponibili a tutti, evitiamo cioè di pensare a calcoli politici o malafede. Come si spiega questo fatto? E’ forse necessario applicare qui un vecchio principio dell’ermeneutica: ogni giudizio viene formulato applicando a ciò che si conosce, quel che già si crede, si vuole, si sa (o si crede di sapere). L’orizzonte delle aspettative e delle credenze dell’interprete contribuisce insieme ai fatti a determinare la sua interpretazione. Anzi, i fatti stessi vengono percepiti a seconda del proprio orizzonte interpretativo.
Dunque, se tutta la sinistra ha visto nella faticosa e rischiosa azione del commando israeliani per prendere il controllo di una spedizione mirante a dar mano libera ad Hamas nient’altro che “un’aggressione”, “un arrembaggio”, “una strage”, “un crimine”, “un assassinio” eccetera eccetera, e se non ha visto invece la dimensione aggressiva non solo dei teppisti che accoglievano a sprangate i soldati israeliani scesi sulla nave quasi disarmati per evitare incidenti, ma del sostegno ad Hamas – questo mostra che il suo orizzonte di attesa nei confronti di Israele è del tutto negativo, che essa pensa davvero che si tratti di “uno stato canaglia”, come ha scritto “Liberazione” (sempre con le diverse nuances fra destra e sinistra, fra sinistra ebraica e sinistra politica generale).
Solo un’antipatia e una sfiducia radicata per Israele e in prospettiva per tutto l’ebraismo possono spiegare queste reazioni. Chiamatele se volete “solo” antisionismo o prendete atto che si tratta di un sia pur tendenziale antisemitismo. Resta il fatto che la sinistra, quasi tutta la sinistra, con solo qualche differenza di accento, ce l’ha se non proprio con gli ebrei, con qualcosa cui gli ebrei tengono moltissimo e con cui si identificano. Che essa considera con antipatia il nostro sogno secolare di realizzare il carattere di popolo attraverso uno stato, dunque un territorio legato da sempre alla nostra identità. Che pensa che la nostra terra sia “rubata”, come si esprime anche qualche ebreo (di estrema sinistra). Che ritiene “un errore”, “una provocazione al mondo arabo”, l’esistenza dello Stato di Israele.
Gli ebrei di sinistra, almeno quelli moderati, cercano nei limiti del possibile di suggerire faticosi distinguo e complesse forme di mediazione. Preferiscono pensare che col ritorno ai confini del ’49, intorno a cui sono nate tante guerre e terrorismo, la situazione miracolosamente si acquieterà. Ma la loro parte politica, con tutta evidenza, non li ascolta, dalla base al vertice ha interiorizzato il proprio pregiudizio su Israele, la sua classe dirigente, la sua cultura e in definitiva sull’ebraismo, salvo un minimo velo di ritegno verbale su quest’ultimo punto – forse per via di un “credito” accumulato ad Auschwitz, che come ha scritto una lettera incredibilmente pubblicata sull’Unità “è in via di esaurimento”. All’azzeramento del conto, immagino, saremo tutti invitati a “tornare ad Auschwitz”, come si è espresso gentilmente un radiotrasmittente della flottiglia.
Nessuna meraviglia, dunque, se sono cordialmente ricambiati.
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