Cap. 2 Il punto di vista degli ebrei britannici attraverso la lettura del Jewish Chronicle1)
1. Gran Bretagna e ebraismo.
La presenza ebraica nelle isole britanniche viene comunemente fatta risalire all’XI secolo, quando, sulla scia della Conquista Normanna, alcuni membri della comunità ebraica di Rouen si stabilirono a Londra. Sempre di quel periodo furono i primi insediamenti in Irlanda, mentre in Scozia e nel Galles gli ebrei fecero la loro comparsa molto più tardi, tra il Seicento e il Settecento. Nonostante l’ordine di espulsione ai danni degli ebrei d’Inghilterra, voluto da Edoardo I nel 1290 e rimasto in vigore fino al 1664,2) la presenza ebraica non venne mai meno e, tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento si fece più consistente, soprattutto in seguito ai flussi migratori dalla Russia.3)
Gli ebrei si stabilirono per la maggior parte nei centri urbani e, fin dalla metà del secolo scorso, la città con la più alta concentrazione di ebrei fu Londra e in particolare la zona dell’East End.
La comunità ebraica londinese era impegnata, in gran parte, in attività commerciali e finanziarie; molti erano anche gli ebrei che svolgevano una libera professione: medici, avvocati, ecc. Certo, non tutti gli ebrei erano abbienti, ma, nel complesso, la percentuale di benestanti era notevole. Questa agiatezza economica fu spesso motivo di invidia da parte dei cittadini inglesi che, specie nell’East End, vivevano in condizioni precarie; inoltre, chi, tra gli ebrei, si adattava a lavori umili, spesso accettava salari molto inferiori rispetto a quelli recepiti dai lavoratori inglesi, e questo era fonte di tensioni in vista di un temuto calo delle retribuzioni. Ma, le ragioni dell’ostilità degli inglesi verso gli ebrei furono anche altre come, ad esempio, il fatto che la comunità ebraica costituiva una sorta di stato nello stato, mantenendo le proprie tradizioni, la religione innanzitutto, e, quindi, la propria identità culturale, ostentando, insomma, una diversità che era vista come una minaccia da parte dei cittadini inglesi. Il crescente numero di immigrati ebrei, inoltre, in particolare nell’East End londinese, aggravò due problemi già fortemente sentiti nella zona: la disoccupazione e la scarsità di alloggi.
Un altro elemento, che contribuì notevolmente alla diffusione di atteggiamenti o prese di posizione contro gli ebrei, fu il forte attaccamento alla nazione, caratteristico dei cittadini britannici, che emergeva soprattutto in situazioni di particolare difficoltà o pericolo: durante la prima guerra mondiale, ad esempio, si sollevarono dubbi sulla lealtà degli ebrei, come anche di tutti gli altri cittadini stranieri, verso la nazione britannica. In una certa misura, quindi, si può ritenere che il disprezzo verso gli ebrei rientrasse in un quadro più generale di diffidenza verso gli stranieri. Una diffidenza che, però, nel caso degli ebrei era più marcata perché essi non mostravano alcuna volontà di assimilarsi. Di qui la nascita, nei primi decenni del Novecento, di associazioni, quali ad esempio la British Brothers’League (BBL) e la National League for Clean Government (NLCG),4)che promossero manifestazioni contro l’immigrazione ebraica. La British Brothers’League, tra l’altro, grazie all’appoggio di un organismo parlamentare, il Parlamentary Alien Immigration Committee, sollecitò l’emanazione di una serie di provvedimenti per limitare l’afflusso di immigrati in generale e degli ebrei in particolare.5)
Questa breve panoramica sulla presenza ebraica in terra britannica e sui problemi che ne conseguirono ci consente di notare che, fin dalla comparsa dei primi insediamenti ebraici, si diffusero, nella società britannica, forme più o meno latenti di antisemitismo e che esso interessò indistintamente tutte le classi sociali. Nell’East End era il proletariato a manifestare il proprio risentimento verso gli ebrei, per la crescita della disoccupazione, la concorrenza che si rifletteva sul ribasso dei salari e la difficoltà di trovare casa, ma anche i commercianti della piccola e media borghesia, che dovevano fare i conti con la dura concorrenza degli abili negozianti ebrei; tra gli esponenti dell’alta borghesia e dell’aristocrazia, l’ostilità si espresse soprattutto nei confronti della cosiddetta “plutocrazia ebraica” o “finanza internazionale ebraica” e verso il bolscevismo.
Fermo restando che gli ebrei britannici godettero di una situazione relativamente favorevole rispetto, ad esempio, a quella degli ebrei russi o tedeschi, e che l’antisemitismo in Gran Bretagna non ottenne mai quel consenso popolare che, invece, raccolse altrove, non è tuttavia possibile parlare di una convivenza del tutto pacifica e senza problemi.6)
1.1 Diffusione dell’antisemitismo in Gran Bretagna.
Dal 1938, sul Jewish Chronicle, apparvero articoli che denunciavano la diffusione della propaganda nazista in Gran Bretagna. La propaganda nazista era soprattutto propaganda antisemita, ma, il più delle volte, non si trattava di dichiarazioni contro gli ebrei fatte alla luce del sole e in modo che l’intento di suscitare risentimenti nei confronti della comunità ebraica risultasse immediatamente evidente. I canali utilizzati erano, per lo più, sotterranei ed insoliti. Sempre più di frequente, ad esempio, gli uomini d’affari britannici trovavano, nella loro corrispondenza o negli imballaggi delle merci provenienti dalla Germania, opuscoli contenenti la traduzione di discorsi nei quali gli ebrei venivano presentati come i responsabili di tutte le difficoltà economiche e di ogni altro possibile problema. Inoltre, il nazismo tedesco cercava di insinuarsi nei partiti democratici. Per far questo si serviva di agenti, all’apparenza moderati e molto ben istruiti, – come notava il Jewish Chronicle – che esprimevano pacatamente la loro simpatia per il nazismo e non si mostravano mai nettamente antisemiti, ma, con la loro retorica ingannevole, erano in grado di far maturare nei loro ascoltatori l’idea che
eternal peace and friendship with Germany would be an easy matter if only the Jews could be eliminated.7)
Un altro modo in cui la propaganda nazista agiva era quello di attirare turisti stranieri8) in Germania, non tanto per aiutare il settore alberghiero o per ottenere valuta straniera, quanto piuttosto
to bamboozle foreigners concerning Nazi achievements and thus counteract the true reports that appear in the foreign Press.9)
Il turista “credulone” ritornava in patria entusiasta del nazismo e dei risultati da esso ottenuti e – osservava con rammerico il settimanale ebraico – non si rendeva conto che la menzogna allo scopo di promuovere la propria causa è la prassi dei regimi autoritari. La diffamazione e il discredito della stampa straniera era uno degli obiettivi che il regime nazista perseguiva con maggior costanza e con ogni mezzo.
Sul Jewish Chronicle comparirono anche accuse alla stampa nazionale britannica,10) che – a giudizio del settimanale ebraico – si era lasciata influenzare dalla propaganda antiebraica nazista e aveva intrapreso una campagna contro gli ebrei. A differenza di certa stampa continentale, – continuava l’accusa del Jewish Chronicle – quella britannica non si dichiarava esplicitamente antisemita, affermava, semmai, che, essendo ormai emersa con evidenza anche in Gran Bretagna una questione ebraica, si trattava di esaminarla il più obiettivamente possibile e di dare spazio, in modo imparziale, all’accusa e alla difesa degli ebrei.
Il Jewish Chronicle riteneva, invece, che la questione ebraica in Gran Bretagna non fosse altro che una creazione della stampa nazionale e non fosse esistita prima che un gruppetto di fascisti inglesi ne avesse parlato. Costoro identificavano tutti gli ebrei con dei singoli individui che compivano atti di trasgressione. Indubbiamente – riconosceva il Jewish Chronicle – anche la comunità ebraica aveva al suo interno alcune mele marce, ma si trattava di una minoranza e, comunque, non era questo un motivo sufficiente per sollevare una questione ebraica né in Gran Bretagna né altrove. Eppure, sempre più spesso, la parola ebreo compariva a caratteri cubitali, sulle pagine dei giornali nazionali e la responsabilità per tutto ciò che accadeva di male veniva fatta ricadere sugli ebrei. Il solo fatto che si parlasse così spesso degli ebrei – secondo il settimanale ebraico – aveva iniziato a far insorgere il dubbio che avessero effettivamente qualcosa che non andava o che, comunque, li differenziava dal resto della popolazione.
L’afflusso di numerosi profughi dalla Germania era, poi, ampiamente sfruttato dai fascisti e da tutti coloro che non vedevano di buon occhio gli ebrei: si insinuava che essi sottraessero il lavoro agli inglesi, si arricchissero a danno della nazione che li ospitava e tramassero per provocare uno scontro tra Gran Bretagna e Germania. I rifugiati clandestini, se scoperti e processati, non solo non potevano contare su espressioni di solidarietà, ma spesso veniva loro inflitta un pena esemplare in modo da scoraggiare nuovi arrivi di stranieri. Il Jewish Chronicle riferiva, ad esempio, dell’atteggiamento di Mr. Metcalfe, un magistrato della Old Street Police Court, che si era trovato a dover processare tre profughi clandestini e non aveva nascosto il suo disprezzo nei loro confronti:
The way Stateless Jews from Germany are pouring in from every port of this country is becoming an outrage. /…/ The policy adopted by this country – and if I may say so it is a wise policy – is to punish sternly aliens coming into this country illegaly.11)
Di fronte a questo caso, la stampa nazionale 12) si era dimostrata per lo più d’accordo col magistrato e in certi casi aveva colto l’occasione per infierire contro i rifugiati e per alimentare l’odio e i timori della popolazione nei loro confronti: solo il Daily Mail aveva sostenuto che lo sfogo del magistrato era stato inutile, perché, comunque, difficilmente i clandestini sfuggivano alla polizia e alle autorità portuali.
Il settimanale ebraico faceva, inoltre, presente che, sebbene l’Inghilterra fosse un paese liberale e tollerante, non v’era dubbio che gli stranieri non erano graditi e, proprio per questa ragione, anche verso gli ebrei esistevano forti pregiudizi. Se non si poteva ancora parlare – osservava il Jewish Chronicle – di un antisemitismo ufficiale, era, però, lecito credere che esistesse nella società inglese una forma latente di antisemitismo.13)
Il Jewish Chronicle mostrava tra l’altro come gli ebrei si interrogassero continuamente sulle cause dell’ostilità nei loro confronti e come cercassero di opporsi alle accuse rivolte alla comunità ebraica internazionale, asserendone l’infondatezza. Veniva ad esempio riportato il resoconto di un incontro, tra ebrei e non ebrei, organizzato dal Friendly Discussion Circle for Jews and Christians. Da questo dibattito emersero punti di vista interessanti soprattutto riguardo alle possibili soluzioni del problema ebraico. V’era chi, come il non-ebreo, socialista, Mr Stracey,14) sosteneva che l’antisemitismo fosse causato dalla necessità di trovare un capro espiatorio per distogliere l’attenzione dalle difficoltà economiche e che, quindi, ciò che gli ebrei dovevano fare era, semplicemente, impegnarsi, insieme ai non-ebrei, per costruire un miglior sistema economico. Una prospettiva meno ottimistica, ma probabilmente più realista, era quella presentata dallo storico ebreo, Dott. Cecil Roth, che presiedeva l’incontro. Egli esprimeva la convinzione che l’antisemitismo non sarebbe scomparso neppure con la sconfitta del nazismo e del fascismo, ma, anzi, che
Discrimination would continue so long as the Jew retained his identity.15)
Uno studioso di storia ebraica, Mr. Domnitz, riteneva, invece, che l’unica soluzione al problema fosse la creazione di uno Stato ebraico.16) Pieno accordo era stato, infine, espresso da tutti i partecipanti riguardo alla necessità di opporsi al nazismo, il cui credo – si ribadiva – era basato sulla deificazione del male.
L’accusa che veniva respinta con più decisione era quella secondo cui gli ebrei volevano la guerra e tramavano per provocarla: si trattava – asseriva il Jewish Chronicle – di una “mischievous legend”.17) La guerra non avrebbe portato alcun vantaggio né agli ebrei né ad altri; nessuna guerra aveva mai liberato il popolo ebraico dalle oppressioni cui, da sempre, era sottoposto:
What a new war would do for Jews /…/ would be to complete their destruction. If in war there were only losers, they would lose their all. They would be the first and worst sufferers. /…/ only an irreclaimably foolish Jew could expect salvation from such a welter of horror and pain.18)
Gli ebrei, caso mai, – proseguiva la replica del settimanale – sostenevano i movimenti di pace e pregavano perché essi continuassero la loro attività, indipendentemente da chi li avesse promossi.
Il Jewish Chronicle si proponeva anche di confutare le tesi razziste, sulla base delle quali i nazisti ritenevano di poter giustificare la persecuzione del popolo ebraico. Si riportavano i risultati degli studi di famosi ricercatori in vari rami del sapere in modo tale da dimostrare l’illiceità della discriminazione.19) Gli ebrei – si sosteneva – non potevano essere classificati sulla base della misurazione del cranio, come era stato fatto da alcuni teorici del razzismo, perché non esisteva più un “semita puro”: i semiti, infatti, si erano mischiati sia agli abitanti dell’Europa occidentale, che a quelli dell’Europa orientale.20) Era, inoltre, impossibile parlare di una “razza ebraica”, contrapposta a una “razza ariana” poiché, in primo luogo, il termine “ariano” poteva solo riferirsi a una lingua e, in secondo luogo, le analisi sierologiche dimostravano che quello ebraico era un gruppo composito, unito dalla religione e dalla tradizione, più che da caratteristiche anatomiche comuni.
Infine, l’Yiddish, considerata l’antica lingua ebraica era, in realtà, una lingua ariana, un dialetto tedesco, scritto in un corsivo particolare, e ancora, il ‘naso adunco’, da sempre considerato distintivo dell’appartenenza alla “razza ebraica”, era, in effetti, una caratteristica della stirpe “ariana”.
La confutazioni delle teorie razziali nasceva, come si è detto, dalla necessità di difendersi dalle accuse e dalle persecuzioni dei nazisti. Per quanto riguarda l’antisemitismo britannico, in genere, esso non faceva riferimento ad alcuna teoria razziale, ma piuttosto ad una serie di pregiudizi legati all’attività economica e politica degli ebrei: l’ostilità verso gli ebrei nasceva dal sospetto che essi fossero legati al comunismo e che muovessero tutte le leve del potere a livello internazionale (la Società delle Nazioni e la finanza internazionale), oltre che dall’invidia per il loro benessere economico. Tra i movimenti fascisti sorti in Gran Bretagna negli anni Venti e Trenta, solo l’Imperial Fascist League (IFL) di Arnold S. Leese unì a questi pregiudizi anche quelli che si rifacevano alle caratteristiche fisiche dei semiti: in The Fascist, il giornale dell’IFL, venivano spesso pubblicate vignette che mostravano le particolarità anatomiche degli ebrei come ripugnanti e minacciose.
1.2 Il Jewish Chronicle e la British Union of Fascists.
Vere e proprie prese di posizione violente contro gli ebrei si ebbero con il sorgere dei primi movimenti fascisti negli anni Venti: soprattutto i membri dell’ IFL manifestarono il loro antisemitismocon duri attacchi, non solo verbali, contro gli ebrei e, dal 1934, anche la British Union of Fascists (BUF) di Oswald Mosley, come vedremo più dettagliatamente nel capitolo successivo, fece dell’ostilità verso gli ebrei una delle sue principali linee politiche.
Gli episodi di intolleranza, però, furono tendenzialmente inquadrati, sia dagli ebrei che dai non-ebrei, come fenomeni marginali: era convinzione generale che l’antisemitismo potesse essere solo il prodotto di un ambiente degradato e incolto oppure la conseguenza della rivalità economica o di un’esperienza personale particolarmente negativa, ma, che, in nessun caso, fosse lecito parlare di un atteggiamento diffuso e ricorrente nella società britannica, che, da sempre, era considerata un modello di tolleranza.21) Per quanto isolate, però, le manifestazioni di antisemitismo non potevano passare del tutto inosservate da parte della comunità ebraica e del Jewish Chronicle, che ne era la voce. Sfogliando i numeri del settimanale ebraico per il periodo 1938-’39, si nota che esso dedicava particolare attenzione alle attività della BUF e alla sua campagna antisemita. Una rubrica intitolata “Jewish Defence” dava spazio alla cronaca delle manifestazioni fasciste e commentava le prese di posizione antiebraiche di Mosley e dei suoi sostenitori.
Il Jewish Chronicle usava spesso un tono canzonatorio nei confronti dei fascisti e si proponeva di dimostrare lo scarso successo che la loro campagna antisemita riscuoteva tra la popolazione britannica: i comizi di Mosley erano, il più delle volte, accompagnati da manifestazioni di dissenso, sia da parte degli ebrei che dei non-ebrei, i quali si opponevano ai ripetuti tentativi del leader fascista di suscitare risentimento verso quelli che egli definiva sprezzantemente “aliens”.22)
Le manifestazioni fasciste erano quasi sempre presentate dal Jewish Chronicle come dei veri e propri fallimenti: Mosley – secondo il settimanale ebraico – non faceva altro che ripetere le solite accuse contro gli ebrei e la “finanza internazionale ebraica” e, per questo, veniva deriso e ripetutamente interrotto durante i suoi discorsi.
Ecco, ad esempio, alcuni commenti comparsi sul Jewish Chronicle, riguardanti i principali comizi tenuti da Mosley nel luglio del 1938:
/…/ the people of Ealing didn’t care two hoots of what he was saying. They walked up and down they hooted him occasionally, and for the rest reguarded him with contempt 23).
/…/ hostility to him on the part of the local inhabitants in both areas was general. Jeering voices interrupted him continously, and there was a distinct cleavage between the Blackshirts and the general onlookers /…/ 24).
/…/ Whistles, catcalls, singing, and shouting were Mosley’s accompaniment through his meeting. They were not made by Jews who were showing there hatred of Fascism, but by non-Jewish working people who objected to their Sunday rest being disturbed by a crew of imported Blackshirts /…/.25)
/…/ Despite a very high-powered loudspeaker one could hear very little of his speech, because an almost completely anti-fascist audience, numbering between four and five thousand, drowned his remarks with ironical cheering and clapping, /…/. It was, without any exaggeration, the most complete political flop.26)
Queste osservazioni consentono anche di notare la particolare insistenza del settimanale ebraico sul fatto che l’opposizione al fascismo proveniva sia dagli ebrei che dai non-ebrei. Questa precisazione aveva una duplice funzione: da un lato, come si è detto, contribuiva a dimostrare che la propaganda antisemita in Gran Bretagna raccoglieva scarso consenso, dall’altro, permetteva di contrastare, almeno in parte, l’accusa secondo la quale gli ebrei erano i principali oppositori e boicottatori della propaganda fascista.
Tra gli ebrei, che si ritenevano vittime delle provocazioni e degli attacchi fascisti, suscitava ironia e perplessità il fatto che i comizi e i cortei fascisti fossero sorvegliati da un gran numero di poliziotti, che avevano il compito di proteggere Mosley e i suoi seguaci dalla folla antifascista:
The march was, indeed, as significant a display of police power as of Blackshirts impotence. /…/ The greatest precaution was, in fact, taken to ensure that Mosley and his Blackshirts should not be molested. /…/ The March through Lissen Grove, Marylebone Road, … occasioned no disturbances but provoked bewilderment and laughter; for many thought that the police were demonstrating.27)
Il movimento fascista era frequentemente definito un prodotto di importazione e il suo leader era considerato un imitatore di Hitler per il modo in cui cercava di suscitare odio nei confronti degli ebrei, rappresentandoli come i peggiori nemici della nazione britannica. Inoltre, lo stile oratorio di Mosley – sosteneva un corrispondente del Jewish Chronicle – era improntato a quello del Fuhrer e nei suoi discorsi egli non faceva altro che parafrasare il Mein Kampf .28)
I veri nemici della Gran Bretagna erano, invece, agli occhi degli ebrei, proprio i fascisti, che miravano a sviare l’attenzione della popolazione britannica dal grave pericolo che la Germania costituiva per la pace tra le nazioni. La BUF, di per sé, non costituiva una minaccia alla democrazia britannica e agli stessi ebrei, tuttavia, doveva essere contrastata proprio perché trasmetteva un’immagine deformata della Germania e dei suoi obiettivi.
2. La fuga dalle persecuzioni.
Dalla metà degli anni Trenta in poi, come abbiamo visto, si fece viva, nella comunità ebraica, la sensazione che l’antisemitismo stesse contaminando ampi strati della società inglese. Questa sensazione era probabilmente alimentata, oltre che dalla diffusione della propaganda nazista e dal crescente numero di rifugiati ebrei in Gran Bretagna, anche dalla constatazione che l’antisemitismo stava assumendo una dimensione internazionale.
Le notizie provenienti dai paesi dell’Est Europeo denunciavano il ricorso da parte dei governi a provvedimenti antisemiti o comunque prese di posizione che lasciavano trasparire approvazione per la politica antiebraica nazista.
In Ungheria, ad esempio, dove la minoranza ebraica sembrava perfettamente integrata e aveva svolto, fin dalla sua completa emancipazione, nel 1896, un ruolo fondamentale nello sviluppo dello stato e soprattutto nel commercio, nella finanza e nella cultura, venivano ora riesaminati i diritti di cittadinanza di quegli ebrei che non potevano fornire prove della loro discendenza ungherese anteriori al 1851. L’obiettivo era quello di ridurre drasticamente l’influenza della comunità ebraica in Ungheria: il governo, infatti, aveva disposto provvedimenti legislativi che limitassero al 20% la partecipazione degli ebrei alla vita culturale ed economica del paese. Queste misure erano, senza dubbio, l’esito della pressante propaganda nazista, che era stata accolta con approvazione da vari gruppi estremisti ungheresi. Pur senza alcuna dichiarazione ufficiale, era, di fatto, in atto una persecuzione contro la comunità ebraica.29)
Per quanto riguarda la Romania,30) la posizione del governo aveva subito notevoli mutamenti nel corso del 1938. All’inizio dell’anno, l’antisemitismo sembrava aver acquistato forza e si vociferava che il governo avrebbe adottato una linea antisemita, ma, sia Re Carol che i ministri avevano dato rassicurazioni in merito. La conquista del potere da parte di Goga 31) diede, poi, una forte sterzata in senso antisemita: le intenzioni dichiarate erano state così violente che Gran Bretagna e Francia avevano inviato i loro rappresentanti diplomatici a rammentare alla Romania i Trattati per le Minoranze a cui doveva attenersi. Il governo di Goga durò solo poche settimane e a lui successe il patriarca Miron Christea, grazie al quale le misure antiebraiche furono almeno in parte attenuate e l’organizzazione antiebraica della Guardia di Ferro fu sciolta.32) Lo stesso governo aveva di recente introdotto un nuovo Statuto delle Nazionalità che garantiva uguali diritti a tutte le minoranze: la comunità ebraica in Romania sembrava, dunque, nell’opinione del Jewish Chronocle – poter sperare, almeno per il momento, in un giusto trattamento.33)
In Polonia la popolazione ebraica versava in difficili condizioni economiche e il governo non sembrava affatto intenzionato a dare loro il proprio sostegno. Nelle università si erano verificate manifestazioni di antisemitismo: c’erano addirittura stati dei tentativi di delimitare, nelle aule, apposite aree per gli ebrei e gli studenti ebrei erano stati violentemente assaliti. Le promesse di intervento da parte delle autorità non erano state seguite da atti concreti. Le speranze erano riposte nel fatto che la popolazione polacca – a giudizio del Jewish Chronicle – non sembrava nel complesso propensa all’adozione di provvedimenti antiebraici e anche la Chiesa cattolica si opponeva alle persecuzioni.34)
In Cecoslovacchia era cresciuta l’apprensione per una possibile annessione dell’area dei Sudeti da parte della Germania.35) Il governo, però, si stava impegnando per impedire la persecuzione degli ebrei: il Premier, Dott. Hodza, dopo l’Anschluss, aveva garantito che tutti i cittadini avrebbero goduto della protezione dello Stato.36)
In Yugoslavia, soprattutto dopo l’Anschluss, la propaganda nazista aveva iniziato a diffondere letteratura antisemita tra la popolazione, anche se – secondo quanto riferiva il Jewish Chronicle – non aveva ancora esercitato una grande influenza, se non tra la minoranza tedesca.37)
In Albania la stampa non aveva nascosto la propria approvazione alla svolta antisemita italiana , ma già in precedenza c’erano state manifestazioni di sentimenti antiebraici nel paese.38)
La situazione non appariva certo più rosea se si volgeva lo sguardo all’Europa occidentale.39) In Austria la propaganda fascista si faceva sempre più minacciosa nei confronti degli ebrei e nonostante, negli ultimi tempi, il cancelliere Schuschnigg avesse ribadito, in varie occasioni, l’uguaglianza di tutti i cittadini e l’indipendenza dell’Austria dalla Germania, le manifestazioni antisemite si ripetevano ormai con notevole frequenza. Ogni giorno venivano annunciate nuove restrizioni a danno degli ebrei, che in gran numero si preparavano a lasciare il paese. La debolezza di Schuschnigg e, allo stesso tempo, il tragico destino degli ebrei austriaci si erano palesati inequivocabilmente nel marzo del 1938, con l’annessione dell’Austria al Reich tedesco. Da allora si era instaurato un regime di terrore: ebrei picchiati, negozi distrutti, capi delle comunità ebraiche arrestati e condotti in campi di concentramento, avvio del processo di “arianizzazione” della società e delle istituzioni.40)
In Italia il regime fascista, dopo una lunga campagna di stampa contro gli ebrei, aveva adottato provvedimenti razziali che – sosteneva il settimanale ebraico – erano la prova della sua dipendenza dalla Germania e dimostravano quanto poco ci si potesse fidare delle promesse dei dittatori: il duce, infatti, aveva sempre negato l’esistenza di un problema ebraico in Italia.41)
In Spagna, il governo repubblicano aveva promesso libertà per gli ebrei, ma la situazione verteva a favore dei nazionalisti del generale Franco, che potevano contare sull’aiuto di Italia e Germania e sul non intervento di Gran Bretagna e Francia. Il Generale Franco era stato, in più occasioni, accusato di antisemitismo e la radio dei ribelli franchisti si era mostrata indulgente verso le persecuzioni degli ebrei.42)
In Francia, la propaganda nazista tentava disperatamente di far attecchire il disprezzo verso gli ebrei e, soprattutto nell’Alsazia-Lorena, la zona tedescofona, alcuni sostenitori del nazismo manifestavano il loro antisemitismo. Léon Blum, il Primo Ministro francese, essendo ebreo, era uno dei bersagli preferiti degli antisemiti. Tuttavia essi ottenevano scarsi successi e la Francia, nel complesso, si manteneva fedele alle proprie tradizioni umanitarie.43)
Negli ultimi numeri del 1938 del Jewish Chronicle si facevano più frequenti le accuse di un ritorno, per gli ebrei, a condizioni di vita medievali a causa dell’adozione di provvedimenti sempre più restrittivi e crudeli da parte degli stati europei.
In generale la diffusione della propaganda antisemita in Europa aveva lasciato agli ebrei poche aree in cui continuare a condurre la loro vita, senza il timore di essere soggetti a persecuzioni.
Il problema maggiore diventava, ora, per i perseguitati, quello di trovare un rifugio sicuro e, per le nazioni che li accoglievano, quello di gestire il crescente numero di profughi ed evitare i problemi di convivenza con il resto della popolazione. La questione dei rifugiati non riguardava soltanto l’Europa, ma coinvolgeva tutte quelle nazioni in cui esistevano degli insediamenti ebraici o dove gli ebrei ritenevano di poter trovare protezione dalle persecuzioni o, ancora, dove erano nati movimenti nazionalisti di tipo fascista o nazista.
2.1 La conferenza internazionale di Evian.
Fu proprio allo scopo di trovare una soluzione al problema dei rifugiati che il governo degli Stati Uniti decise di convocare una internazionale alla quale avrebbero partecipato trenta nazioni e che si sarebbe tenuta nella cittadina francese di Evian tra il 6 e il 15 luglio 1938.44)
La comunità ebraica internazionale accolse con entusiasmo l’annuncio della conferenza e il Jewish Chronicle espresse la propria soddisfazione e la convinzione che si sarebbe giunti a risultati importanti per il popolo ebraico:
The summoning, by the United States Government, of an international conference to concert measures for facilitating the latest Jewish exodus is, indeed, an epoch-making event. /…/ the nations are awaking to their own responsabilities towards the Jews /…/ the Jewish problem is at last stamped as an international problem, towards the easing, if not the solution, of which the Christian conscience must make its contribution.45)
Ciò che più contava, al di là del trovare una soluzione alla questione ebraica, era, appunto, – secondo il Jewish Chronicle – che ci si fosse finalmente resi conto della brutalità delle persecuzioni naziste e della sofferenza inflitta agli ebrei e ad altre minoranze e, inoltre, che si fosse riconosciuta la dimensione mondiale del problema dei rifugiati:
More decisively than ever, the Jewish question has now been recognised as a non-Jewish one, in fact a world-problem – a problem of civilisation.46)
La conferenza di Evian si proponeva di rispondere ad un interrogativo ricorrente, sia tra gli ebrei che tra le autorità incaricate di far fronte al crescente afflusso di profughi: ci si chiedeva dove i perseguitati potessero trovare accoglienza e insediarsi stabilmente, senza che la loro presenza comportasse problemi di convivenza con altri popoli o gravasse sull’economia delle nazioni che li ospitavano.
Ciò che gli ebrei si aspettavano dalla conferenza di Evian era riassunto in tre memoranda presentati da varie organizzazioni ebraiche.47) Si chiedeva che fosse agevolata l’immigrazione ebraica in Palestina, rivedendo i limiti previsti dal Mandato britannico, creando la possibilità di nuovi insediamenti in aree non ancora sviluppate (Negev, Transgiordania) e permettendo agli ebrei di portare con sé i loro capitali. Veniva poi fornita una stima dei costi dell’evacuazione di circa mezzo milione di profughi dalla Germania e si insisteva sulla necessità di raggiungere un accordo con la Germania per consentire lo spostamento di capitali ebraici. Inoltre i rappresentanti delle comunità ebraiche premevano per la costituzione di un comitato inter-governativo permanente, che, in collaborazione con le associazioni di volontariato, si occupasse degli aiuti ai rifugiati, e di una organizzazione per la raccolta di fondi da destinare agli emigranti. Particolare attenzione veniva richiesta per la condizione di pericolo in cui si trovavano gli ebrei in Polonia, Romania e Ungheria, dove la propaganda antisemita stava assumendo proporzioni preoccupanti. Infine da tutte le organizzazioni ebraiche giungeva l’invito pressante a condannare le persecuzioni antiebraiche e le restrizioni dei diritti degli ebrei, in primo luogo in Germania, ma anche negli altri paesi dove gli ebrei stavano subendo ingiustizie.
Il desiderio più vivo nella maggior parte degli ebrei era quello di tornare in Palestina,48) ma le limitazioni imposte dal Mandato britannico, la difficile situazione, che si era creata in quell’area a seguito degli attriti tra arabi ed ebrei, oltre che a causa degli interessi contrastanti tra le potenze coloniali, avevano fatto sì che non la si considerasse adatta ad accogliere i profughi ebrei. Il Jewish Chronicle manifestò la propria delusione quando il delegato britannico ad Evian, Lord Winterton, escluse la possibilità di nuovi insediamenti di rifugiati ebrei in Palestina: le parole di Lord Winterton venivano definite dal settimanale ebraico come “non incoraggianti” e paragonate ad una “pillola amara”.49) Il delegato britannico si era limitato a riferire delle trattative in corso per eventuali insediamenti in Kenya e in altre zone dell’Africa orientale.
Nel corso della conferenza non si giunse, in realtà, a nessun accordo riguardo alle possibili aree di insediamento per i rifugiati, sia per i contrasti tra le varie nazioni rappresentate ad Evian, sia perché, in ogni caso, la decisione di indirizzare i profughi in un’area stabilita a tavolino difficilmente sarebbe stata accolta senza obiezioni da tutti i profughi, oltre che dalle popolazioni dei territori designati.
Malgrado il grande interrogativo sul dove non avesse trovato risposta, la conferenza internazionale di Evian portò, comunque, qualche frutto: furono infatti fissati dei punti d’accordo importanti per la tutela dei diritti dei rifugiati 50) e, inoltre, si decise di istituire un comitato permanente per decidere gli interventi e coordinare gli aiuti a favore dei profughi. Il Jewish Chronicle riportava che la conferenza si era chiusa in un clima di ottimismo: i partecipanti avevano espresso la convinzione che l’incontro di Evian avesse rappresentato l’avvio di un processo, al termine del quale si sarebbe ottenuto “a real improvement in the life and prospects of many millions”.51)
2.2 La persecuzione degli ebrei in Germania nel 1938.
La persecuzione degli ebrei in Germania era iniziata fin dai primi mesi successivi l’ascesa di Hitler al potere, avvenuta nel gennaio del 1933. Gli ebrei erano stati progressivamente emarginati della vita culturale e pubblica, ma solo nel settembre del 1935, con le “leggi di Norimberga”, essi ricevettero lo status di razza inferiore e furono ufficialmente dichiarati “soggetti”. In generale, si tese ad impedire ogni relazione tra ebrei ed “ariani” e, pertanto, si procedette a limitare la presenza ebraica in tutti gli ambiti lavorativi e culturali. Gli ebrei reagirono emigrando in gran numero, tra il 1935-’38, verso le nazioni europee ritenute sicure, ma molti restarono, confidando in un ritorno alla normalità, che ancora credevano possibile.
La situazione degli ebrei in Germania, vista dal Jewish Chronicle, era, nei primi mesi del 1938, indubbiamente drammatica, ma la vera e propria tragedia non era ancora iniziata. Il Jewish Chronicle, riportò, nei primi mesi dell’anno, notizie che testimoniavano il progressivo aggravarsi della situazione:
/…/ the prospect is diquieting. /…/ Barely a day passes without some new blow falling upon the hapless Jewish population. /…/ the staggering Jewish tragedy is being hurried to its denoument .52)
Si trattava, almeno per il momento, di una persecuzione, che mirava a boicottare gli ebrei a livello sociale ed economico, privandoli delle libertà personali e di qualsiasi fonte di sostentamento e costringendoli ad abbandonare le loro case e la nazione.
Nonostante l’inasprimento dei provvedimenti antisemiti, gli ebrei ritenevano di non dover deporre del tutto la speranza. Speranza che, se non la Germania, almeno le altre nazioni, le democrazie occidentali, prendessero coscienza delle sofferenze del popolo ebraico e intervenissero per farle cessare:
Nevertheless, Jews must not, even if only because they dare not, despair. They must /…/ face the future with fortitude, in the certainty that the right must, in the long run, prevail /…/. They must also steadily let in the light on Jewish sufferings, and tirelessly reiterate their appeals to the consciences of the nations.53)
Nel giugno del ’38, però, si ebbe un ulteriore giro di vite: iniziò la fase degli arresti a cui seguirono l’avvio ai campi di concentramento e ai lavori forzati. Hitler stava realizzando quel folle progetto da lui stesso preannunciato nel Mein Kampf: fare degli ebrei un popolo di schiavi. Emergeva, quindi, con drammatica evidenza, che la prima fase della persecuzione, quella della privazione dei diritti, era stata soltanto una tappa preparatoria a qualcosa di ben più inumano e doloroso:
They have been hounded, isolated, and largerly despoiled. /…/ What else can they lose who have lost their human standing and their belongings? Can Nazi brutality go farther? The answer is yes. The Jews plundered like prisoners of war, still possess a valuable property on which the Nazi cast covetous eyes – their power of work .54)
Eppure, anche in questa situazione, apparentemente senza via d’uscita e che lasciava prevedere solo nuove sofferenze, la comunità ebraica sembrava trovare ancora, quasi spinta da una stoica incoscienza, un appiglio per continuare a sperare. Questa volta – secondo quanto riportava il Jewish Chronicle – la fiducia era riposta nella popolazione tedesca. Gli ebrei, infatti, ritenevano che la loro riduzione in schiavitù avrebbe danneggiato i lavoratori tedeschi, costringendoli a svendere la loro forza lavoro, che, in ogni caso, non sarebbe stata preferita a quella “gratuita” fornita dagli schiavi ebrei. Era, pertanto, possibile che i lavoratori tedeschi si mostrassero solidali verso gli ebrei e esprimessero il proprio dissenso alle persecuzioni:
/…/ we may aspect to see the “Aryans”, by pressure of economic circumstances, forced to link up once more with their Jewish fellow-victims. And so the wheel of persecution may one day come full circle – sooner, perhaps, than the Nazi think 55).
Si nota, da parte del Jewish Chronicle, la tendenza a distinguere, all’interno della popolazione tedesca, tra gli uomini del regime, da un lato, e coloro che devono sottostare alle imposizioni, ma non approvano il nazismo. Un’ulteriore distinzione è, poi, quella tra i tedeschi che hanno avuto l’opportunità di conoscere personalmente gli ebrei e di vivere a contatto con loro, prima che il nazismo imponesse l’emarginazione ebraica, e, invece, i tedeschi della nuova generazione che sono cresciuti senza la conoscenza dell’ebreo come individuo, ma soltanto degli “ebrei” così come erano presentati dalla propaganda nazista, e dunque come gruppo alieno e nemico. Questo spiega il fatto che sul settimanale ebraico si leggano affermazioni apparentemente contrastanti come le seguenti:
/…/ It has been said that the persecution of the Jews in Germany is especially horrifying because the Germans are a civilized people, but this is a fallacy; the persecutions are especially horrifying because the Germans are not a civilezed people; their senseless cruelties during the Great War /…/ disclosed their true nature and inclinations.
/…/ It must not be thought that the ordinary German approves of this. On the contrary, there is sincere sympathy for the Jews among all classes of the population. People are even willing to take a certain risk to show their friendliness.56)
Oltre a coloro che si mostravano solidali verso gli ebrei, perché avevano avuto rapporti di amicizia con loro, o, comunque, perché trovavano ingiusta la loro discriminazione e persecuzione, c’erano altri – secondo quanto riferiva il Jewish Chronicle – che si opponevano al nazismo, per il semplice fatto che, dall’inizio della dittatura, le loro condizioni di vita erano progressivamente peggiorate, fino a diventare insostenibili.
Le difficoltà economiche della Germania sono uno degli aspetti a cui il settimanale ebraico attribuiva particolare rilievo, con la dichiarata intenzione di mostrare come, in realtà, l’immagine di nazione forte ed economicamente indipendente, che Hitler e i suoi sostenitori volevano ostentare, non corrispondeva all’effettiva situazione dello stato tedesco.
“Hitler – ironizzava un ebreo tedesco che scriveva per il Jewish Chronicle – è molto orgoglioso del sistema finanziario nazista. Evidentemente non sa quello che i suoi luogotenenti, Schacht, Brinkman, e Schwerinkrosigk (il suo Ministro della Finanza) dicono apertamente e scrivono sulla stampa finanziaria tedesca.”57) Il Fuhrer vantava la solidità dell’economia tedesca e adduceva come esempi l’assenza di disoccupazione, la stabilità dei prezzi e l’indipendenza dai paesi stranieri per quanto riguardava le materie prime; contemporaneamente i suoi collaboratori ammettevano che le scelte economiche naziste avrebbero avuto conseguenze insostenibili e le stesse statistiche ufficiali dimostravano il costante peggioramento del tenore di vita, l’aumento dei prezzi e la qualità scadente dei beni di consumo. La disoccupazione in Germania – sosteneva il giornalista ebreo – era, sì, praticamente inesistente, ma questo perché molti tedeschi erano stati impiegati negli apparati militari nazisti oppure avevano preso il posto delle centinaia di migliaia d’ebrei arrestati o emigrati: la crescita dell’occupazione non aveva avuto, però, come conseguenza alcun miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Un’economia di guerra, come quella tedesca, – concludeva il corrispondente del Jewish Chronicle – non poteva che portare ad un progressivo indebitamento dello stato e all’impossibilità di far fronte alle necessità interne.
2.2.1 I pogrom di novembre
Tra l’estate e l’autunno del 1938, furono introdotti in Germania nuovi provvedimenti che aggravarono ulteriormente la situazione degli ebrei e nel novembre la violenza nazista raggiunse livelli tali da suscitare il biasimo e l’indignazione di tutta Europa e non solo. Un duro colpo fu, inoltre, inferto alla comunità ebraica internazionale dalla svolta antisemita di Mussolini, che fino a poco tempo prima aveva negato l’esistenza di un problema ebraico in Italia ed aveva offerto accoglienza agli ebrei in fuga dai territori del Reich.
Nel riferire delle nuove misure antiebraiche adottate dalla Germania, il Jewish Chronicle notava come gli obiettivi che il nazismo intendeva raggiungere attraverso le persecuzioni, fossero cambiati in modo preoccupante nel corso degli anni. Nel 1933, le ambizioni naziste erano quelle di eliminare l’influenza ebraica in Germania e, quasi a giustificare questa scelta agli occhi del mondo, si insisteva sulla presunta inferiorità razziale degli ebrei tedeschi. L’antisemitismo, in realtà, – nell’opinione del settimanale ebraico – era, allora, soprattutto un modo per sviare l’attenzione delle nazioni europee dal massiccio riarmo intrapreso dal regime e distrarre il popolo tedesco dalle difficoltà economiche interne. Nel 1938, invece, l’obiettivo che il Fuhrer si proponeva era di annientare gli ebrei di tutto il mondo, accusati di volere la rovina di tutte le nazioni per l’impossibilità di averne una propria. Gli ebrei tedeschi erano, dunque, soltanto le prime vittime dello sciagurato progetto nazista, poiché l’antisemitismo tedesco – avvertì il Jewish Chronicle – mirava a varcare i confini nazionali e ad assumere le connotazioni di un vero e proprio genocidio.
Nel frattempo, in Germania, la libertà personale degli ebrei subiva restrizioni sempre più inaccettabili. Nel settembre del 1938, i medici furono, salvo rare eccezioni,58) impossibilitati ad esercitare, privati dei loro diplomi e costretti ad abbandonare i loro ambulatori e con essi le loro case; inoltre, prese il via una campagna di stampa per il ritiro delle patenti di guida, allo scopo – si sosteneva – di ridurre il numero di incidenti sulle strade. Nell’ottobre di quell’anno, gli avvocati furono interdetti dalla professione, tranne alcuni, che però potevano offrire consulenza esclusivamente a clienti ebrei; le banche potevano assumere un solo dipendente ebreo; gli ebrei tedeschi ed austriaci dovevano provvedere a far stampare una “J”59) sui loro passaporti, pena la confisca del passaporto e una multa o altre punizioni non meglio precisate. Proseguiva, contemporaneamente, il sequestro di beni e capitali ebraici.
Nel novembre l’assassinio a Parigi di un diplomatico tedesco,60) ad opera di un giovane polacco di origine ebraica, in segno di protesta e di disperazione per la deportazione dei suoi genitori, offrì l’occasione ai nazisti per dare prova della loro ferocia e crudeltà. Un’ondata di violenza, senza precedenti, accompagnata da ulteriori provvedimenti restrittivi, si abbatté sugli ebrei di tutti i territori del Reich.
Poche righe, tratte da un articolo pubblicato in quei giorni sul Jewish Chronicle, offrono un quadro drammatico e sconvolgente della situazione degli ebrei, in seguito a quelli che vengono tristemente ricordati come i “pogrom di novembre”:
At one stroke, German Jewry has been reduced to a community of beggars, their meagre resources snatched away, their lives broken up, the threat of the ghetto hanging over them. Their shops have been smashed, their Synagogues burnt, their children terrorized, and menfolk imprisoned – all to make a Nazi holiday.61)
Il settimanale ebraico rifiutava la versione dei fatti fornita dai nazisti, secondo cui gli atti di violenza sarebbero stati commessi da gruppi di teppisti non organizzati, che avevano spontaneamente reagito alla notizia dell’assassinio di vom Rath. Hitler ed i suoi collaboratori – accusava il Jewish Chronicle sulla base di “informazioni attendibili, provenienti da Berlino”62) – avevano, in realtà, pianificato i pogrom, prima ancora che l’assassinio avesse luogo e quell’evento, semmai, servì da pretesto per dare inizio alla nuova fase di barbarie.
Come se le violenze non bastassero – proseguiva il commento indignato del Jewish Chronicle – furono anche introdotte nuove leggi antiebraiche, che prevedevano una lunga serie di interdizioni, e la comunità ebraica fu condannata al pagamento di una multa, pari a circa ottanta milioni di sterline, per l’assassinio del diplomatico tedesco, oltre che costretta a risarcire i danni alle proprietà, causati dai vandali nazisti.
I pogrom suscitarono – secondo quanto riferì il Jewish Chronicle – un’unanime espressione di biasimo nei confronti del regime nazista da parte di tutte le nazioni civili, che manifestarono solidarietà e cordoglio alla comunità ebraica tedesca. Negli Stati Uniti la popolazione organizzò cortei e dimostrazioni per chiedere una netta presa di posizione contro la Germania e il governo decise di richiamare in patria il proprio ambasciatore a Berlino. Le proteste non cessarono e lo stesso Presidente Roosevelt denunciò pubblicamente le atrocità naziste ed espresse il proprio turbamento di fronte alla brutalità delle persecuzioni:
I myself could scarcely believe that such things could occur in a twentieth-century civilisation.63)
In Gran Bretagna, dichiarazioni di ostilità verso il regime nazista giunsero dal mondo politico, dalla stampa e dalla Chiesa e si negò qualunque possibilità di un ravvicinamento tra le due nazioni, se Hitler avesse proseguito sulla strada della violenza.
Dalla Francia, attraverso le pagine del quotidiano Le Temps, si avvertì che la politica adottata dalla Germania nei confronti degli ebrei non avrebbe fatto altro che accrescere la sfiducia dell’opinione pubblica internazionale verso il regime nazista.
Il Jewish Chronicle ammetteva l’importanza di questo fronte comune contro la politica antiebraica della Germania, ma, allo stesso tempo, faceva notare che Hitler e i suoi collaboratori non avrebbero certamente badato all’indignazione del resto del mondo, perché, pur di affermare la supremazia tedesca, erano pronti allo scontro con le altre nazioni e persino al loro annientamento:
The Nazis know very well that their ideology and their policy involve destruction of others and that logically they cannot avoid in their progress encounters with the other Powers. They accept this inevitability with what they like to reguard as “heroic pride”64).
La dimostrazione fu data dal fatto che, nel periodo successivo ai pogrom di novembre, quasi ogni giorno vennero introdotti decreti o regole allo scopo di rendere sempre più insopportabile e dolorosa la vita degli ebrei che non erano in grado di fuggire. In alcune zone furono creati dei ghetti; migliaia di ebrei, ma non solo, erano rinchiusi nei campi di concentramento o nelle prigioni, costretti ai lavori forzati e la minaccia che incombeva su di loro era che, in caso di guerra, sarebbero stati massacrati.
Durante gli anni di guerra, le informazioni che giungevano in Inghilterra sulle condizioni degli ebrei nei campi di concentramento nazisti erano molte, ma, fino al 1942, il responsabile politico per la difesa in tempo di guerra (Political Welfare Executive) insistette affinché i resoconti riguardanti la sorte degli ebrei fossero accompagnati da relazioni dettagliate e tutte le pubblicazioni che avrebbero potuto suscitare tra i nazisti il sospetto di simpatie verso gli ebrei, furono ufficialmente disapprovati.65)
Per quasi tutta la durata del conflitto – come rivela Laqueur66) – i governi inglese e americano tesero a non rendere pubbliche o a sdrammatizzare le notizie che filtravano sulla “soluzione finale”. Nel caso della Gran Bretagna – che qui più ci interessa – le possibili ragioni per un simile atteggiamento furono molteplici. Secondo Wasserstein la Gran Bretagna non voleva creare ulteriori motivi di frizione con la Germania, ma soprattutto temeva di dover far fronte ad una migrazione di massa di ebrei.67) Laquer riferisce che spesso le agghiaccianti notizie provenienti dall’Europa dell’Est e dalla Germania non furono ritenute veritiere oppure si pensò che l’opinione pubblica le avrebbe considerate “menzogne propagandistiche degne di Goebbels”.68) Nel luglio del 1941 comitato di programmazione del ministero dell’informazione (MOI), – secondo quanto riporta lo stesso storico – era giunto alla conclusione che “una certa dose di orrore era necessaria nella propaganda interna britannica”, ma “andava usato con parsimonia” doveva riferirsi al trattamento di “persone indiscutibilmente innocenti”, non agli oppositori politici e non agli ebrei. La gente, infatti, secondo il comitato, pensava che “le vittime fossero dopotutto persone poco raccomandabili”.69) C’era, però, – secondo uno storico del MOI la cui opinione è riportata da Laqueur – un’altra ragione di fondo per il parziale silenzio della stampa inglese sull’olocausto, e cioè che “il ministro dell’informazione quasi certamente esitò a causa del frequente pregiudizio nella comunità britannica contro gli ebrei”.70) In accordo con questa affermazione, Bolchover sostiene che, probabilmente, il silenzio del Jewish Chronicle non fu solo l’esito di un’imposizione dall’alto, ma fu, in parte, anche una scelta della redazione del settimanale ebraico, che, temendo di alimentare l’antisemitismo entro i confini nazionali, preferì assumere un atteggiamento di parziale distacco rispetto alle persecuzioni e ai massacri.71)
Cesarani commenta così il silenzio del Jewish Chronicle e della Gran Bretagna:
Son silence est le reproche le plus éloquent fait à une societé qui, par cela seul qu’ils étaient juifs, manquait à son devoir face à des etres humains innocents ménacés d’anéantissement.72)
Questa espressione di biasimo, insieme a quelle, che, in modo più o meno esplicito, emergono anche dalla lettura del Jewish Chronicle, rivela che l’Inghilterra, nella sua posizione “privilegiata” di nazione democratica, avrebbe potuto e dovuto farsi carico, quantomeno, della denuncia di quello che stava accadendo a poche miglia di distanza dai propri confini, ma che, invece, scelse di “non dire”.
3. L’adozione dei provvedimenti antisemiti in Italia.
Della condizione degli ebrei in Italia, prima dell’introduzione della legislazione razziale, ci siamo già occupati nel capitolo precedente. Basterà, pertanto, ricordare qui che, dopo l’emancipazione ottenuta durante il Risorgimento, la comunità ebraica in Italia aveva raggiunto un livello di integrazione notevole e non si erano registrati particolari problemi di convivenza con il resto della popolazione. Al momento della conquista del potere da parte di Mussolini, nonostante questi avesse avuto, fin dall’inizio, un atteggiamento ambiguo verso gli ebrei, non sembrarono esistere forti motivi d’attrito tra il regime e la comunità ebraica; anzi, non pochi furono gli ebrei che aderirono al partito fascista.73) Per queste ragioni, l’adozione di misure discriminatorie nei confronti degli ebrei, nel corso del 1938, colse impreparati in primo luogo gli ebrei italiani, e successivamente anche le comunità ebraiche all’estero, che non riuscivano a trovare altra spiegazione ad un simile voltafaccia se non nel progressivo avvicinamento dell’Italia alla Germania.
3.1 Le prime avvisaglie: l’antisemitismo nella stampa fascista.
La stampa fascista aveva dato inizio, già nel corso del 1936-’37, ad una campagna antiebraica, che siera fatta via via più violenta, pur se accompagnata da smentite ufficiali riguardo all’esistenza di un problema ebraico in Italia e interrotta per brevi periodi.74)
Nel 1938, il Jewish Chronicle seguì con attenzione l’evoluzione dell’antisemitismo in Italia e diede voce alla preoccupazione degli ebrei britannici per il futuro dei loro correligionari, quando da attacchi sulla stampa si passò a veri e propri decreti legge.
Fin dal gennaio di quell’anno, l’occasione per parlare di misure antiebraiche venne dall’annuncio della visita di Hitler in Italia, prevista per il maggio. Il timore di manifestazioni di protesta, soprattutto da parte degli ebrei tedeschi che avevano trovato rifugio in Italia, aveva allertato le autorità fasciste, che, in collaborazione con la polizia segreta tedesca, iniziarono a esaminare i dossier degli individui ritenuti pericolosi, a rendere più severi i controlli alle frontiere, a rifiutare l’ingresso ad alcuni viaggiatori ebrei e a sottoporre ad interrogatori i corrispondenti stranieri di origine ebraica. Intanto la stampa fascista sparava a raffica contro gli ebrei: Roberto Farinacci, il direttore di Regime Fascista ed ex Segretario del Partito Fascista, chiedeva l’introduzione di un numerus clausus per limitare la partecipazione degli ebrei alla vita pubblica e sociale; La Stampa di Torino pubblicava un articolo sui Protocolli dei Savi Anziani di Sion, nel quale si sosteneva che quelli erano la vera espressione del carattere e della mentalità ebraica e chiunque li avesse letti si sarebbe reso conto dei mezzi ingegnosi che gli ebrei usavano per conquistare il mondo; infine, sul Popolo d’Italia, Virginio Gayda – che il Jewish Chronicle definiva “il giornalista italiano più influente” – commentava favorevolmente il programma antisemita del governo rumeno.75)
Come si è accennato, però, le notizie in merito ad un’imminente adozione di provvedimenti antisemiti in Italia venivano puntualmente smentite e accompagnate da affermazioni che non mancavano di alimentare le speranze degli ebrei, i quali, in fondo, non riuscivano a credere che Mussolini facesse sul serio. Piuttosto, ritenevano che la campagna di stampa antiebraica, da lui voluta, fosse un modo per compiacere il Fuhrer, ma che in Italia non si sarebbe mai giunti agli eccessi nazisti. Due, in particolare, furono le affermazioni, pubblicate nell’Informazione Diplomatica n. 1476) e attribuite al duce, che fecero ben sperare gli ebrei: innanzitutto, si smentivano le voci che volevano il governo fascista in procinto di “inaugurare una politica antisemita”, inoltre, si dichiarava che “il governo fascista era fermamente contrario all’uso di minacce o pressioni di qualsiasi tipo, dirette o indirette, contro le convinzioni religiose della comunità ebraica o allo scopo di conseguire un’assimilazione fittizia”. Il fatto, poi, che il secondo numero del settimanale antisemita, Il Giornalissimo,77) non fosse uscito, fu interpretato dal Jewish Chronicle come l’esito di un probabile richiamo del governo alla stampa, affinché cessasse i violenti attacchi agli ebrei.
In realtà, la stampa italiana non smise affatto di lanciare accuse contro gli ebrei e, presto, il settimanale ebraico si trovò nuovamente alle prese con articoli a carattere antiebraico, pubblicati dagli organi fascisti. Jewish Chronicle notò, ad esempio, che Il Tevere e il Regime Fascista, nel commentare la dichiarazione contenuta nell’Informazione Diplomatica,78) avevano dato risalto ad altre affermazioni ed erano giunti a conclusioni ben diverse:
Il Tevere declares that the statement admits that the Press controversies were caused by the fact that the anti-Fascist movement was directed by Jewish elements. The controversies were therefore fully justified and were allowed to continue, because anti-Fascism and Judaism were identical /…/. Il Tevere tries to deduce /…/ that the Italian Government intends to introduce a numerus clausus for Jews /…/.
Il Regime Fascista asserts that all Jews, even if divided among themselves, are decidedly anti-fascist /…/. No person of a different race or of a different country can be permitted in position of command in the Italian nation.79)
Nell’aprile del ’38 fervevano i preparativi per l’imminente visita di Hitler in Italia e questo significò anche un intensificarsi delle misure di sicurezza: fu ordinato l’arresto, entro sette giorni prima dell’arrivo del Fuhrer, di tutti coloro che erano considerati “individui sospetti”, inclusi tutti gli ebrei che non erano membri del Partito Fascista. Nel frattempo era ripresa la pubblicazione del Giornalissimo, che aveva addirittura acquisito lo “status” di organo indipendente, mentre prima compariva come supplemento ad altri giornali. I contenuti erano sempre gli stessi:
/…/ attacks on Jews and Judaism, and on non-Jewish “protectors” of the Jews, among whom are included President Roosevelt, and /…/ all the usual lies about the “Protocols of the Elders of Zion” /…/.80)
Gli ebrei italiani e con essi anche quelli britannici attendevano, però, con fiducia un cambiamento nell’atteggiamento del governo italiano verso le comunità ebraiche, in seguito ad un cambiamento sulla scena politica europea, che sembrava aver creato una frattura nelle relazioni tra Italia e Germania. L’annessione forzata dell’Austria al Reich, avvenuta nel marzo di quell’anno, aveva, infatti, suscitato l’evidente disappunto di Mussolini: egli si era mostrato contrariato dalla brutalità di quell’azione e dalla persecuzione di cattolici ed ebrei; inoltre, la diplomazia italiana aveva iniziato a lavorare per rafforzare l’opposizione alla “Drang nach Osten“81) nazista. Il risentimento per la violenza dei metodi nazisti si faceva sentire anche nei paesi dell’Est, dove furono mitigati, almeno in parte, i provvedimenti contro gli ebrei.
Il Jewish Chronicle si chiedeva se, ora che il duce era in disaccordo con Hitler e non aveva più motivo di compiacerlo, l’Italia avrebbe finalmente posto fine alla immotivata campagna antisemita, intrapresa – insisteva il settimanale ebraico – in seguito ad un momentaneo eccesso di entusiasmo verso il nazismo da parte “dell’ala estrema del fascismo”:
Is it too hopeful to expect that in Italy, too, Signor Mussolini will now call a definite halt to the anti-Semitic campaign which had been so unwisely sponsored not so many months ago in a burst of enthusiasm for Nazi ideals by the extreme wing of Fascism /…/? For nothing could be more out of keeping with Italy’s great traditions and invaluable part played by her distinguished Jewish Communities in the “Risorgimento”.82)
Non si ebbero, tuttavia, iniziative di particolare rilievo in questo senso e nei mesi di maggio e giugno le notizie dall’Italia riguardarono soprattutto la possibilità che venisse costituito uno stato ebraico, in Abissinia, o comunque non in Palestina.83) Dopo aver dato spazio, nei primi mesi dell’anno all’attesa visita di Hitler in Italia, Il Jewish Chronicle non diede, poi, molto risalto all’evento, che ebbe luogo tra il 3 e il 9 maggio. Continuò, invece, fino al luglio, l’altalena di annunci e smentite di nuove misure antiebraiche, ma per quasi cinque mesi, dopo l’Informazione Diplomatica del febbraio, non vi furono altre prese di posizione ufficiali del regime fascista.84)
3.2 La reazione del “Jewish Chronicle” all’introduzione delle leggi razziali.
Il 14 luglio 1938 fu pubblicato, da tutta la stampa italiana, il cosiddetto Manifesto degli scienziati, ma solo alla fine del mese apparvero le prime reazioni del Jewish Chronicle al documento e le conclusioni a cui si giunse furono, da un lato, quella di considerare ormai completo l’allineamento del fascismo al nazismo e, dall’altro, quella di prevedere un triste futuro per gli ebrei in Italia:
With the publication by a group of University professors, under the auspicies of the Italian Ministry of Propaganda, of a document approving of racialism and all the “Aryan” mouthings of Nazi theorists, it has been clear to the world at large that Italian Fascism has at least entered a phase where anti-Semitism is likely to become as integral a part of it as of German Nazism. /…/ To-day, after four years’preparation, the stage seems finally set for another onslaught against a helpless Jewry.85)
In realtà, uno solo dei dieci paragrafi del Manifesto era riferito agli ebrei, gli altri contenevano affermazioni sull’esistenza delle razze, sull’appartenenza degli italiani alla “razza ariana” e sulla necessità di evitare ogni ibridismo, ma risultava chiaro che l’intento principale era quello di fondare scientificamente e ideologicamente l’antisemitismo di Stato.86)
Il Jewish Chronicle riportò, in quell’occasione, anche una breve rassegna della stampa italiana: i giornali fascisti manifestarono entusiasmo per la nuova campagna razziale e preannunciò notevoli risvolti a livello politico e sociale, come, ad esempio, l’introduzione del numerus clausus all’Università e nel servizio civile; la pubblicazione di una nuova rivista dal titolo La Difesa della Razza, che si sarebbe occupata dei problemi della “razza”, e la politica razziale come materia di studio nelle scuole e nelle università. Il settimanale ebraico fornì, inoltre, una sintesi delle tappe principali dell’antisemitismo italiano, corrispondenti, in buona parte, agli eventi che avevano segnato il progressivo avvicinamento dell’Italia alla Germania. Il Jewish Chronicle, infatti, fin dall’inizio del 1938, aveva espresso la convinzione degli ebrei britannici, e anche di molti non-ebrei, che l’antisemitismo italiano altro non era se non una diretta conseguenza dell’influenza tedesca sulla politica italiana e della volontà del duce di stringere un’alleanza con il Fuhrer:
Up till the present (Feb. 1938), the domestic policies and practices of the two countries have marched in step /…/. One main point of difference existed – in the treatment of the respective Jewish Communities. /…/ the increasingly violent and incessant anti-Jewish tirades in the controlled Italian Press, must have prepared our readers for a change in the Italian policy towards the Jews; /…/ The cementing of ideological relations is already in progress /…/ somebody has to be sacrificed on the altar of Nazi-Italian intimacy /…/. 87)
Al di là di questo bisogno da parte di Mussolini di guadagnarsi la fiducia dell’alleato e garantire la comunione di intenti tra i membri dell’Asse, il Jewish Chronicle non trovava altri elementi che giustificassero una campagna razziale in Italia:
A salient feature of the new Italian racialism is that it rests on no foundation of reason. /…/ there is not, from the point of view of national self-interest, even a shadow of justification for starting a “protective” campaign against Italian Jews. /…/ If the essentially irrational nature of the new anti-Semitism needed any further exposition, it could be found in the fact that by starting a race campaign agaist Italian Jews, who have been settled in the country for over 2,000 years, Mussolini is showing himself false to the tradition of the Roman Empire of which he proudly boasts himself the successor.88)
Lo storico inglese di origine ebraica, Cecil Roth, dopo aver ricordato il notevole contributo della comunità ebraica italiana alla cultura e al progresso della nazione, commentava così – nell’autunno del 1938 – la decisione di Mussolini di espellere gli ebrei:
The Duce cannot use the excuse of Hitler that the Jews of the country have opposed him, for the Jews have been associated with and even died for the Fascist cause. /…/ What is the reason for Mussolini’s anti-Semitism? It is because he has to make his new ally respectable. Italians have been objecting to German anti-Semitism and Mussolini has pandered to his ally by stamping it as right and proper.89)
Solo in un articolo di un giornalista ebreo-tedesco si ipotizzava che, oltre alla volontà di imitare il Fuhrer, fosse anche un movente di tipo economico a spingere il duce nella sua azione contro gli ebrei:
/…/ A desire to imitate Nazi Germany as a gesture of solidarity with the partner of the Berlin-Rome Axis, and, incidentally also to reap the financial and economic benefits which Germany has secured from its persecution of the Jews. /…/ What are the life, happiness, and dignity of forty thousand of Jews compared with a lucrative hold-up such as this, which is at the same time an act of currying favour with Germany?90)
La stampa italiana, nel frattempo, riportava la replica del duce al Papa e, indirettamente, a tutti coloro che, come Sua Santità, lo accusavano di voler imitare o compiacere la Germania: in un discorso tenuto a Forlì il 30 luglio del 1938, Mussolini dichiarò a chiare lettere che, nella questione razziale, il fascismo avrebbe “tirato dritto” e che le accuse al fascismo di imitare qualcuno o qualcosa erano semplicemente assurde. Continuavano, intanto, gli attacchi contro gli ebrei, accompagnati da smentite riguardo all’adozione di una politica antisemita: l’esempio più eloquente – secondo il Jewish Chronicle – veniva dal giornale Tribuna, nel quale sisosteneva che non bisognava confondere il razzismo con l’antisemitismo e che nessuno aveva intenzione di far del male agli ebrei, ma si desiderava semplicemente sapere dove fossero e possibilmente dotarli di un passaporto speciale, perché il pericolo stava proprio nel fatto che spesso essi potessero agire indisturbati! 91) Il censimento della popolazione ebraica fu annunciato nei primi giorni di agosto con una Informazione Diplomatica, la n. 18: non si trattava di persecuzione – precisava l’Informazione – ma di discriminazione; nessuno – proseguiva il documento – avrebbe potuto negare allo Stato fascista il diritto di limitare la partecipazione degli ebrei alla vita pubblica, proporzionalmente alla percentuale da loro rappresentata sul totale della popolazione italiana, vale a dire un ebreo ogni mille italiani. Si ribadiva, inoltre, che il razzismo avrebbe costituito, da allora in poi, la base fondamentale dello Stato e un elemento di sicurezza per l’impero italiano.92) I primi provvedimenti colpirono in particolare gli ebrei stranieri, per i quali fu prevista l’esclusione dalle scuole e dalle università, a cominciare dall’anno accademico 1938-’39, e il Jewish Chronicle, nel dare l’annuncio di questo provvedimento, lo definì:
a further pointer, indicating that Italian racialism is not to be merely academic /…/.93)
A queste misure ne seguirono, a breve distanza, altre che miravano a limitare l’influenza di tutti gli ebrei, italiani e stranieri, nella vita del paese. Di fronte all’incalzare dei decreti antiebraici, il Jewish Chronicle non poteva che esprimere la crescente preoccupazione e il timore degli ebrei che si giungesse presto in Italia ad una situazione molto simile a quella tedesca:
With headlong speed, the Italinan Fascists are embarking on their anti-Semitic course, and are proving themselves zealous followers of the German Nazis. It would seem that they are endeavouring to arrive within a few weeks or months at the results achieved in Germany over a period of years.94)
Il settimanale ebraico insisteva nel ritenere immotivata la campagna antisemita in Italia, che – sosteneva – non avrebbe portato alcun beneficio per il governo fascista e pertanto era “as untimely as it is enigmatic”.95) Inoltre, il Re, e con lui la maggior parte degli italiani, che avevano sempre mostrato un atteggiamento amichevole verso gli ebrei, si trovavano ora – sempre secondo il Jewish Chronicle – in una situazione difficile e dolorosa di fronte al trattamento che lo Stato italiano riservava alla comunità ebraica. Per questo – era la speranza del settimanale ebraico – il duce avrebbe presto preso coscienza della necessità di abbandonare “his foolish and wicked policy”.96)
Anche gli ebrei britannici decisero di intraprendere una protesta nei confronti della politica antisemita del duce: i membri del Jewish People’s Council against Fascism and Anti-Semitism 97) stabilirono che, nel caso in cui il governo italiano avesse mantenuto la propria linea antisemita, il Consiglio avrebbe considerato la possibilità di boicottare i prodotti italiani.
Le posizioni antisemite di Mussolini, tuttavia, come vedremo meglio nel paragrafo successivo, non diedero segni di cambiamento e, salvo qualche “atto di misericordia”, -così il Jewish Chronicle definiva sarcasticamente le parziali concessioni del duce agli ebrei anziani, o a coloro che avessero servito lo Stato, oppure che avessero sposato un membro della “razza italiana”98) – le ingiuste restrizioni nei confronti gli ebrei non furono affatto mitigate e, anzi, si susseguirono con un ritmo sempre più incalzante. Per quanto riguarda la minaccia di boicottaggio economico da parte degli ebrei britannici, essa trovò immediata replica sulla stampa fascista, come riferì il Jewish Chronicle:
The semi-official Giornale d’Italia threatens that the Italian Jews will find their position still more serious if their coregionalists abroad persist in “such ill-considered gesture”99).
Il Regio decreto-legge del 17 novembre del 1938 100) – concretizzazione delle decisioni del Gran Consiglio del fascismo del 6 ottobre – non lasciò dubbio alcuno sulle intenzioni del governo italiano verso gli ebrei: gli articoli in esso contenuti, oltre a stabilire chi doveva essere considerato “ebreo”, e a prevedere una serie di limitazioni patrimoniali e nella scelta dell’attività lavorativa, vietavano i matrimoni misti e disponevano l’espulsione, entro il 12 marzo 1939, degli ebrei stranieriresidenti nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell’Egeo.101)
Furono proprio gli articoli riguardanti i matrimoni misti e l’espulsione quelli che suscitarono le reazioni più indignate, non solo tra gli ebrei, ma tra tutta la popolazione italiana, nonché della Chiesa, che accusò il governo di non aver tenuto fede agli accordi previsti dal Concordato del 1929.102) Il Jewish Chronicle, come vedremo,diede particolare rilievo alle prese di posizione della Chiesa, perché, data l’influenza della religione cattolica nella cultura e nella società italiane, riteneva che Mussolini non sarebbe rimasto indifferente ad un giudizio sfavorevole delle alte sfere ecclesiastiche.
Il bilancio che il Jewish Chronicle tracciò negli ultimi mesi del 1938, per quanto riguarda la situazione degli ebrei in Italia, non poteva certo essere confortante: le disposizioni previste dai decreti di novembre103) trovarono applicazione immediata e ilsettimanale ebraico, in un articolo dal titolo “Italy’s Nuremberg Laws“,104) comparso il giorno seguente la pubblicazione del R.D.L. del 17 novembre, evidenziava le preoccupanti analogie tra la legislazione antisemita italiana e quella tedesca, e sottolineava, ancora una volta, la rapidità con la quale l’Italia si stava “mettendo al passo” con la Germania. Il nuovo anno non si apriva, dunque, sotto buoni auspici: migliaia di ebrei avrebbero dovuto lasciare l’Italia entro la metà di marzo, e il loro futuro come rifugiati era più che mai incerto, ma per coloro ai quali era stato concesso di restare, le prospettive non erano migliori, perché il governo italiano era ben determinato a tener fede al suo progetto di “arianizzazione”.
3.3 L’atteggiamento di Mussolini.
L’opinione del Jewish Chronicle nei confronti di Mussolini era ben riassunta in un articolo dal titolo, di per sé molto significativo, “Mussolini versus il Duce”.105) L’articolo consisteva in una breve rassegna delle dichiarazioni di Mussolini, comparse sulla stampa internazionale dalla fine degli anni Venti fino al 1937: l’obiettivo era quello di dimostrare che la svolta antisemita dell’Italia era in netta contraddizione con ciò che il duce stesso aveva per anni professato. Ecco alcune delle affermazioni che il settimanale ebraico riteneva più espressive dell’atteggiamento del duce verso la “questione ebraica” e l’antisemitismo, prima del 1938:
In 1927, Mussolini declared in a public pronouncement:
“/…/ We in Italy find it utterly ridiculous when we hear how the anti-Semites in Germany seek to flourish in the midst of Fascism. We protest with all our energy against Fascism being compromised in this way. Anti-Semitism is the product of barbarism.”106)
Speaking before the Chamber of Deputies in May, 1929, Mussolini said:
“/…/ The Jews have been in Rome since the time of the Kings /…/ They will remain undisturbed, as will all who believe in another religion.” 107)
In 1932, /…/ Mussolini assured to Dr. Solomon Goldman, the President of the Zionist Organisation of America “most forcefully and unequivocally” that anti-Semitism would never be tolerated by him in Italy.108)
Del 1932 era anche l’intervista rilasciata dal duce a Emil Ludwig, di cui il Jewish Chronicle aveva riportato alcuni passaggi in uno dei numeri usciti immediatamente dopo la pubblicazione del Manifesto degli scienziati. Il brano tratto dall’intervista era preceduto da una nota di rammarico di fronte al cambiamento d’atteggiamento del duce:
There was a time when Mussolini expressed himself in terms far different from those he has seen fit to adopt to-day,
e seguito da una citazione che esprimeva amarezza e rassegnazione insieme:
/…/ “Times change, and we change with them,” as another Latin once said. 109)
In quella intervista – lo ricordiamo – il duce negava innanzitutto l’esistenza di “razze pure” e condannava senza mezzi termini il razzismo, definendolo “delirio della razza”; proseguiva poi sostenendo, tra l’altro, che l’antisemitismo in Italia non esisteva e lodando gli ebrei per la lealtà e il coraggio dimostrati nella difesa della nazione.110)
Tutte queste affermazioni – insieme alle smentite, tra il ’37 e il ’38,111) di quelle voci che volevano l’Italia in procinto di adottare una politica razziale – avevano contribuito a far crescere negli ebrei, italiani e stranieri, la convinzione che Mussolini fosse loro amico e che essi potessero contare sulla sua protezione dalle persecuzioni naziste. Questo spiega la tendenza del Jewish Chronicle – almeno fino al settembre del 1938 – a confidare nella possibilità che il duce ritornasse sui suoi passi in merito alle posizioni ostili assunte nei confronti degli ebrei. Come più volte sottolineato sinora, l’atteggiamento del duce era considerato una conseguenza della “cattiva influenza” tedesca, l’esito di un momentaneo “errore di valutazione” nella scelta dell’alleato, una scelta dettata dalla necessità di trovare sostegno dopo l’invasione dell’Abissinia.112) Le speranze di un mutamento di rotta da parte del governo fascista furono alimentate, tra l’altro, dalla disapprovazione di buona parte della popolazione italiana e della Chiesa alla campagna razziale,113) e da alcuni episodi che sembrarono poter indebolire il legame tra le potenze dell’Asse. In particolare ci riferiamo alle trattative in corso, nei primi mesi del 1938, tra Italia e Gran Bretagna, per giungere ad un accordo nel Mediterraneo: si trattò di negoziati difficili – per di più interrotti in occasione della visita di Hitler in Italia, che originò tensioni tra le parti interessate – che tuttavia lasciarono credere, almeno per un breve periodo di tempo, che l’alleanza tra Roma e Berlino non fosse poi così indissolubile.114) Un altro episodio, da cui gli ebrei sperarono di trarre beneficio per l’incrinarsi dei rapporti tra l’Italia e la Germania, fu l’annessione dell’Austria al Reich. Come si è già accennato altrove,115) Mussolini non aveva affatto gradito quella violenta manifestazione della volontà di espansione tedesca e, pertanto, si fece largo l’ipotesi secondo cui l’Italia avrebbe presto preso le distanze dalla Germania:
Those Governments which are in the closest touch with Rome and the Vatican seem to have assumed opinion that a psychological revolution has been produced in Italian public opinion and in the Duce’s mind by the rape of Austria, and more particularly the brutality with which it was accomplished /…/.116)
Il fatto, però, che il Jewish Chronicle considerasse la politica razziale italiana una diretta conseguenza dell’influenza tedesca, non gli impedì di riconoscere la responsabilità personale di Mussolini nella svolta antisemita dell’Italia:
Mussolini’s personal responsability for the new drive against Italians was made abundantly clear /…/ when /…/ he attacked the Pope for his denounciation of racialism and announced that he would continue the campaign without compromise.117)
Il settimanale ebraico abbandonò ogni speranza in un cambiamento di posizioni del duce in seguito alla pubblicazione del Manifesto e, ancor più, dopo che, dall’autunno del 1938, i decreti antiebraici cominciarono a trovare applicazione concreta. Nel corso del 1939 non solo non vi fu alcun accenno a una attenuazione dell’azione antisemita, ma anzi furono aggiunti nuovi provvedimenti a quelli già esistenti. Il duce – nell’opinione del Jewish Chronicle – dimostrò che la sua capacità di organizzare la persecuzione degli ebrei non era da meno di quella del Fuhrer: fin dall’inizio del 1939 furono istituiti campi di concentramento,118) i beni degli ebrei furono sottoposti a sequestro e per coloro che avrebbero tentato di esportare dei capitali fu prevista la pena di morte.
3.4 La Chiesa e le persecuzioni.
Jewish Chronicle seguì sempre con particolare attenzione le prese di posizione della Chiesa cattolica riguardo al nazismo e al fascismo: dedicò ampio spazio ai frequenti interventi del Papa contro le persecuzioni per motivi di “razza”, che interessavano più da vicino gli ebrei, ma diede risalto anche agli attacchi dei nazisti a danno dei cattolici.
I primi accenni alla posizione della Chiesa comparvero proprio in corrispondenza dell’annuncio dell’avvenuta annessione austriaca, durante la quale i cattolici, così come gli ebrei, furono vittime della brutalità nazista. Il settimanale ebraico elogiò il Vaticano per la condanna a Hitler e sottolineò che il Papa, difensore dei cristiani, si rivelava al contempo difensore del popolo ebraico e pertanto gli ebrei non potevano che manifestargli la loro gratitudine. Già precedentemente, in occasione del nuovo anno, Pio XI aveva espresso “coraggiosamente e solennemente” il proprio biasimo nei confronti della persecuzione degli ebrei e questo dimostrava – a giudizio del Jewish Chronicle – che, al di là delle divergenze dottrinali, era possibile costituire un fronte comune per la difesa della religione dal “militarismo pagano”.119)
Il Jewish Chronicle riportò anche alcune delle accuse che i nazisti rivolgevano al Papa per essersi schierato contro la persecuzione degli ebrei in difesa dell’uguaglianza tra le “razze”:
An onslaught on the Pope for his attitude on the racial question is made by Julius Streicher’s Stuermer /…/: “The Pope has adopted the false conception of the equality of races propagated by the Jews with the aid of the Marxists and Freemasons. /…/ Who offers protection to Satan can never be considered God’s servant.”120)
La Santa Sede si trovò presto, nel corso del 1938, a dover far i conti con la presenza nazista in Italia e in quell’occasione vi fu uno scontro di opinioni tra il governo e il Vaticano, uno scontro che si tenne sulle pagine delle rispettivi organi di stampa, il Popolo d’Italia, da un lato, e l’Osservatore Romano, dall’altro: Pio XI condannò l’accoglienza trionfale riservata al Fuhrer e in particolare il fatto che, nel giorno della festività della Croce di Cristo, sventolassero, a Roma, bandiere con una croce che “di certo non era quella di Cristo”; gli “amici di Hitler” – così il Jewish Chronicle definì i fascisti – replicarono che, perseverando in queste prese di posizione, il Papa si sarebbe trovato da solo di fronte alla “minaccia di massoni e bolscevichi”, senza poter “brandire la sua croce per scacciarli dal tempio di Dio”.121)
Le divergenze tra la Chiesa e il governo italiano si acutizzarono via via che il fascismo mostrò la propria volontà di seguire le orme del nazismo in merito alla questione razziale, e gli attacchi sulla stampa diventarono vere e proprie minacce dall’una e dall’altra parte.
Dopo la pubblicazione del Manifesto degli scienziati, il Jewish Chronicle pubblicò il commento del Vaticano, cosa che, invece, – sottolineava il settimanale ebraico – la stampa di regime non aveva ritenuto opportuno fare:
The Vatican has protested vehemently against the new development, and the Rome diocesan magazine, /…/ states: “As Catholics and as Italians, we shalll reject this new religion of blood … which means the essence of hatred, warfare and persecution.” Similar denounciations have appeared in the Vatican Osservatore Romano, but they were kept from the general Press by the censor.122)
Lo scontro tra Stato e Chiesa entrò nel vivo alla fine di luglio, in seguito a una dichiarazione nella quale il Papa, “deeply moved /…/ regarding a contemplated drive against the Jews”,123) oltre a condannare il razzismo, il nazionalismo e il separatismo, chiedeva, “with withering sarcasm”,124) quale ragione avesse l’Italia di imitare la Germania. La risposta di Mussolini non si fece attendere, sebbene pochi dei lettori della stampa di regime capirono che si trattava di una replica al Papa, poiché non erano state precedentemente pubblicate le dichiarazioni di Sua Santità. Il duce negò categoricamente qualsiasi volontà da parte sua di emulare il Fuhrer, e ribadì l’intenzione di proseguire nella nuova politica razziale, dimostrando così di non temere la disapprovazione del Vaticano.125)
Il Jewish Chronicle diede risalto in più occasioni al conforto che gli ebrei trovavano nel sapere la Chiesa cattolica schierata contro la politica razziale del governo italiano:
It is encouraging to learn, however, that while the anti-Jewish campaign is growing, the campaign of the Catholic Church against the new racial policy is also growing. /…/ Italian priests are denouncing racialism and exaggerated nationalism /…/.126)
Per questo stesso motivo, non poca fu la preoccupazione espressa dal settimanale ebraico nell’apprendere – da un articolo di Virginio Gayda apparso sul Giornale d’Italia e riportato in parte dal Jewish Chronicle – che durante le trattative tra il Vaticano e il governo italiano, iniziate fin dal mese di agosto, non era emersa alcuna divergenza sul problema razziale e che nessun provvedimento era stato seriamente preso in considerazione dal Vaticano contro le inflessibili decisioni del governo italiano, che, comunque, – così sosteneva Gayda – rimanevano al di fuori di ogni controllo o censura da parte della Chiesa. Il dubbio che il Papa potesse cambiare atteggiamento in merito alla politica razziale adottata dal fascismo dovette scontrarsi dapprima con una dichiarazione di Pio XI, riportata dalla Jewish Telegraphic Agency, secondo cui le negoziazioni tra Stato italiano e Chiesa cattolica non avrebbero smosso il Vaticano dalla sua opposizione al razzismo,127) e successivamente dalla replica dell’Osservatore Romano a Gayda, nella quale si riaffermava l’interesse della Chiesa per la questione razziale:
/…/ racialism, as viewed by the Pope, exceeded the limits of politics in that it constituted a danger for the great human and Christian family. /…/ the Pope renewed his criticism of racialism and reiterated his profound belief that racialism was not extraneous to philosophy, morals, and religion.128)
Alla fine di settembre il Jewish Chronicle riportò con evidente soddisfazione la notizia che il Papa aveva bandito la Difesa della Razza – “the Italian racialist anti-Jewish publication”129)- dalle istituzioni cattoliche scolastiche e religiose, ritenendo immorali e offensivi gli articoli contro gli ebrei, che vi erano stati pubblicati. Inoltre, sempre nel mese di settembre, in un messaggio ai leader cattolici del Belgio, Pio XI aveva sottolineato l’incompatibilità dell’antisemitismo con il cristianesimo:
Anti-semitism cannot be reconciled with the thought and the sublime reality of the Biblical text. It is a foul movement, a movement in which we Christian must take no part.130)
Uno dei momenti di maggior crisi nei rapporti tra il Vaticano e il governo italiano fu, probabilmente, quello che seguì la pubblicazione del già citato decreto-legge del 17 novembre, anche se il Jewish Chronicle – più interessato alle ripercussioni concrete di quei provvedimenti sulla popolazione ebraica – si limitò a riferire che il Papa considerava le disposizioni riguardanti i matrimoni misti “an encroachment on Church matters and a breach of the Concordat”131) e per questo motivo aveva intrapreso una protesta contro le decisioni del governo. La Chiesa non mancò di manifestare la propria disapprovazione ogni qual volta fu annunciata l’applicazione delle misure contro gli ebrei e il Papa venne ripetutamente bollato come “difensore degli ebrei” sia da parte dei leader fascisti, come Starace e Farinacci,132) sia dai nazisti, in particolare sulle pagine dello Sturmer di Streicher.133)
Alla morte di Pio XI, il Jewish Chronicle dedicò un lungo articolo a ricordo di tutto ciò che il Papa aveva fatto per il popolo ebraico ed espresse il cordoglio di tutti gli ebrei:
With the death of Pius XI, Jews throughout the world mourn the loss of one of the stoutest defenders of racial tolerance in modern times, and one who /…/ grew the more outspoken in the condamnation of anti-Semites in Germany, Italy, and elsewhere. The malevolence with which Nazi and Fascists Jew-baiters attacked him is ample proof of the telling force of his denunciations.134)
L’elezione del Cardinal Pacelli a successore di Pio XI fu accolta favorevolmente dal Jewish Chronicle, che, ricordando alcune delle precedenti prese di posizione del Cardinale in merito alla questione razziale e al nazismo, confidava nel fatto che egli avrebbe seguito le orme del suo predecessore:
It is widely recalled that the new Pope has shown himself in the past to have shared Pius XI’s hostility to Nazi paganism and racialism.135)
Pio XII non mancò per qualche tempo di far sentire la propria voce contro la politica razziale del governo e di suscitare le reazioni della stampa fascista che condannò l’atteggiamento ‘filosemita’ della Chiesa.136) Tuttavia nel corso del 1939, gli articoli del Jewish Chronicle, dedicati alla posizione della Chiesa, si fecero sempre meno frequenti e nel supplemento di settembre, che presentava in breve i principali fatti dell’anno e dava un quadro della condizione degli ebrei nelle varie nazioni, non si fece alcun accenno al nuovo Papa, ma si ricordarono soltanto le proteste di Pio XI contro il divieto di matrimoni misti.137)
3.5 La popolazione italiana di fronte ai provvedimenti razziali. 138)
La disapprovazione che la popolazione italiana mostrò nei confronti della svolta antisemita di Mussolini e del governo italiano fu una delle principali ragioni di speranza per gli ebrei italiani e stranieri, i quali ritenevano che il duce non sarebbe stato disposto a compromettere la propria posizione a vantaggio di una campagna razziale. L’antisemitismo – insisteva il Jewish Chronicle – non avrebbe rafforzato in alcun modo il fascismo, anzi avrebbe contribuito in modo decisivo al suo indebolimento, perché la maggior parte degli italiani non avevano nulla contro gli ebrei e non avrebbero accettato che in Italia si adottossero i brutali metodi persecutori del nazismo:
/…/ the mass of the Italian people are reluctant to swallow the anti-Semitic policy dictated to them by Mussolini and cannot condone Nazi frightfulness.139)
Il Jewish Chronicle, nel commentare l’impopolarità delle scelte antisemite del regime fascista, fece notare che non solo tra la popolazione, ma anche all’interno della gerarchia fascista, non tutti seguirono la nuova linea voluta da Mussolini e continuarono ad intrattenere rapporti di amicizia e di lavoro con gli ebrei:
/…/ The people on the whole show no signs of joining in any anti-Jewish boycott movement, and even uniformed Fascists continue to trade with Jews. /…/ while anti-Jewish decrees are approved by Press and officials, they have not been so well received by “educated classes”. Evidently the Italian people as a whole, after sixteen years of Fascism, are not so easily distracted by Mussolini’s latest “circus”.140)
Gli stessi giornali fascisti – osservò il Jewish Chronicle – furono costretti a riconoscere l’opposizione interna alla politica razziale: Farinacci, sul Regime Fascista, ammise che era inutile negare la presenza di “piagnucoloni” nel partito fascista, che “si lamentano per il trattamento troppo duro riservato agli ebrei” e lo stesso Farinacci era quasi venuto alle mani con Ezio Garibaldi – deputato fascista e nipote di uno dei protagonisti del Risorgimento italiano – che sulla sua rivista, Camicia Rossa, aveva attaccato le misure antiebraiche; Il Tevere rese noto che un gruppo di ufficiali del Ministero delle Finanze aveva organizzato una raccolta di fondi a favore dei colleghi ebrei che avevano perso il posto in seguito alle misure antisemite, e dichiarava intollerabile una simile manifestazione di simpatia.141)
Già dal dicembre del 1938, però, il settimanale ebraico dovette riportare la notizia dei provvedimenti adottati dalle autorità fasciste contro quei fascisti che manifestavano la loro solidarietà agli ebrei:
Fascists who demonstrate any sympathy with Jews are being promptly expelled from the Party, and anti-Jewish circles generally favour drastic action against those whom they describe as “traitors of the Fascist cause.”142)
Nonostante i duri attacchi cui i “traditori” furono sottoposti, molti italiani – come si è già accennato altrove – continuarono, anche durante la guerra e poi soprattutto durante l’occupazione nazista nell’Italia centro-settentrionale, ad operare segretamente per aiutare degli ebrei. Alcuni agirono per carità cristiana, altri per boicottare il fascismo, altri ancora semplicemente per solidarietà umana, ma tutti contribuirono, almeno in parte, ad alleviare le sofferenze di quella minoranza, cui il duce aveva deciso di infliggere quell’insensata e inutile sofferenza.
Il Jewish Chronicle espresse così i sentimenti degli ebrei nei confronti della popolazione italiana:
Collettively as Jews – and whatever individual Jews, like individual non-Jews, may say in criticism of Italian policy – we have nothing but feeling of the warmest sympathy for the great Italian people; we desire nothing but its prosperity.143)
4. Gli ebrei e lo Stato ebraico di Mussolini.
Gli ambienti responsabili romani ritengono che il problema ebraico universale può essere risolto in un solo modo: creando in qualche parte del mondo, non in Palestina, uno Stato ebraico, Stato nel pieno significato di questa parola che sia perciò in grado di rappresentare e di proteggere per le normali vie diplomatiche e consolari tutte le masse ebraiche disperse nei vari paesi.
Fu questa frase, contenuta nell’Informazione Diplomatica n. 14 del 16 febbraio 1938, a far nascere l’idea, che trovò eco su tutti i giornali dell’epoca, secondo cui l’Italia si sarebbe assunta il compito di fornire uno Stato agli ebrei e i più – come riferì il Jewish Chronicle – diedero per scontato che il duce avrebbe messo a disposizione, a questo scopo, la sua recente conquista africana:
Some publicists, including the Rome Correspondent of Le Temps, are optimistic enough to suggest that the statement that the world Jewish problem can only be solved by the creation of a Jewish State means that Mussolini himself intends to provide that State – in Abyssinia!144)
Il governo italiano si affrettò a negare di aver mai inteso offrire l’Abissinia come patria per gli ebrei e il Jewish Chronicle diede l’annuncio della smentita riportando i passaggi principali di un articolo apparso sul settimanale Azione Coloniale.145)Vi si sosteneva che gli italiani non avevano alcuna intenzione di rinunciare alla possibilità di colonizzare l’Abissinia, né qualunque altro territorio dell’impero, a favore degli ebrei, anche perché il problema ebraico non toccava direttamente l’Italia. Le smentite, però, non furono sufficienti a mettere a tacere le voci che volevano l’Italia impegnata nella costruzione di uno Stato ebraico e alla fine del mese di maggio fu ancora il corrispondente del quotidiano parigino Le Temps a fornire al Jewish Chronicle l’occasione per riprendere l’argomento: il giornalista francese sosteneva che erano in corso delle trattative tra il governo italiano e i rappresentanti della comunità ebraica per la creazione di uno Stato ebraico.146) Sempre secondo il corrispondente di Le Temps, i rappresentanti delle comunità ebraiche, che avevano inizialmente dichiarato di non desiderare altro Stato se non la Palestina, si dicevano ora disposti a valutare la proposta di stabilirsi in un territorio indipendente dell’Africa orientale. Nelle settimane successive il Jewish Chronicle non pubblicò né conferme né smentite e la questione sembrò accantonata per un periodo piuttosto lungo o perlomeno il settimanale ebraico non ne parlò per alcuni mesi, salvo una piccola parentesi nel luglio, in occasione della di Evian, dalla quale emerse chiaramente la volontà di gran parte degli ebrei di “tornare in Palestina”.147)
Nel novembre il tema dello Stato ebraico ricomparve sul Jewish Chronicle in un breve articolo; i termini della questione erano, però, del tutto diversi:
/…/ Mussolini’s plan for colonizing Abyssinia by Jewish effort is, the Fascists hope, to receive Nazi backing. /…/ According to a Rome report, both Mussolini and Ciano, the Italian Foreign Minister, are indignant at the fact that so far no Jewish organization has approached the Italian Government about its Abyssinian offer.148)
Ciò che prima era solo un’ipotesi – che fu prontamente smentita – formulata da un giornalista francese sulla base di un’affermazione, dove non compariva alcun riferimento esplicito all’Abissinia, ora era un “progetto di Mussolini”, ch’egli sperava di realizzare con l’aiuto di Hitler e per il quale si attendeva una manifestazione di interesse da parte degli ebrei. Evidentemente la questione ebraica interessava, ora, direttamente il governo italiano, che, dopo aver condotto una campagna di stampa antisemita dai toni sempre più violenti, tra l’estate e l’autunno del 1938 aveva assunto una posizione ufficiale contro i cittadini ebrei e aveva introdotto le prime misure legislative, non ultima quella che fissava al 12 marzo1939 il termine entro cui gli ebrei stranieri avrebbero dovuto lasciare l’Italia e gli altri territori dell’impero, Abissinia esclusa!
Mussolini, però, non dovette solo fare i conti con il rifiuto dell’”offerta abissina” da parte degli ebrei italiani e stranieri, ma anche con l’opposizione degli abitanti di quelle zone che il duce voleva destinare al popolo ebraico: nel gennaio del 1939, infatti, Roberto Farinacci, di ritorno da una visita in Abissinia, informò il Capo del governo italiano del dissenso che vi aveva incontrato e del pericolo che gli ebrei, stabilendosi in quell’area, avrebbero potuto ingrossare le fila degli oppositori del regime. Il Jewish Chronicle riassunse in questi termini la posizione della popolazione abissina:
/…/ the Abyssinian people would welcome the settlement of Jews as victims of Fascist and Nazi terror, but not as an instrument of Italian Government.149)
Il settimanale ebraico rese noto anche che Mussolini, in seguito a quanto riferitogli da Farinacci, aveva deciso di abbandonare il progetto di una colonizzazione ebraica dell’Abissinia. Nello stesso numero, tuttavia, furono pubblicate sia una notizia d’agenzia150) in merito ad uno scambio di proposte tra l’Italia e gli Stati Uniti per un insediamento ebraico in Abissinia, sia una notizia tratta dall’Evening Standard, nella quale erano riportatii termini di un accordo che Mussolini avrebbe proposto al Primo Ministro britannico, Chamberlain.151)
Il Jewish Chronicle diede voce anche alle opinioni delle popolazioni che vivevano in quei territori dove – a giudicare dalle ipotesi più accreditate – sarebbe sorto il futuro Stato ebraico. Alla fine del gennaio del 1939, in una rubrica da titolo Imperial and Foreign, un brevissimo articolo dedicato all’Abissinia illustrava il punto di vista dell’Aurora della Libertà, un giornale antifascista in lingua italiana pubblicato ad Alessandria d’Egitto e in contatto con i capi delle tribù abissine. Sull’Aurora si leggeva che la posizione degli italiani in Abissinia era ancora molto precaria e nella provincia dell’Harar, ovvero la zona che gli italiani volevano destinare alla colonizzazione ebraica, i partigiani abissini stavano conducendo una guerriglia contro gli italiani. La popolazione abissina – concludeva il giornale – non avrebbe preso in considerazione un’eventuale colonizzazione europea prima di aver recuperato il pieno possesso dei propri territori.152) Nel settembre di quell’anno la situazione si presentava invariata: l’Aurora ribadiva che l’Abissinia non era ancora una colonia italiana, poiché i combattimenti tra la popolazione locale e i militari italiani non erano cessati. Il giornale, inoltre, avvertiva il governo italiano che gli ebrei non si sarebbero fatti strumento del duce per sottomettere i patrioti abissini:
/…/ Italy is looking for money and for people to help her to combat the Abyssinian patriots, but the Jews will never accept that task for the benefit of the fascists rulers.153)
La maggior parte delle comunità ebraiche europee si erano dichiarate contrarie alla proposta di un loro insediamento in Abissinia, sia perché ritenevano che quel territorio non offrisse risorse sufficienti al loro sostentamento sia perché aspiravano ad un ritorno in Palestina. Molti erano anche coloro che non desideravano né l’una né l’altra soluzione, perché avevano ormai raggiunto un buon livello di integrazione nei paesi dove vivevano. Gli ebrei italiani, dal canto loro, dimostrarono di non desiderare affatto la realizzazione del progetto del duce per la creazione di uno Stato ebraico in Abissinia. Il Jewish Chronicle riferì che, tra l’ottobre e il novembre del 1939, la comunità ebraica italiana seguì con preoccupazione le trattative tra il Ministero Italiano per l’Africa Orientale e l’Organizzazione Viennese per l’Assistenza dei Rifugiati Ebrei, il cui presidente, l’olandese Frank Gildemeester, aveva proposto di dare il via all’insediamento dei rifugiati ebrei in Abissinia.154) Sia che i negoziati si fossero conclusi con un accordo, sia che invece l’accordo fosse fallito le conseguenze per gli ebrei italiani – come faceva notare il Jewish Chronicle – sarebbero state ugualmente infauste:
/…/ should the idea fail for foreign opposition, it is the Italian Jews who may be compelled to pay for any disappointments of the Italian Government; while if the plan succeeds, the Jews fear that Tsana settlement may become a Jewish reservation similar to Hitler’s proposed Lublin Jewish Pale.155)
L’idea di un’insediamento ebraico in Abissinia fu definitivamente abbandonata da Mussolini alla fine del 1939: De Felice osserva che la proposta era nata, da un lato, dalla speranza di ottenere l’aiuto finanziario americano per la colonizzazione dell’impero e, dall’altro si riconnetteva ad una serie di simili iniziative in altri paesi.156) Probabilmente, però, Mussolini si rese conto dell’inattuabilità di quel progetto sia per il gran numero di ebrei che avrebbero dovuto lasciare l’Europa, sia per lo sforzo economico che l’Italia avrebbe dovuto affrontare dato che “da parte delle potenze occidentali non si mostrava alcuna intenzione di farsene veramente carico”.157)
1) Il più vecchio periodico ebraico pubblicato ininterrottamente a partire dal 1841; vedi “Introduzione”, par. Le fonti.
2) Fin dall’inizio gli ebrei dovettero fare i conti con l’ostilità degli inglesi, che non esitarono a mostrare diffidenza, soprattutto verso la marcata tendenza degli ebrei all’isolamento: essi, infatti, formavano una comunità a sé stante, riducendo al minimo i contatti con i vicini inglesi e mantenendo la loro identità. La diffidenza divenne in molti casi vero e proprio timore e prese forma di accuse infamanti: l’accusa più frequente era quella di ‘omicidio rituale’. Fu proprio il ricorrere di queste accuse che portò all’ordine di espulsione del 1290. C. HOLMES, Anti-Semitism in British Society, 1876-1939, London, Eduard Arnold, 1979, p. 7.
3) I flussi migratori dalla Russia furono la conseguenza dei pogrom ordinati dalle autorità russe contro gli ebrei. La prima ondata di violenza si verificò tra il 1881-’82, dopo all’assassinio dello zar Alessandro II. La situazione si fece particolarmente grave anche in due momenti successivi, tra il 1891-’92 e il 1903-‘4. L’80% degli ebrei che emigrano complessivamente dall’Europa dell’Est in quel periodo si diresse verso l’America, ma è probabile che più di centomila si stabilirono in Gran Bretagna. Un ulteriore flusso migratorio verso la Gran Bretagna si ebbe in corrispondenza della Rivoluzione Russa del 1917.Cfr. ibid., pp. 2-3.
4) Mentre la BBL era nata nel 1901e si proponeva di risolvere i problemi della disoccupazione e degli alloggi nell’East End, riducendo il flusso migratorio di ebrei verso quella zona. La NLCG, sorta nel 1913, era una organizzazione che fondava le proprie basi ideologiche sulla rivista New Witness, di stampo antisemita, e dirigeva la propria attenzione alla cosiddetta ‘plutocrazia ebraica’. Ibid., pp. 89-90; 102.
5) Uno di questi provvedimenti fu l’Alien Act (1905), che pur non riferendosi esclusivamente agli ebrei, li colpì in modo particolare poiché tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento e poi di nuovo negli anni Trenta furono la componente più cospicua del flusso migratorio verso la Gran Bretagna. C. HOLMES, op. cit., pp. 89-ss.
6) Cfr. B. WASSERSTEIN, Britain and the Jews of Europe, 1939-1945,Institute of Jewish Affairs (London), Oxford, Claridon Press, 1979, pp. 1; 10-11.
7) “eterna pace ed amicizia con la Germania sarebbero una questione semplice se solo gli ebrei potessero essere eliminati.” “How Nazi Poison is Spread” (par. Millions of Propaganda Pamphlets), in The Jewish Chronicle, n. 3612, July 1st, 1938, p. 28.
8) Sullo stesso tema cfr. G. SALVEMINI, Giudizi inglesi sull’Italia in “Scritti sul fascismo”, cit., vol. II, pp. 236-8.
9) “ingannare gli stranieri riguardo i successi del nazismo e così contrapporsi alle notizie veritiere che appaiono sulla stampa straniera.” “How Nazi Poison is Spread” (par. Impressing the Tourists) in J.C., n. 3612, July 1st, 1938, p. 28.
10) Non si cita esplicitamente alcun quotidiano, ma è probabile che ci si riferisca, tra gli altri, al Times, che anche altrove verrà accusato di non prendere una posizione chiara contro l’antisemitismo e il nazismo. “Jews Are News”, in J.C, n. 3614. July 15, 1938, pp. 7-8.
11) “Il modo in cui gli ebrei senza patria arrivano in massa dalla Germania attraverso ogni porto di questo paese si sta facendo gravemente offensivo. /…/ La politica adottata da questo paese – e, se posso dirlo, è una politica saggia – è di punire severamente gli stranieri che entrano illegalmente in questo paese.” “Notes of the Week” (par. “Mr. Metcalfe’s Outburst”), in J.C., n. 3620, Aug. 26, 1938, p. 8.
12) Si fa riferimento a Evening Standard, Evening News e Daily Express. Ibid. (par. “The Aliens Scare”).
13) P. EMDEN, “Shadow of Swastika”, in J.C., n. 3629, Oct. 28, 1938, p. 28.
14) John Stracey fu nel 1923 candidato per il Labour Party, negli anni successivi, almeno fino al 1933, collaborò con Oswald Mosley. Fu lui a scrivere il Mosley Memorandum nella forma di manifesto politico (Mosley Manifesto), pubblicato, nel 1930, in un opuscolo dal titolo A National Policy (vedi anche cap. 3, par. 2.1). Fu tra coloro che aderirono da subito al New Party e divenne stretto collaboratore di Mosley anche nei primi tempi della BUF. In un libro dal titolo The Menace of Fascism (1933) egli ha narrato le vicende politiche che lo videro protagonista, insieme a Mosley, negli anni tra il 1920 e il 1930. C. CROSS, “The Fascists in Britain”, cit., pp. 23- 4; 35; 42-49.
15) “La discriminazione sarebbe continuata finché l’ebreo avesse mantenuto la propria identità”, “The Root Cause of Anti-Semitism”, in J.C., n. 3613, July 8, 1938, p. 38.
16) La creazione di uno Stato ebraico era intesa, da buona parte degli ebrei, come “ritorno in Palestina”. L’idea del ritorno del popolo israelita alla propria terra era stato trasmessa dalla Bibbia: i profeti, infatti, assicuravano agli esuli di Babilonia che sarebbero ritornati alla loro terra. Nel corso del XIX secolo, questa idea aveva dato origine ad un movimento culturale e politico, il sionismo, che vedeva nella riappropriazione della terra d’Israele un elemento costitutivo dell’identità ebraica. Il principale teorico del movimento fu Theodor Herzl (1860-1904), un intellettuale ebreo di Vienna che, pur non trascurando la sua origine e le tradizioni ebraiche, per molti anni credette che l’assimilazione fosse il modo migliore per sconfiggere l’antisemitismo. Divenuto corrispondente a Parigi per la Neue Freie Presse ebbe occasione di seguire da vicino il caso Dreyfus e prese coscienza della disparità di trattamento riservata agli ebrei, che, per quanto assimilati, erano sempre considerati stranieri. Cominciò a nascere in lui l’idea di organizzare politicamente il popolo ebraico e di ricondurlo alla “Terra promessa”. Fondò il settimanale Die Welt per diffondere l’idea sionista. L’Organizzazione sionista nacque ufficialmente nel 1897 al Congresso di Bale, al quale parteciparono i delegati di varie istituzioni ebraiche e non. Cfr. A. BOYER, Les origines du sionisme, Paris, Presses Universitaires de France, 1988. N. SOLOMON, Ebraismo, Torino, Einaudi, 1999, pp. 108-113; D. BIDUSSA, Il sionismo politico, Milano, Ed. Unicopli, 1993, pp. 8-ss; vedi anche nota 48.
17) “subdola menzogna”, WATCHMAN, “Here and There”, in J.C., n. 3628, Oct. 21, 1938, p. 11.
18) “Ciò che una nuova guerra farebbe per gli ebrei /…/ sarebbe completare il loro sterminio. Se in guerra ci sono solo perdenti, essi perderebbero tutto. Sarebbero le prime vittime e quelli che soffrirebbero di più. /…/ solo un ebreo irrimediabilmente stolto si aspetterebbe di trovare la salvezza in un tale tumulto d’orrore e di dolore.” “Jews and Peace”, in J.C., n. 3616, July 29, 1938, p. 7.
19) M.J.G. “An Exposure in Racial Theories”, in Supplement, J.C., n. 3594, Feb. 25, 1938, p. 8.Dr. J. BRUTZKUS, “Jewish Racial Purity”, in J.C., n. 3600, April 8, 1938, pp. 40; 49-50. “Notes of the Week” (par. “Debunking ‘Racalism'”), in J.C., n. 3620, Aug. 26, 1938, p. 8.
20) I semiti erano comunemente classificati come dolicocefali, le popolazioni dell’Europa occidentale come masocefale e quelle dell’Europa orientale come brachicefale. Ibidem., p. 8.
21) R. BOLCHOVER, British Jewry and the Holocaust, Cambridge UP, 1993, p. 43.
22) Il termine “alien” è usato per definire qualcuno che appartiene a un paese, a una razza o a un gruppo diversi da quelli del parlante; indica solitamente disapprovazione e viene considerato offensivo.
23) “/…/ alla gente di Ealing non importava un bel niente di quello che egli diceva. Camminavano avanti e indietro, ogni tanto lo fischiavano, e per il resto lo guardavano con disprezzo.” “Mosley Opens New Campaign. But Ealing is not interested”, in J.C., n. 3612, July 1, 1938, p. 36.
24) “/…/ l’ostilità nei suoi confronti da parte degli abitanti della zona era generale. Commenti pungenti lo interrompevano in continuazione e c’era un’evidente spaccatura tra le Camicie Nere e gli altri spettatori.” “Here come the Aliens”, in J.C., n. 3613, July 8, 1938, p. 38.
25) “Fischi, schiamazzi, canti e grida furono l’accompagnamento di Mosley durante il raduno. Non provenivano da ebrei che mostravano il loro odio per il fascismo, ma da lavoratori non-ebrei che protestavano perché il loro riposo domenicale era stato disturbato da una ciurma di Camicie Nere d’importazione /…/.” “Blackshirts Fail Again”, in J.C., n. 3614, July 15, 1938, p. 36.
26) “Nonostante un altoparlante potente si riuscì a sentire molto poco del suo discorso, perché un pubblico quasi totalmente antifascista, che ammontava a quattro o cinquemila persone, soffocò le sue osservazioni con acclamazioni ed applausi ironici, /…/ Fu, senza esagerare, il più completo fallimento politico /…/.” “Mosley’s Key Meetings Fails”, in J.C., n. 3615, July 22, 1938, p. 42.
27) “La marcia fu, davvero, tanto un’esibizione del potere della polizia, quanto della impotenza delle Camicie Nere. /…/ La massima precauzione, fu, in effetti, adottata per garantire che Mosley e le Camicie Nere non fossero molestati. /…/ La marcia attraverso Lissen Grove, Marylebone Road,… non provocò disordini, ma suscitò perplessità e ilarità; poiché molti pensarono che si trattasse di una dimostrazione di poliziotti.” “Here come the Aliens”, in J.C., n. 3613, July 8, 1938, p. 38.
28) “Aping Hitler”, in J.C., n. 3685, Nov. 24, 1939, p. 18.
29) “Hungary Quiet Persecution”, in J.C., n. 3594, Feb. 25, 1938, p. 16; “Hungarian Jew-Law: Farther Stages”; “Hungary and the Jews”, in J.C., n. 3607, May 27, 1938, p. 32; “Hungary”, in New Year Greetings Supplement, J.C., n. 3624, Sept. 23, 1938, p. xx. Picciotto Fargion ricorda che gli ebrei in Ungheria erano stati considerati, fino alla prima guerra mondiale, come una comunità perfettamente integrata, ma, gli negli anni Venti, furono introdotti approvati dei provvedimenti per limitare la presenza ebraica nelle università. Nel 1938, con l’introduzione di nuovi provvedimenti restrittivi, la comunità ebraica fu ridotta “allo stato di una minoranza disprezzata e umiliata”. L. PICCIOTTO FARGION, “Per ignota destinazione …“, cit., pp. 36-7; J. EROS, Hungary, in S.J. WOOLF (ed.), European Fascism, London, Weidenfeld & Nicolson, 1968, pp. 111-ss.
30) “/…/ in Rumania the Jews were not only racially and culturally different: throughout the modern period, they became more and more identified with the commercial and urban section of society, i.e., with a group and way of life for which there was little if any room in a traditional peasant society. Thus, the great deal of antisemitic feeling in Rumania was generated by a conflict between tradition and modernity.” (/…/ in Romania gli ebrei non erano diversi solo dal punto di vista razziale e culturale: nell’età moderna furono via via identificati con la popolazione urbana legata al commercio, cioè, con un gruppo e con un modo di vita per i quali c’era poco o nessuno spazio in una società tradizionalmente contadina. Dunque, il sentimento antisemita in Romania è stato per lo più generato da un conflitto tra tradizione e modernità.” Z. BARBU, Rumania, in S.J. WOOLF, op. cit., p. 147.
31) Octavian Goga era un antisemita dichiarato il cui governo fu sostenuto dai nazisti. L. PICCIOTTO FARGION, op. cit., p. 37.
32) Per maggiori dettagli su la Guardia di Ferro vedi S.J. WOOLF, op. cit., p. 149-ss.
33) “After Goga”, in J.C., n. 3593, Feb. 18, 1938, p. 22; “Good News from Rumania”; “What the Charter Means”, in J.C., n. 3618, Aug. 12, 1938, p. 13; “Rumania”, in New Year Greetings Supplement, J.C., n. 3624, Sept. 23, 1938, pp. xxiii-xxv. In realtà la politica antiebrica in Romania non fu mai abbandonata e la legislazione promulgata nel 1940 sancì l’esclusione totale degli ebrei dalla vita economica della nazione. L. PICCIOTTO FARGION, op. cit., p. 37-9.
34) “Pope Acion in Warsaw”, in J.C., n. 3617, Aug. 5, 1938, p. 23; “Polonia” in New Year Greetings Supplement, J.C., n. 3624, Sept. 23, 1938, p. xxiii. In Polonia, dalla fine della guerra, erano stati adottati provvedimenti atti a limitare la presenza ebraica e nel marzo 1938, nel timore che, come conseguenza dell’Anschluss, molti ebrei polacchi residenti in Austria e in Germania rimpatriassero, il parlamento polacco decise di revocare la cittadinanza ai cittadini residenti all’estero, molti dei quali erano, appunto, ebrei. L. PICCIOTTO FARGION, op. cit., p. 39-40; cfr. B. WASSERSTEIN, “Britain and the Jews of Europe …”, cit., pp. 4-8.
35) Apprensione che si rivelerà tristemente giustificata: l’annessione dei Sudeti, infatti, si concretizzerà in seguito alla conferenza di Monaco del 29-30 settembre 1938. Vedi cap. 1, par. 5.3.
36) “Freedom in Czecoslovakia”, in J.C., n. 3594, Feb. 25, 1938, p. 16.
37) “Nazi agitators in Yugoslavia”, in J.C., n. 3613, July 8, 1938, p. 19.
38) “Albania and Racialism”, in J.C., n.3624, Sept. 23, 1938, pp. 24; 80.
39) La situazione degli ebrei in Germania e in Italia verrà trattata nei paragrafi successivi.
40) “Jews in Troubled Austria”; “Austrian Patriots Alarmed”, in J.C., n. 3596, March 11, 1938, p. 19; B. REINCHENBACH, “Under the Nazi Jackboot”, in J.C., n. 3597, March 18, 1938, p. 38;”Who Rules Austria?”, in J.C., n. 3613, July 8, 1938, p. 18. “Austria”, in New Year Greetings Supplement, J.C., n. 3624, Sept. 23, 1938, p. xx; K.R. STADLER, Austria, S.J. WOOLF, op. cit., pp. 100-2.
41) Vedi anche par. 3.
42) “Other Countries”, in New Year Greetings Supplement, J.C., n. 3624, Sept. 23, 1938, p. xxv; “Franco’s Alleged Anti-Semitism” in J.C., n. 3638, Dec. 30, 1938, p.26; P. VILLANI, L’età contemporanea, Il Bologna, Mulino, 1993, pp. 461-6.
43) “Nazi Disruption in Alsace-Lorraine”, in J.C., n. 3607, May 27, 1938, p. 32; “France”, in New Year Greetings Supplement, J.C., n. 3624, Sept. 23, 1938, p. xx.
44) Sulla conferena di Evian e il problema dei rifugiati vedi anche B. WASSERSTEIN, op. cit., pp. 8-9; 83-ss.
45) “La convocazione, da parte del governo degli Stati Uniti, di una conferenza internazionale al fine di concordare misure atte ad agevolare il recente esodo di ebrei è, davvero, un evento che fa epoca. /…/ le nazioni stanno aprendo gli occhi alle loro responsabilità verso gli ebrei /…/ il problema ebraico si caratterizza finalmente come un problema internazionale, alla cui attenuazione, se non soluzione, la coscienza cristiana deve dare il proprio contributo.” “Exodus”, in J.C., n. 3601, April 15, 1938, p. 7.
46) “Più decisamente che mai, la questione ebraica è stata ora riconosciuta come un problema non ebraico, ma un problema mondiale – un problema di civiltà”, WATCHMAN, “Evian – and After”, in J.C., n. 3614, July15, 1938, p. 11.
47) Tra queste ad esempio la Jewish Agency e il World Jewish Congress. “From the Jewish Point of View”, in J.C., July 8, 1938, pp. 14-15.
48) Non tutti gli ebrei condividevano il sionismo politico (vedi nota 16) perché lo consideravano per certi aspetti un passo indietro sulla strada dell’assimilazione, un voler sottolineare la propria diversità non solo in termini religiosi – cosa che era generalmente accettata e condivisa da tutti i membri della comunità ebraica – ma anche politici, insistendo sull’appartenenza del popolo ebraico alla Palestina e a nessun altra nazione. Per quanto riguarda, però, il ritorno in Palestina degli ebrei perseguitati o esiliati, la maggior parte degli ebrei britannici – come riferisce Bolchover – riteneva che fosse la giusta soluzione. Anche il Jewish Chronicle presentava al suo interno opinioni divergenti sul sionismo: lo stesso Ivan Greenberg, direttore del settimanale dal 1936 e per tutto il periodo della guerra, non aveva nascosto la propria avversione alla politica separatista delle organizzazioni sioniste. Tuttavia dalla lettura del periodico per gli anni qui presi in esame emerge piuttosto chiaramente che se la soluzione del problema ebraico doveva essere quella di creare uno Stato ebraico, quello stato avrebbe potuto essere solo ed esclusivamente la Palestina. Per maggiori dettagli vedi R. BOLCHOVER, op.cit., pp. 31-53; D. CESARANI, Le Jewish Chronicle et la Shoah, in “Revue d’Histoire de la Shoah”, n. 163, mai-aout 1998, pp. 185-6.
49) “The Refugees”, in J.C., n. 3615, July 22, 1938, p. 18.
50) Vedi appendice “The Terms of the Resolution” J.C., n. 3615, July 22, 1938, p. 18.
51) “Un effettivo miglioramento nella vita e nella prospettive di molti milioni (di persone)”,”The Refugees” (par.“Mr. Taylor’s Optimism”), in J.C., n. 3615, July 22, 1938, p. 18.
52) “/…/ la prospettiva è inquietante. /…/ Difficilmente passa un giorno senza che un nuovo colpo si abbatta sulla sfortunata popolazione ebraica. /…/ la sconcertante tragedia ebraica si affretta a venire allo scoperto.” “Nazi’s Second Purge”, in J.C., n. 3592, Feb. 11, 1938, p. 7.
53) “Ciononostante, gli ebrei non devono, se non altro perché non osano, disperare. Devono /…/ affrontare il futuro con coraggio, nella certezza che la giustizia, alla lunga, prevarrà /…/. Devono anche fare luce costantemente sulle sofferenze ebraiche, e instancabilmente ripetere i loro appelli alle coscienze delle nazioni.” “Nazi’s Second Purge”, in J.C., n. 3592, Feb. 11, 1938, p. 7.
54) “Sono stati perseguitati, isolati, e ampiamente saccheggiati. /…/ Che altro possono perdere coloro che hanno perso la loro condizione umana e le loro proprietà? Può la brutalità nazista andare oltre? La risposta è sì. Gli ebrei depredati come prigionieri di guerra, possiedono ancora una preziosa proprietà su cui i nazisti gettano sguardi bramosi – la loro capacità lavorativa.” “From Outcasts to Helots”, (par. Nazis Covet Jewish Labour Power”), in J.C., n. 3611, June 24, 1938, p. 33.
55) “/…/ possiamo aspettarci di vedere gli “ariani”, sotto la pressione dalle circostanze economiche, costretti ad unirsi, ancora una volta, ai loro compagni di sventura ebrei. E così la ruota della persecuzione potrà un giorno ritornare al punto di partenza – prima, forse, di quanto i nazisti possano pensare.” “From Outcasts to Helots”, (par. “The real Purpose of the Arrests”), in J.C., n. 3611, June 24, 1938, p. 33.
56) “/…/ Si è detto che la persecuzione degli ebrei in Germania è particolarmente sconvolgente perché i tedeschi sono un popolo civile, ma questo è un sofisma; le persecuzioni sono particolarmente sconvolgenti perché i tedeschi non sono un popolo civile; le loro dissennate crudeltà durante la Grande Guerra /…/ svelarono la loro vera natura e le loro inclinazioni.” (P. EMDEN, “Shadow of Swastika”, in J.C., n. 3629, Oct. 28, 1938, p. 28.) “/…/ Non si deve pensare che il tedesco comune approvi questo. Al contrario, c’è una sincera simpatia per gli ebrei tra tutte le classi della popolazione. La gente è persino disposta a correre qualche rischio pur di mostrare la propria amicizia.” “Help Us to Get Out!” (par. “The Painting Squads”), in J.C., n. 3618, Aug 12, 1938, p. 14.
57) B. REINCHENBACH, “Can Germany Stand Up to War?”, (par. “Acute Shortage of Money”), in J.C., n. 3623, Sept. 16, 1938, p. 26.
58) Permessi speciali venivano concessi per periodi limitati e a patto che i medici ebrei prestassero le loro cure esclusivamente ad ebrei; per questo, i medici dovevano portare, come segno distintivo, un cerchio giallo con all’interno lo Scudo di Davide blu e, sotto, la scritta “Abilitato a trattare solo ebrei”.
59) “Jude”: ted. ebreo.
60) Herr vom Rath.
61) “D’un sol colpo, gli ebrei tedeschi sono stati ridotti ad una comunità di mendicanti, le loro magre risorse portate via, le loro vite fatte a pezzi, la minaccia del ghetto incombe su di loro. I loro negozi sfasciati, le loro sinagoghe bruciate, i loro figli terrorizzati e gli uomini imprigionati – tutto per il divertimento dei nazisti.” “Germany: the Toll of Destruction”, in J.C., n. 3632, Nov. 18, 1938, p. 34.
62) B. REICHENBACH, “The Nazi Pogrom”, in J.C., n. 3632, Nov. 18, 1938, p. 30. Il settimanale ebraico ribadì anche in seguito l’opinione secondo cui l’assassinio del diplomatico tedesco fosse solo un pretesto per dare inizio ai pogrom: “/…/ the shooting of a German offical in Paris by a Polish-Jewish boy driven half-mad by the sufferings of his relatives in Germany was seized on as an excuse for a pogrom throughout Germany /…/. That the murder of Herr vom Rath was but an excuse for this colossal crime is evident from the preparation that were made and the warnings given in a few favoured cases before the diplomatist had been shot.” (“/…/ l’uccisione di un ufficiale tedesco a Parigi da parte di un ragazzo polacco di origine ebrea, spinto quasi alla follia dalle sofferenze dei suoi familiari in Germania, fu presa come scusa per un pogrom in tutta la Germania /…/. Che l’omicidio di Herr vom Rath non sia stato che una scusa per questo crimine colossale risulta evidente dai preparativi che furono fatti e dagli avvertimenti dati a qualche privilegiato, prima che il diplomatico fosse ucciso.”) “Germany and Austria”, in J.C., n. 3674, Sept. 8, 1938, pp. xv-xvi.
63) “Io stesso ho faticato a credere che cose simili siano potute accadere in una civiltà del ventesimo secolo.”, “World Horrified by Nazi Brutality”, in J.C., n. 3632, Nov. 18, 1938, p. 31.
64) “I nazisti sanno bene che la loro ideologia e la loro politica implicano la distruzione degli altri e che, logicamente, non possono evitare nella loro avanzata scontri con le altre potenze. Accettano questo fatto ineluttabile con quello che essi amano considerare come ‘orgoglio eroico’.” “The Nazi Pogrom”, n. 3632, Nov. 18, 1938, p. 30.
65) Cfr. B. WASSERSTEIN, Alliés et neutres face à la politique nazie, in L’Allemagne nazie et le génocide juif, Paris, Gallimard Le Seuil, 1985, pp. 356-ss.
66) W. LAQUEUR, Il terribile segreto. La congiura del silenzio sulla “soluzione finale”, Firenze, La Giuntina, 1983, pp. 85-125.
67) B. WASSERSTEIN “Britain and the Jews …”, cit.,pp. 163-77; 183-ss; A. MOMIGLIANO, Storie e memorie ebraiche del nostro tempo in “Rivista Storica Italiana”, a. XCII, n. 1, gen. 1980, pp. 191-ss; R. BREITMAN, The Allied War Effort and the Jews 1942-43, in “Journal of Contemporary History”, vol. 20, n. 1, Jan. 1985, pp. 135-ss.
68) W. LAQUEUR., op. cit., p. 115.
69) Ibidem.
70) Ibid., p. 116. Non tutta la stampa, comunque, secondo Laquer, si lasciò influenzare dall’atteggiamento “prudente” dei burocrati e, soprattutto nel 1942, il Times, il Manchester Guardian e il Daily Telegraph riportarono commenti dettagliati sullo sterminio.
71) R. BOLCHOVER, op. cit., p. 52-53.
72) “Il suo silenzio è il rimprovero più eloquente mosso a una società che, per il solo fatto che erano ebrei, mancava al proprio dovere verso degli esseri umani innocenti minacciati di annientamento.” D. CESARANI, op. cit., p. 202.
73) F. COEN, “Italiani ed ebrei …”, op. cit., p. 35.
74) M. SARFATTI, “Gli ebrei negli anni del fascismo …”, op. cit., p. 1674. Per maggiori dettagli vedi anche cap. 1.
75) “Hitler’s Visit to Rome”, in J.C., n. 3589, Jan. 21, 1938, p. 18.
76) “Mussolini and the Jews”, in J.C., n. 3593, Feb. 18, 1938, p. 22; Informazione Diplomatica, n. 14, 16 feb. 1938, vedi M. SARFATTI, “Mussolini contro gli ebrei”, cit.,p. 17.
77) Nel Jewish Chronicle si precisa che nel primo numero del Giornalissimo, uscito all’inizio del febbraio del 1938, compariva una vignetta raffigurante un ebreo, che teneva la Russia sotto un braccio e una borsa piena di soldi sotto l’altro braccio, ai piedi della figura stava scritto “Nemico Pubblico N° 1” e seguiva un articolo di Preziosi, nel quale oltre a discutere dell’esistenza di un “problema ebraico” in Italia, egli attaccava la politica inglese in Palestina.
78) Nella dichiarazione si sosteneva, tra l’altro, che “il governo fascista non aveva mai ritenuto e non riteneva al momento necessario adottare misure politiche, economiche o sociali dirette contro gli ebrei in quanto tali, tranne, naturalmente, nel caso di azioni dirette contro il regime fascista.” La stampa fascista tese ad interpretare questa affermazione come una giustificazione degli attacchi di stampa contro gli ebrei, poiché essi, in quanto antifascisti, agivano contro il regime.
79) “Il Tevere afferma che la dichiarazione ammette che le polemiche apparse sulla stampa furono causate dal fatto che il movimento antifascista era diretto da individui ebrei. Le polemiche erano perciò pienamente giustificate e avevano il permesso di continuare, perché l’antifascismo e il giudaismo erano identici /…/. Il Tevere cerca di dedurre /…/ che il Governo italiano intende introdurre un numerus clausus per gli ebrei /…/. Il Regime Fascista sostiene che tutti gli ebrei, anche se divisi tra loro, sono decisamente antifascisti /…/. A nessuna persona di una razza diversa o di un paese diverso può essere permesso di accedere a una posizione di comando nella nazione italiana.” “The Italian Pronouncement”, in J. C., n. 3594, Feb. 25, 1938, p. 16.
80) “/…/ attacchi contro gli ebrei e il giudaismo, e contro i non-ebrei che difendono gli ebrei, tra cui il Presidente Roosevelt, e /…/ tutte le solite menzogne sui ‘Protocolli dei Savi Anziani di Sion’ /…/”. “Gestapo Menaces to Jews in Italy” in J.C., n. 3603, April 29, 1938, p. 20.
81) Spinta verso Est (ted.).
82) “È forse troppo aspettarsi che anche in Italia il Signor Mussolini chieda la cessazione definitiva della campagna antisemita, che era stata così imprudentemente sostenuta non molti mesi fa in seguito ad un’esplosione di entusiasmo per gli ideali nazisti da parte di un’ala estrema del fascismo /…/? Poiché non c’è nulla che sia meno in armonia con le grandiose tradizioni dell’Italia e l’inestimabile ruolo svolto dalle sue illustri comunità ebraiche durante il ‘Risorgimento’.” “Italy’s Reaction to Nazi Ambitions”, in J.C., n. 3603, April 29, 1938, p. 20.
83) Di questo aspetto ci occuperemo più approfonditamente nel par. 4.
84) R. DE FELICE, “Storia degli ebrei …”, cit., p. 278.
85) “Con la pubblicazione da parte di un gruppo di professori universitari, sotto l’egida del Ministero italiano della Propaganda, di un documento che approva il razzismo e tutte le declamazioni “ariane” dei teorici nazisti, è apparso chiaro al mondo intero che il fascismo italiano è entrato in una fase in cui l’antisemitismo diventerà con ogni probabilità una parte tanto integrante quanto lo è per il nazismo tedesco. /…/ Oggi, dopo una preparazione durata quattro anni, la scena sembra alla fine pronta per un altro violento attacco contro ebrei indifesi.” “Italy’s Drift to Anti-Semitism”, in J.C., n. 3616, July 29, 1938, p. 13.
86) R. DE FELICE, op.cit., pp. 279; 555-6.
87) “Fin ad ora (feb. 1938), le politiche e le regole interne dei due paesi sono andate di pari passo /…/. Esisteva una differenza essenziale – nel trattamento riservato alle rispettive comunità ebraiche. /…/ le tirate antiebraiche sempre più violente e incessanti sulla stampa italiana controllata, devono aver preparato i nostri lettori ad un cambiamento nella politica italiana verso gli ebrei; /…/ Il consolidamento delle relazioni ideologiche è già in atto /…/ qualcuno deve essere sacrificato sull’altare dell’amicizia italo-nazista /…/.” “Nazi’s Second Purge”, in J.C., n. 3592, Feb. 11, 1938, p. 7.
88) “Una caratteristica rilevante del nuovo razzismo italiano è che non si basa su alcun fondamento razionale. /…/ non c’è, dal punto di vista dell’interesse nazionale, nemmeno l’ombra di una giustificazione per dare inizio a una campagna di “difesa” contro gli ebrei italiani. /…/ Se l’origine essenzialmente irrazionale del nuovo antisemitismo necessitasse di un’ulteriore spiegazione, la si può trovare nel fatto che iniziando una campagna razziale contro gli ebrei italiani, che vivono nel paese da oltre 2000 anni, Mussolini mostra di tradire la tradizione dell’Impero romano di cui, con orgoglio, si vanta di essere il successore.” “Notes of the Week”, (par. “The Italian Race Mania”), in J.C., n. 3617, Aug. 5, 1938, p. 8.
89) “Il duce non può usare la stessa scusa di Hitler, secondo cui gli ebrei tedeschi l’avrebbero contrastato, dal momento che gli ebrei italiani hanno fatto parte del fascismo e sono persino morti per la causa fascista. /…/ Qual è la ragione dell’antisemitismo di Mussolini? Questa ragione sta nel fatto che egli deve dare rispettabilità al suo alleato. Gli italiani si sono opposti all’antisemitismo tedesco e Mussolini si è mostrato ruffiano con il suo alleato giudicandolo (rif. all’antisemitismo) giusto e appropriato.” “What Jews Have Done for Italy”, in J.C., n. 3627, Oct. 14, 1938, p. 26.
90) “/…/ Un desiderio di imitare la Germania nazista come gesto di solidarietà verso il partner dell’Asse Roma-Berlino, e, incidentalmente, anche di raccogliere i benefici economici e finanziari che la Germania si è assicurata con la persecuzione degli ebrei. /…/ Che cosa sono la vita, la felicità, e la dignità di quarantamila ebrei paragonate a una razzia tanto lucrativa, e che per di più aiuta ad accattivarsi il favore della Germania?” “Making Anti-Semitism Pay”, in J.C., n. 3624, Sept. 23, 1938, pp. 36-7.
91) “Duce Defies the Pope”, in J.C, n. 3617, Aug. 5, 1938, p. 23.
92) R. DE FELICE, op. cit., pp. 558-59.
93) “un ulteriore indice del fatto che il razzismo italiano non resterà solo una materia di studio /…/.” “Italy Denies Persecution”, in J.C., n. 3618, Aug. 12, 1938, p. 13.
94) “Con una velocità impressionate i fascisti italiani stanno seguendo il loro percorso antisemita e si stanno dimostrando zelanti discepoli dei nazisti tedeschi. L’impressione è che stiano cercando di arrivare in poche settimane o pochi mesi ai risultati raggiunti dalla Germania in un certo numero di anni.” “Roman Orgy”, in J.C., n. 3622, Sept. 9, 1938, p. 25.
95) “Tanto inopportuna quanto enigmatica”, “Notes od the Week”, (par. “Will Mussolini Think Again?”, n. 3623, Sept. 16, 1938, p. 10.
96) “La sua politica assurda e perversa”, Ibidem.
97) Consiglio degli ebrei contro il fascismo e l’antisemitismo.
98) Il Jewish Chronicle precisava, tra l’altro, che queste “concessioni” sarebbero state realmente valide solo a partire dal momento in cui gli ebrei avessero definitivamente abbandonato il loro (presunto) atteggiamento ostile verso il fascismo. “Notes of the Week”, (par. “Mussolini’s ‘Generosity’.”), n. 3627, Oct. 14, 1938, p. 8.
99) “Il semi-ufficiale Giornale d’Italia minaccia che gli ebrei italiani si troveranno in una posizione ancora più grave se i loro correligionari all’estero persisteranno in ‘un tale gesto sconsiderato’.” “Boycott of Italian Goods” in J.C., n. 3622, Sept 9, 1938, p. 26.
100) Vedi appendice.
101) Furono soggetti ad espulsione gli ebrei stranieri cui era stata concessa la cittadinanza italiana dopo il 1°gennaio 1919.
102) Per un approfondimento sulle posizioni della Chiesa riguardo alle leggi razziali vedi anche par. 3.4 di questo capitolo e par. 6 del cap. 1.
103) Il decreto legge del 17 novembre era stato preceduto da quello del 15 dello stesso mese (XVII, n. 1779), che riuniva in un unico testo e integrava con nuove disposizioni le norme emanate fino ad allora per la difesa della razza nella Scuola Italiana.
104) “Le leggi di Norimberga italiane”, in J.C., n. 3632, Nov. 18, p. 37.
105) “Mussolini versus il Duce”, in J.C., n. 3621, Sept. 2, 1938, p. 23.
106) “Nel 1927, Mussolini affermò in una dichiarazione pubblica: ‘Noi in Italia riteniamo del tutto ridicolo il modo in cui gli antisemiti in Germania cercano di farsi strada all’interno del fascismo. Noi protestiamo con tutte le nostre forze contro una compromissione del fascismo in questo senso. L’antisemitismo è il prodotto delle barbarie’.” Ibidem.
107) “Parlando alla Camera dei Deputati nel maggio, 1929, Mussolini disse: ‘Gli ebrei vivono a Roma fin dal tempo dei re /…/ Rimarranno indisturbati, come tutti coloro che credono in un’altra religione’.” Ibidem.
108) “Nel 1932, /…/ Mussolini assicurò al Dott. Solomon Goldman, il Presidente dell’Organizzazione sionistica d’America ‘nel modo più vigoroso ed inequivocabile’ che l’antisemitismo non sarebbe mai stato tollerato da lui in Italia.” Ibidem.
109) “C’era un tempo in cui Mussolini si esprimeva in termini molto diversi da quelli che oggi ha ritenuto opportuno adottare. /…/ ‘I tempi cambiano e noi con loro’ come un altro latino disse una volta.” “Mussolini Denounces Racialism – But That Was in 1932”, in J.C., n. 3617, Aug. 5, 1938, p. 23.
110) E. LUDWIG, Colloqui con Mussolini, Milano, Mondadori, 1950, pp. 71-73.
111) Vedi in particolare la già citata Informazione Diplomatica n. 14, par. 3.1 e nota 64.
112) Vedi anche parte introduttiva “1938. Storiografie a confronto”.
113) Di questi due aspetti ci occuperemo nel par. 3.4.
114) L’esito dei colloqui anglo-italiani fu il cosiddetto “Patto di Pasqua”, siglato il 16 aprile 1938, che, però, non ebbe mai applicazione concreta.
115) Par. 3.1
116) “Quei governi che sono in stretto contatto con Roma e con il Vaticano sembrano essere giunti a ritenere che una trasformazione psicologica nell’opinione pubblica italiana e nel Duce sia stata prodotta dall’aggressione ai danni dell’Austria e in particolare dalla brutalità con cui è stata compiuta.” “Italy’s Reaction to Nazi Ambitions” in J.C., n. 3603, April 29, p. 20.
117) “La responsabilità personale di Mussolini è risultata abbondantemente chiara /…/ quando ha attaccato il Papa per la sua condanna del razzismo e ha annunciato che avrebbe continuato la sua campagna senza compromessi.” “Duce Defies the Pope” in J.C., n. 3617, Aug. 5, 1938, p. 23. Sull’atteggiamento di Mussolini vedi anche M. SARFATTI, “Mussolini contro …“, cit., p. 16-60.
118) Il Jewish Chronicle diede notizia del primo campo di concentramento già nel febbraio del 1939: si trattava di un campo destinato a quegli ebrei stranieri che non sarebbero stati in grado di adempiere all’obbligo di lasciare l’Italia entro il 12 marzo 1939, come previsto dal R.D.L.17 novembre 1938-XVII, n. 1728.
119) “The Pope Condemns Hitler”, in J.C., n. 3597, March 18, 1938, p. 35.
120) “Un attacco al Papa per il suo atteggiamento verso la questione razziale viene dallo Stuermer di Julius Streicher /…/: ‘Il Papa ha adottato la falsa concezione di uguaglianza tra le razze diffusa dagli ebrei con l’aiuto dei marxisti e dei massoni. /…/ Chi offre protezione a Satana non può essere considerato servo di Dio’.” “Streicher Attacks the Pope” in J.C., n. 3621, Sept 2, 1938, p. 23.
121) “Swastika and Cross in Italy” in J.C., n. 3605, May 13, 1938, p. 30.
122) “Il Vaticano ha protestato con veemenza contro i nuovi sviluppi, e la rivista diocesana di Roma, /…/ dichiara: ‘Come cattolici e come italiani, dobbiamo rifiutare questa nuova religione del sangue … che è l’essenza dell’odio, della guerra e della persecuzione.’ Condanne simili sono apparse anche sull’Osservatore Romano, ma la censura le ha tenute lontano dalla stampa ordinaria.” “Italy’s Drift to Anti-Semitism”, in J.C., n. 3616, July 29, 1938, p. 13, vedi appendice.
123) “Profondamente toccato /…/ dalla progettata svolta contro gli ebrei”, “Notes of the Week” (par.”The Pope Speaks Out”), in J.C., n. 3617, Aug. 5, 1938, p. 8.
124) “Con sprezzante sarcasmo”, ibidem.
125) Ibid., p. 23
126) “E’ incoraggiante apprendere, comunque, che mentre si sta intensificando la campagna antisemita, anche la campagna della Chiesa cattolica contro la nuova politica razziale sta crescendo in intensità. /…/ i sacerdoti italiani denunciano il razzismo e il nazionalismo esagerato.” “Italian Racialists Attack Britain” in J.C., n. 3619, Aug. 19, 1938, p. 19.
127) “Census of Italian Jews” (par. “Will the Pope Modify His Attitude?”) in J.C., n. 3620, Aug. 26, 1938, p. 19.
128) “/…/ il razzismo, visto dal Papa, va oltre i confini della politica in quanto costituisce un pericolo per l’intera famiglia umana e cristiana. /…/ il Papa ha rinnovato la sua critica del razzismo e ha ripetuto la sua profonda convinzione che il razzismo non è estraneo alla filosofia, alla morale e alla religione.” “Pope Reaffirms Anti- Racialism” in J.C., n. 3621, Sept. 2, 1938, p. 23.
129) “La pubblicazione italiana razzista e antiebraica”, “Pope versus Jew-Baiters”, in J.C., n. 3624, Sept. 23, 1938, p. 24. Il primo numero de La difesa della razza era uscito il 5 agosto del 1938. Cfr. P. MURIALDI, “La stampa …”, op. cit., p. 170.
130) “L’antisemitismo non può essere conciliato con il pensiero e con la sublime realtà del testo biblico. È un movimento vergognoso, un movimento a cui noi cristiani non dobbiamo prendere parte.” J.C., ibid.
131) “un’interferenza nelle questioni ecclesiastiche e una violazione del Concordato” “”Italy’s Nurberger’s Laws” in J.C., n. 3632, Nov. 18, p. 37.
132) Il Jewish Chronicle pubblicò la replica del Papa al monito di Starace contro le manifestazioni di compassione verso gli ebrei: il Papa definì “illecite e inapplicabili” le misure antiebraiche e affermò il diritto alla solidarietà e alla carità cristiana. “Compassion for Italian Jews” in J.C., n. 3636, Dec. 16, 1938, p. 18. Farinacci rivolse il suo attacco a vari leader cattolici, e in particolare all’Arcivescovo di Milano, Cardinal Schuster e all’Arcivescovo di Bologna, Cardinal Nasalli Rocca, per le loro ripetute condanne della politica razziale del governo. “Farinacci Attacks Church Leaders” in J.C., n. 3640, Jan. 13, 1939, p. 18.
133) Il Jewish Chronicle espresse la convinzione che il colloquio tra il Papa e Chamberlain, nel corso del quale Sua Santità aveva parlato della questione razziale, indicandola come di primaria importanza per lui, era destinato a suscitare le ire di Streicher, che già più volte aveva definito il Papa e i ministri della Chiesa come “amici degli ebrei” e “avvocati degli ebrei”. “The Pope and Mr. Chamberlain” in J.C., n. 3641, Jan. 20, 1939, p. 18.
134) “Con la morte di Pio XI, gli ebrei di tutto il mondo piangono la perdita di uno dei più risoluti difensori della tolleranza razziale nei tempi moderni, e uno che /…/ è diventato sempre più esplicito nella condanna degli antisemiti in Germania, in Italia, e altrove. La malevolenza con cui i persecutori antisemiti nazisti e i fascisti lo attaccarono è ampio dimostrazione della forza espressiva delle sue accuse.” “Pope Pius and the Jews” in J.C., n. 3645, Feb. 17, 1939, p. 16; vedi appendice.
135) “Tutti ricordano che il nuovo Papa ha dimostrato in passato di condividere l’ostilità di Pio XI verso il paganesimo nazista e il razzismo.” “Pope Pius XII” in J.C., n. 3648, March 10, 1939, p. 31.
136) Il Jewish Chronicle riferì che la Difesa della Razza, organo del dipartimento per la ‘razza’ del Ministero dell’Interno, aveva pubblicato un articolo nel quale condannava l’atteggiamento ‘pro-Jewish’ della Chiesa cattolica. “Italian Catholics Attack Jew-Baiters” in J.C., n. 3658, May 19, 1939, p. 28.
137) Vedi cap. 1, par. 6.2.
138) Vedi anche cap. introduttivo: “1938. Storiografie a confronto”, par. 1.3.
139) “/…/ la massa degli italiani è riluttante ad accettare la politica antisemita dettata da Mussolini e non può perdonare il terrore nazista.” “Italian People Revolted by Nazi Frightfulness” in J.C., n. 3633, Nov. 25, 1938, p. 26.
140) “/…/ La popolazione nell’insieme non mostra segni di partecipazione ad alcun movimento di boicottaggio antiebraico, e persino i fascisti in uniforme continuano a commerciare con gli ebrei. /…/ mentre i decreti antiebraici sono approvati dalla stampa e dagli ufficiali, non sono stati altrettanto bene accolti dalle ‘classi colte’. Evidentemente gli italiani, dopo sedici anni di fascismo, non si lasciano distrarre dall’ultima ‘trovata’ di Mussolini.” “Roman Orgy” (par. “Public Unresponsive”) in J.C., n. 3622, Sept. 9, 1938, p. 25.
141) “Italian Fascists Who Oppose Anti-Semitism” in J.C., n. 3635, Dec. 9, 1938, p. 28.
142) “I fascisti che dimostrano simpatia verso gli ebrei vengono immediatamente espulsi dal partito, e i circoli antiebraici favoriscono drastici provvedimenti contro coloro che descrivono come ‘traditori della causa fascista’.” “Fascists versus Italians” in J.C., n. 3638, Dec. 23, 1938, p. 30.
143) “Collettivamente come ebrei – e al di là delle critiche che gli ebrei individualmente, così come i non ebrei individualmente, possono muovere alla politica italiana – noi non proviamo altro che la più cordiale simpatia per il grande popolo italiano; non desideriamo altro che la sua prosperità.” “Notes of the Week” (par. “Will Mussolini Think Again”) in J.C., n. 3623, Sept. 16, 1938, p. 10.
144) “Alcuni pubblicisti, incluso il corrispondente di Le Temps a Roma, sono abbastanza ottimisti da suggerire che l’affermazione, secondo cui il problema ebraico mondiale può essere risolto soltanto con la creazione di uno Stato ebraico, significa che Mussolini stesso intende fornire quello Stato – l’Abissinia!” “The Italian Pronouncement” in J.C., n. 3594, Feb. 25, 1938, p. 16.
145) Il settimanale era considerato – si legge sul Jewish Chronicle – il portavoce del Ministero delle Colonie italiano. L’articolo nel quale si negava l’offerta abissina era un editoriale dal titolo “Stato ebraico e colonie italiane”. “Italy Denies Abyssinian Offer” in J.C., n. 3596, March 11, 1938, p. 19.
146) “Italy and the Jewish State” in J.C., n. 3607, May 27, 1938, p. 32.
147) Al Jewish Chronicle era sfuggita, tra le altre, un’affermazione contenuta nell’Informazione Diplomatica n. 18 del 5 agosto 1938, che rivelava l’intenzione del governo italiano di mandare in Libia e nell’A.O.I. (Africa Orientale Italiana) milioni di uomini. Se è vero che non era esplicitamente detto “milioni di ebrei” è anche vero che quella stessa Informazione ribadiva l’appartenenza degli ebrei ad una razza diversa e feceva accenno all'”equazione, storicamente accertata negli ultimi anni di vita europea, fra ebraismo, bolscevismo e massoneria”. Per il testo dell’Informazione vedi M. SARFATTI, “Mussolini contro …“, cit., p. 23-4.
148) “Il progetto di Mussolini di colonizzare l’Abissinia sfruttando la forza degli ebrei riceverà – i fascisti lo sperano – il sostegno nazista. /…/ Secondo una fonte romana, Mussolini e Ciano, il ministro degli Esteri italiano, sono indignati per il fatto che sinora nessuna organizzazione ebraica ha intrapreso trattative con il governo italiano riguardo all’offerta abissina.” ” Abyssinia Unlimited” in J.C., n. 3630, Nov. 4, 1938, p. 29.
149) “/…/ il popolo abissino accoglierebbe l’insediamento di ebrei come vittime del terrore fascista e nazista, ma non come strumento del governo italiano.” “Abyssinian Plan Mystery” in J.C., n. 3640, Jan. 13, 1939, p. 18.
150) L’agenzia a cui si fa riferimento è la Jewish Telegraphic Agency.
151) Secondo l’Evening Standard, Mussolini avrebbe sottoposto a Chamberlain un progetto che prevedeva, da parte dell’Italia, la cessione della provincia abissina dell’Harar e della regione costiera a favore di uno Stato ebraico indipendente e neutrale, a patto, però, che la Francia e l’Inghilterra avessero a loro volta ceduto rispettivamente il porto di Gibuti, nella Somalia francese e Zeila, nella Somalia britannica. “Abyssinian Plan Mystery” in J.C., n. 3640, Jan. 13, 1939, p. 18. De Felice osserva che l’idea di un insediamento ebraico in Abissinia aveva suscitato l’interesse del presidente americano Roosevelt e di Chamberlain. R. DE FELICE, “Storia degli ebrei …” cit., p. 287.
152) “Abyssinia” in J.C., n. 3641, Jan. 27, 1939, p. 17.
153) “/…/ l’Italia sta cercando soldi e persone che l’aiutino a combattere i patrioti abissini, ma gli ebrei non accetteranno mai un tale compito a vantaggio dei governanti fascisti.” “We Are Not Going To Abyssinia” in J.C., n. 3673, Sept. 1, 1939, p. 21.
154) Un primo articolo comparso sul Jewish Chronicle a fine ottobre parlava di un totale di cinque millioni di ebrei da insediare in Abissinia; un articolo successivo, pubblicato nel novembre, faceva invece riferimento solo a trentamila ebrei che avrebbero dovuto stabilirsi nella zona a sud del lago Tsana, in Abissinia appunto. “The Abyssinian Scheme. Reported Agreement” in J.C., n. 3681, Oct. 27, 1939, p. 9; “The Abyssinian Scheme. Italian Jewry’s Alarm” in J.C., n. 3683, Nov. 10, 1939, p. 6.
155) “/…/ se l’idea fallisse a causa dell’opposizione straniera, gli ebrei italiani potranno essere costretti a pagare per la delusione del governo italiano; mentre se il progetto avesse successo, gli ebrei temono che l’insediamento del Tana possa diventare una riserva simile all’insediamento ebraico a Lublin proposto da Hitler.” “The Abyssinian Scheme. Italian Jewry’s Alarm” in J.C., n. 3683, Nov. 10, 1939, p. 6.
156) Altre possibili aree di insediamento erano, ad esempio, la Rhodesia, il Madagascar e il Kenia. R. DE FELICE, op. cit., p. 286.
157) Ibid., pp. 288-9.