Quest’anno la festa di Tu Bishvat, del Capodanno degli alberi, precede lo Shabbat dove si legge la Parashà di Itrò, cioè quella dei Dieci Comandamenti. Non esistendo un accostamento casuale nella Torà, potremmo chiederci quale sia il legame tra queste due ricorrenze. Quando si parla di alberi avviene molto facilmente l’associazione con uno dei protagonisti dello stravolgimento storico primordiale: L’albero della Conoscenza del bene e del male. Se aggiungessimo un ulteriore elemento interpretativo, cioè quello della equivalenza tra essere umano e albero, come è scritto nel Deuteronomio (Deu 20,19), allora potremmo leggere l’episodio della “violazione dell’albero” come la violazione dell’uomo stesso. Come sappiamo ogni azione che comporta un difetto richiede un’azione uguale e contraria che la vada a riparare (Tikun).
Hashem disse ad Adam e Chavvà di poter mangiare da qualsiasi albero ma non da quello della conoscenza, forse si richiedeva un grande atto di fede: eseguire il comando divino senza indagare le ragioni, direi imperscrutabili, dell’Eterno. Adamo ed Eva caddero nella trappola di voler conoscere le cose e diventare come E-l-okim conoscitori del bene e del male. Molte volte ci capita di ascoltare persone che con troppa facilità cercano di criticare una legge Divina attraverso il solo strumento, limitato, dell’intelletto umano.
Dunque, tutto questo, richiede un atto uguale e contrario che costituisca il Tikun della prima coppia.
Il Maamar Har Sinai potremmo dire che costituì ciò: Naasè Venishmà, prima faremo e poi ascolteremo. Non abbiamo bisogno di indagare un comando Divino, ci fidiamo totalmente della parola dell’Eterno. Questo è l’opposto del peccato di Adamo. Israele accetta di agire prima di comprendere, riconoscendo che la vera saggezza non è un atto di appropriazione intellettuale, ma il risultato di una connessione con la Volontà superiore. Al Matan Torà ci si arriva dopo 49 giorni, dopo sette settimane dall’uscita dall’Egitto. In questo percorso, secondo la Kabbalà, si dovrebbero riparare 49 tratti caratteriali corrispondenti alle sette delle dieci sefirot, contenenti a loro volta altre sette; sette sfumature diverse di sette caratteristiche umane, come la bontà (Hesed), il rigore (Ghevurà) etc.
Ecco che l’albero-uomo, colui che era stato violato, viene aggiustato, e merita quindi, nell’atto di abbracciare incondizionatamente la legge Divina, di trasformarsi da albero della conoscenza ad albero della vita, ovvero la Torà, chiamata Etz Chaym. Ma davvero l’azione è prevalente sulla conoscenza? Eppure, troviamo scritto nel Yad Hachazakà di Maimonide, “TZarich Leidà Sheyesh Sham Matzui Rishon”, ovvero, è necessario conoscere (stesso verbo della radice Daat-conoscenza) che lì esiste un’esistenza primordiale. Ma anche in molteplici parti della Torà ci viene comandato di studiare approfonditamente e costantemente, “Veshinantam”, “Vehaghita bo yomam valayla” etc. Addirittura in Masechet Kiddushin 40b si afferma: È più grande lo studio oppure è più grande l’azione? E si risponde che lo studio è più grande, perché porta all’azione. Allora come conciliare la prima ipotesi con quest’ultima?
Direi che l’azione e lo studio andrebbero messe in una forma geometrica cara all’ebraismo, il cerchio, come due direzioni complementari, un ciclo dinamico che ci invita a non fermarci ad una visione unidimensionale, ma a far sviluppare in noi un moto, un percorso che unisce mente e cuore, studio e pratica, ragione e fede. È un cammino in cui, facendo, si impara e, imparando, si fa.
Shabbat Shalom Umevorach