ITRO’, è considerata la parashà più importante di tutta la Torà, poiché in essa si trova il cardine su cui poggia tutta la morale e il diritto ebraico: gli “Aseret ha Dibberot – I Dieci Comandamenti”.
Il midrash si interroga sin dalla prima parola con cui essi iniziano “anokhì – Io sono” domandandosi il motivo per cui non è detto “Anì”. A questo si risponde dicendo: “da ciò si impara che ogni ebreo è garante dell’altro!”
Cosa significa questa spiegazione? Al quesito del midrash, segue una divergenza fra due famosi rabbini: Rambam (Rabbì Moshè Maimon – il Maimonide) e Ravad (Rabbi Avrahàm David – Cordova 1110 – 1198 ). Il primo sostiene, che nell’osservanza delle mitzvòt, vi è una responsabilità collettiva del popolo mentre l’altro sostiene che non può esserci.
Da dove scaturisce questa discussione? Il Maimonide insegna che la somma di tutte le lettere che compongono i Dieci Comandamenti è 613, tanto quanto il numero di tutte le mizvot della Torà, mentre l’altro dice che non vi è un numero di mitzvòt preciso, poiché esse sono infinite e su un qualcosa di impreciso, non può sussistere alcuna garanzia di una persona verso l’altra.
A questo diverbio interviene un altro grande Maestro “Shelah” (Rabbì Yeshayah Horovitz – Praga 1630 – Safed?) che spiega dicendo che: “il motivo per cui è scritto anokhì e non Anì è proprio per raggiungere il numero di 613, poiché se fosse scritto Anì, la somma delle lettere sarebbe 612” .
Quindi l’intenzione della Torà è proprio quella di indicare un numero ben definito di mizvot, per rendere il popolo garante l’un l’altro nella loro osservanza.
D’altronde sappiamo, e a questo non c’è scampo, che “Israel ‘arevim ze la ze – Ogni ebreo è garante dell’altro”.
Shabbat Shalom