La parashà che leggeremo questo shabbat è considerata la più importante della Torà, poiché in essa sono contenuti gli “’Aseret ha dibberot – I Dieci Comandamenti”.Molte volte si è cercato di dare molteplici interpretazioni ad essi, dicendo che hanno un valore universale e che riguardano tutta l’umanità.C’è un’interpretazione invece, dello Zohar, il libro dello “Splendore”, interpretazione esegetica di carattere mistico, che spiegando il primo dei Dieci Comandamenti, ci insegna un qualcosa di molto più profondo.
È scritto nel primo comandamento:“Io sono il Signore D-o tuo che ti trasse dalla terra d’Egitto, dalla casa degli schiavi”In un midrash, Mosè rivolgendosi agli Angeli, che dimostrano gelosia per il popolo che sta ricevendo la Torà, gli chiede:“Siete forse stati mai schiavi in Egitto voi? Allora la cosa non vi riguarda!”La stessa domanda, il popolo ebraico potrebbe farla a tutti gli altri popoli:“ Se qualcuno di voi è stato schiavo in Egitto, allora la cosa riguarda anche voi, viceversa appartiene soltanto a noi”.Lo Zohar fa però notare che questa espressione riguardo la schiavitù del popolo e l’intervento divino di farlo uscire di lì con “braccio forte e mano distesa” non si trova soltanto in questo punto preciso del testo, ma la si ritrova in tutta la Torà, per ben cinquanta volte.Sin dal patto che D-o stipula con Abramo, circa quattrocento anni prima della discesa dei suoi discendenti in Egitto, è scritto che da lì il Signore li libererà.Lo Zohar sostiene che però sin dal quel passo, il Signore non mette alcuna condizione per liberare il popolo, mentre in più passi della Torà, di condizioni ne troviamo abbastanza, compreso nei Dieci Comandamenti.Si fa notare che nei quattrocento anni che il popolo visse in mezzo agli egiziani, popolo pagano e quindi impuro, anche essi si resero impuri, per la loro vicinanza.L’impurità, secondo l’interpretazione cabalistica avrebbe quarantanove porte, ossia gradi d’impurità che salgono dalla più semplice a quella più complessa; per cui, nel momento in cui gli ebrei uscirono dall’Egitto, si trovavano in una condizione di impurità particolarmente elevata.Per acquisire purezza c’era bisogno di ritornare ad una vita sana e regolamentata da leggi che avessero distinto in modo inequivocabile un popolo da un altro; per il popolo di Israele, queste leggi corrispondono alla Torà.Per cui, quarantanove volte in cui troviamo scritto “io sono il Signore D-o tuo che ti trasse dall’Egitto”, il popolo ha attraversato le famose porte della impurità, mentre la cinquantesima, quella del Decalogo, viene ricevuta dal popolo nella condizione di purezza assoluta, che grazie alla sua osservanza, lo fa distinguere da tutti gli altri.