Nella benedizione, meglio visione profetica di Giacobbe, prima della morte, dà una “benedizione” speciale e strana a Simone e Levi: Simeone e Levi sono fratelli; Le loro spade sono strumenti di violenza, La mia persona non entri nella loro riunione, non partecipare, o anima mia, alla loro assemblea, poiché quando sono adirati uccidono uomini, quando sono calmi tagliano i garretti ai buoi, Maledetta la loro ira che è violenta e il loro furore che è duro; li dividerò in Giacobbe e li sparpaglierò in Israele. (Genesi 49, 5)
Giacobbe e i figli si trovano in Egitto, molti anni dopo la strage perpetrata da Simone e Levi nei confronti degli abitanti di Shekhem, che è l’evento accennato in queste frasi: una strage gratuita, perché i fratelli aggrediscono una città intera, quando il colpevole era una sola persona, per quanto ragguardevole come Shekhem. Giacobbe aveva già condannato la strage (Genesi 34, 30): Mi avete danneggiato mettendomi in cattiva luce presso gli abitanti del paese, io ho un numero esiguo di persone; se si unissero contro di me mi batterebbero e sarei annientato, io con la mia famiglia”.
Se questa reazione era comprensibile al momento in cui era accaduto l’evento, sembra eccessiva e fuori luogo a distanza di così tanto tempo, anche se la sua ira è dovuta a una condanna per un’azione ingiusta fatta dai suoi due figli. Dopo la perdita della primogenitura da parte di Ruben, Simone e Levi avrebbero dovuto essere i primi ad assumere la leadership della famiglia.
Nahmanide osserva che la condanna di Giacobbe aveva più motivi:
- La violenza gratuita nei confronti di persone innocenti, che si erano dichiarate disposte a circoncidersi e quindi ad aggregarsi alla famiglia Giacobbe e alle sue norme;
- Il pericolo che qualcuno potesse sospettare che lui – Giacobbe – era stato connivente con questa scelta;
- La perdita di immagine della sua famiglia, esponenti di una nuova fede, che credono in un Dio unico e si comportano in questo modo così barbaro;
- L’ingiustizia fatta verso una intera città e non alla sola persona che la meritava.
La risposta data da Simone e Levi “La nostra sorella avrebbe dovuto essere considerata come una meretrice? ” non poteva giustificare la decisione di fare giustizia da soli: è sempre necessaria una valutazione attenta e precisa di tutti i fatti prima di fare un intervento violento. In ogni caso compiere una strage non trova mai nessuna giustificazione: solo interventi puntuali possono essere ammessi, anche se con molte riserve, come nel caso di Pinechas (Numeri cap. 25). I due casi sono profondamente diversi tra loro: Pinechas interviene per punire una sola coppia che aveva commesso in pubblico una grave colpa, che poteva avere una conseguenza enorme su tutto il popolo, mentre nel caso di Dina non c’erano questi estremi.
Rabbi Izchak Aramà sostiene che lo zelo è spesso accompagnato da comportamenti che sconfinano nell’odio e possono indurre all’eliminazione del prossimo, mentre il comportamento corretto starebbe nel mantenere una posizione equilibrata: una misura minima di zelo può essere opportuna per permettere all’individuo di resistere e può giovare proprio per non essere completamente fagocitato dagli altri. Il giudizio su un’azione zelante può cambiare a seconda del luogo e del tempo in cui avviene. Ecco perchè, nella benedizione che darà ai Leviti, Mosè dirà “I tuoi Urim e Tumim appartengono a un uomo a te pio … essi insegneranno i tuoi statuti a Giacobbe e la tua legge a Israele ” (Deuter. 33: 8 – 10). Mosè augura che la luce (Urèkha) della Torà possa accompagnare le loro azioni in modo che non siano estranee alla Torà: questo vale sia per il singolo che per la collettività. Tornando alle parole di Giacobbe, egli nella sua benedizione si augura che l’ira che si era concentrata in Simone e Levi possa essere divisa tra tutti i figli e le tribù di Israele.
Una posizione interessante esprime Rabbi Shimshon Refael Hirsch.
Egli fa una differenza tra i periodi in cui la nazione vive nella sua terra ed è nel pieno delle proprie forze, una collettività unita e forte che può essere sospinta dalla forze delle due tribù e deve stare attenta a non eccedere nell’uso della forza e della violenza. La situazione di Israele nella Diaspora, quando il popolo è diviso e il pericolo di perdere i propri valori a causa anche della durezza dell’asservimento alle altre nazioni. L’ebreo perseguitate e dileggiato che si muove nel mondo non ebraico deve mantenere sale le proprie convinzioni, difendendo la propria dignità personale e nazionale. “Li dividerò in Ya’akov” dice Giacobbe: il Signore ha operato con amore e misericordia con Israele dividendo le caratteristiche di Simone e Levi, sparpagliandoli tra tutte le tribù d’Israele. La conseguenza naturale di questa decisione è stata che dopo la caduta, lo sfaldamento e la dispersione di Israele in mille pezzi, con la dispersione da una diaspora all’altra, in tutte le diaspore vi sono stati discendenti di Simeone e Levi che hanno risvegliato la forze e il coraggio, l’entusiasmo e l’orgoglio ebraico, e hanno operato per far sì che lo spirito ebraico rimanesse saldo, sveglio e vivo anche dopo che lo Stato non esisteva più.
Spesso l’ebreo pensa che il modo migliore per vivere nella società in cui si trova sia un atteggiamento remissivo rinunciando ai propri principi, a quelli che sono i motivi fondanti dell’identità ebraica: l’obiettivo della Torà è quello di promuovere la creazione e la formazione di un uomo che mantenga la propria libertà e non sia succube dei principi e dei comportamenti che caratterizzano la società in cui vive: troppo spesso gli ebrei sono stati costretti aad accettare, volontariamente o meno, comportamenti e usi che caratterizzano molte società moderne, cosa che alla fine ha causato l’eliminazione delle Comunità. Nella società ebraica dell’emancipazione il motto era “sii ebreo a casa e tedesco fuori casa”: Hirsch, che combatté la Riforma, dice in sostanza che ci vuole orgoglio ebraico per affermare che si è ebrei fuori casa, nella società esterna. Qui tu ebreo potrai portare il tuo contributo che sarà assai diverso da quello della maggioranza e proprio per questo più utile. Se l’ebreo sempre remissivo e non avesse avuto un minimo di aggressività, sarebbe già scomparso da tempo. Se siamo ancora presenti come popolo è perché il messaggio della Torà è ancora attuale e sta a noi viverlo per primi. Per onorare il lascito di Simone e Levì.
Scialom Bahbout
Shimshon Refael Hirsch
Amburgo 1808, Francoforte sul Meno 1888. Ha studiato Torà presso il rav Branies e poi rav Yaakov Etlingher (autore di ‘Arukh laner). A 22 anni diventa rav di Oldenburg. A 27 anni scrive Horev (una interpretazione sulle mizvoth) e Igherot zafon, 19 lettere di dialogo con un certo Beniamin. A 39 anni rabbino della Moravia. Passato poi a fare il rabbino in Germania (anche perché possedeva il titolo accademico che aveva avuto all’Università di Bon). Il Barone Rotchield lo chiama a Francoforte per dirigere una scuola, forse perché lasciando la Moravia scrive che bisogna dare ai propri figli l’opportunità ai figli di studiare anche materie laiche all’esterno,perchè altrimenti avrebbero finito per allontanarsi dalla Torà. Questa è la prima traccia di quella che sarà la sua teori di Torà im derekh eretz. Fonda per i genitori la rivista Yeshurun in cui parla di educazione.
Vissuto nel periodo in cui si è sviluppata la Riforma, Hirsch – tra l’altro aveva studiato all’università con il riformista Abraham Geiger suo aspro nemico – si è distinto per avere deciso di organizzare una comunità che fosse conforme alla Halakhà, dividendo così in due la Comunità di Francoforte alla quale era stato chiamato come rabbino.
Il suo commento alla Torà è stato universalmente accettato in tutta la Germania, in quanto lui si proponeva non tanto di individuare ciò che è giusto, ma ciò che è bello nel testo.
Rav Kuk apprezzò molto la teoria e l’opera di Hirsch, ma per lui il titolo doveva essere non Torà im derekh eretz, ma Torà im derekh eretz Israel: lo scopo del popolo ebraico è quello di creare una società giusta secondo gli ideali dei profeti e dei Maestri non nella diaspora, ma liberi in terra d’Israele.