Dopo la discesa della famiglia di Yaakov in Egitto, Yosef prepara una delegazione dei suoi fratelli per un colloquio con il re egiziano. Prima del colloquio, consiglia loro di specificare che sono pastori in modo che il faraone stabilisca la loro residenza separatamente nella regione di Goshen, “poiché tutti i pastori sono abominevoli per gli egiziani“. Questo comportamento solleva principalmente una domanda: Perché Yosef consiglia specificamente ai suoi fratelli di identificarsi con una professione che gli egiziani trovano ripugnante?
Alcuni Chachamim ritengono che Yosef stesse semplicemente cercando di garantire la possibilità per i i suoi fratelli di poter continuare a praticare una professione redditizia. L’Abravanel, ad esempio, sostiene che Yosef avrebbe potuto benissimo nominare i suoi fratelli e far sì che potessere assumere posizioni, autorità e potere nel sistema politico egiziano. Tuttavia, desidera evitare loro tale posizione di leadership in favore di un sostentamento semplice, umile e “sacro”. Secondo Rabbenu Bachya, la pastorizia era una professione intrinsecamente vantaggiosa con chiari benefici fisici e spirituali. Tramite la creazione di una serie di prodotti redditizi (carne, latte e lana) e con uno sforzo fisico relativamente basso, la pastorizia forniva anche l’opportunità di un isolamento periodico dalla civiltà egiziana e dalla sua influenza. Attraverso l’isolamento il pastore poteva trovare il tempo per l’autoesame e la crescita spirituale. Non a caso, commenta Rabbenu Bachya, molte grandi figure della storia ebraica, tra cui Moshe, Shmuel, Shaul e David, furono pastori ad un certo punto della loro vita.
Numerosi altri commentatori, tuttavia, vedono gli sforzi di Yosef sotto una luce totalmente diversa. Yosef, sostengono, istruisce deliberatamente i suoi fratelli a identificarsi con una professione che li allontanerà dalla società egiziana. Costretti a vivere separatamente, i membri della famiglia di Yosef e la loro progenie avranno maggiori possibilità di mantenere la propria identità senza influenze negative dall’esterno. Parafrasando le parole usate dal Netziv: “L’intento di Yosef era di garantire che la sua famiglia vivesse separata dagli egiziani. Sebbene [il piano di Yosef] avrebbe causato la degradazione di suo padre e dei suoi fratelli agli occhi del Faraone, tuttavia, valeva la pena sacrificare l’immagine del padre per garantire la preservazione della sacralità di Israele”. Rzv Shimshon Refael Hirsch aggiunge: “Il disgusto degli egiziani per la loro [dei fratelli] professione… fu il primo mezzo utile per preservare il nascente popolo d’Israele destinato com’era ad un percorso isolato attraverso i secoli… Ecco perché Yosef agì con lo scopo manifesto di ottenere una provincia separata in cui la sua famiglia si sarebbe stabilita”. Yosef, l’ebreo cosmopolita, il paradigma del successo in mezzo ad una cultura aliena, diventa l’architetto del primo ghetto del nostro popolo.
Perché Yosef, viceré di tutto l’Egitto, realizzato oltre misura in un mondo straniero, è così determinato a far sì che i membri della sua famiglia non seguono il suo percorso vincente? Cosa lo motiva a elaborare personalmente un piano per il loro isolamento? Forse è spinto dal riconoscimento del prezzo che ha dovuto pagare per il suo stesso successo. Gli anni trascorsi in Egitto hanno lasciato il segno. Quando incontra i suoi fratelli dopo la loro lunga separazione, la Torà riporta: “Yosef riconobbe i suoi fratelli, ma loro non riconobbero lui”. Yosef non è più riconoscibile come ebreo, nemmeno per la sua famiglia. Mosso da questa consapevolezza e consapevole della devastazione che avrebbe potuto succedere se, generazione dopo generazione di ebrei, avessero dovuto pagare il suo stesso prezzo, Yosef agisce per preservare l’identità della sua famiglia. Si potrebbe anche dire che forse Yosef è motivato dal dolore del suo isolamento personale di fronte alla sua ascesa al potere e cerca di risparmiare alla sua famiglia una delusione e una solitudine simili. Oppure , infine, forse questo ebreo cosmopolita capisce semplicemente che ciò che ha realizzato come individuo non può essere applicato alla sua famiglia nel suo insieme.
I talenti non sono uniformi. L’enorme successo di Yosef poteva essere eguagliato solo dai pochi che sarebbero stati in grado di mantenere l’equilibrio spirituale che lo aveva sostenuto durante la sua turbolenta odissea personale. In un modo o nell’altro, mentre Yosef orchestra la discesa della sua famiglia in Egitto, fa chiaramente tutto il possibile per garantire la loro separazione dagli egiziani. Come accadrà in tutta la storia ebraica, il delicato equilibrio raggiunto durante la vita di Avraham è in primo piano, decenni dopo, nei pensieri e nella pianificazione del suo pronipote. Yosef si rende conto che affinché i membri della sua famiglia mantengano il loro status di “stranieri e cittadini” per generazioni e di fronte a una cultura egiziana schiacciante, dovranno vivere in una specie di ghetto, separati.
I piani di Yosef vengono infine messi alla prova. Mentre il soggiorno in Egitto avrebbe dovuto essere considerato temporaneo dalla famiglia di Yaakov, la Torà testimonia che: “Israele si stabilì nella terra d’Egitto, nella regione di Goshen, e si assicurò un punto d’appoggio permanente e furono fecondi e si moltiplicarono notevolmente”. E, sebbene gli ebrei fossero destinati a rimanere a Goshen, il testo continua: “E i figli d’Israele furono fecondi, si moltiplicarono, aumentarono [in numero] e divennero forti… e la terra ne divenne piena”. Basandosi su una tradizione midrashica, il Netziv commenta: “Riempirono non solo la terra di Goshen che era stata loro assegnata appositamente, ma l’intera terra d’Egitto… Ovunque potessero acquistare una dimora, lì andavano gli Israeliti… Desideravano essere come gli Egiziani”. Da questa descrizione emerge una drammatica costante nella storia del popolo ebraico: Più gli ebrei cercano di essere come chi li circonda assimilando le abitudini della popolazione locale, più incorrono nell’inimicia dei vicini e preparano il terreno per la loro stessa persecuzione. Vengono presto ridotti in schiavitù e respinti a Goshen.
Le sollecitazioni implicite di Yosef vengono ignorate dalle generazioni successive. I suoi sforzi, tuttavia, potrebbero aver salvato il suo popolo dall’oblio. Prima per scelta, poi per forza, gli Israeliti restano una popolazione separata all’interno dell’Egitto. All’interno del “ghetto” di Gosen restano identificabili e, quindi, redimibili quando giunge il momento dell’Esodo.
La Parashà di questa settimana testimonia uno dei momenti più toccanti della Torà, quando Yosef rivela la sua identità ai suoi fratelli. Questo incontro non è fondante solo per le emozioni che suscita, ma è importante soprattutto per il futuro del popolo ebraico. Dopo anni di dolore e separazione, le parole di Yosef risuonano con chiarezza e possiamo sempre attualizzarne lo scopo: “D-o mi ha mandato prima di voi per garantire la vostra sopravvivenza nella terra” (Bereshit 45:7).
Il riconoscimento da parte di Yosef tramite le parole che rivolge ai fratelli che anche i viaggi più difficili hanno uno scopo più alto ci ispira a trovare un significato nelle nostre stesse vite. Parafrasando quanto scritto da Rav Sacks: “Yosef, senza saperlo, è diventato il precursore di uno dei grandi movimenti in psicoterapia nel mondo moderno. Ha mostrato il potere della riformulazione. Non possiamo cambiare il passato. Ma cambiando il modo in cui pensiamo al passato, possiamo cambiare il futuro. Qualunque sia la situazione in cui ci troviamo, riformulandola possiamo cambiare la nostra intera risposta, dandoci la forza di sopravvivere, il coraggio di persistere e la resilienza per emergere, dall’altra parte dell’oscurità, alla luce di un giorno nuovo e migliore”.
Con tutte le dovute differenze, siamo chiamati, come Yosef, a mantenere la nostra identità e a plasmare il nostro futuro. Se non è possibile cambiare il passato, è infatti possibile modellare il nostro futuro e quello delle generazioni a venire con le risorse del presente e con le nostre capacità che ci rendono unici e contemporaneamente uniti nel perseguire la continuità ed il miracolo che costituisce il nostro Popolo. Per perseguire questo obiettivo è necessario partire dal nucleo, rappresentato dalle nostre famiglie, impostando una vista basata e centrata sull’osservare le mitzvot, sulla tzedakà e sugli atti di chesed. In questo modo potremo diventare, noi come Yosef, dei recipienti adatti a ricevere le berachot che quotidianamente D-o ci manda.