“Yosef non riuscì più a trattenersi…e proclamò: Fate uscire ogni persona dal mio cospetto. E nessuno rimase con lui quando si fece riconoscere dai suoi fratelli” (Genesi 45:1). “Ma ora non vi rattristate e non dispiacetevi di avermi venduto perché io fossi condotto quaggiù, poiché il Signore mi ha mandato davanti a voi per conservarvi la vita” (Genesi 45:5).
Il dialogo tra Yehuda e Yosef è la rappresentazione emblematica di quello che i commentatori dicono di alcune parti particolari del testo biblico: in questi versi c’è molto di “nascosto” rispetto a quanto sia invece “rivelato”.
In effetti, quando Yosef si fa riconoscere, si chiude il cerchio di tutti gli avvenimenti accaduti fino ad allora rivelando che tutto fa parte di un disegno superiore.
A dimostrazione della ricomposizione avvenuta tra le tribù d’Israele, c’è la decisione di Yosef di far uscire tutti gli egiziani presenti a corte affinché, come spiega Rash”y (Rabbì Shelomò Ytzkhaqy 1040-1105), nessuno dei suoi fratelli provasse vergogna dinanzi ad estranei.
Dopo quel dialogo la dimensione di pienezza è stata ristabilita così da avviare il processo di redenzione che, passando dalla schiavitù egiziana, culminerà nell’era messianica.
In questo senso, anche il brano profetico che leggeremo questo sabato, aggiunge un elemento al tema della pacificazione tra i figli di Giacobbe narrata dalla Torà.
Il Signore dice al profeta Ezechiele: “prendi un pezzo di legno e scrivici sopra Yehuda e il popolo d’Israele suoi compagni; e poi prendi un altro pezzo di legno e scrivici sopra Giuseppe, legno di Efraim, e tutta la casa d’Israele suoi compagni. Poi accostali l’uno all’altro in modo che, in mano tua, diventino un tutt’uno” (37:16-17).
Se leggiamo con attenzione questi versi, noteremo che la parola “legno/etz” si ripete sette volte al singolare mentre per una volta, l’ottava, è scritta al plurale “legni/etzim”.
Secondo un principio mistico le divisioni, le discussioni tra componenti di una collettività, si verificano perché ogni individuo ha una specificità (etz) che è diversa da quella di un altro. Ma al disopra di queste specificità c’è ne una che le raccoglie tutte in se (etzim) e che ha la forza di unirle in una unità redentrice assoluta.
Nel brano della Torà di questo sabato, Giacobbe scende in Egitto aprendo ufficialmente il periodo della schiavitù egiziana mentre nel brano profetico si allude alla redenzione. E non è una mera coincidenza che il nome del Signore “Ehyhè אהיה” che Mosè dirà al popolo per far capire che il tempo della liberazione era arrivato, e la parola ezt-עץ (legno) abbiano secondo due speciali tecniche della Ghematria, lo stesso valore numerico (161).
E l’unità la si può trovare nella Torà che è un “legno di vita per coloro che la afferrano” (Proverbi 3:18).
Domani sarà un giorno di digiuno, quello del 10 di Tevet in cui commemoriamo l’inizio dell’assedio a Gerusalemme da parte dei babilonesi nel 588 prima dell’era volgare. Dopo la nascita dello stato d’Israele, il rabbinato centrale d’Israele ha proclamato il 10 di Tevet giorno della commemorazione dei deportati vittime del nazismo e della recitazione del Kaddish collettivo per coloro di cui non è noto il giorno della morte. L’inizio dell’assedio di Gerusalemme segna l’inizio delle grandi sofferenze patite dal popolo ebraico. In particolare quest’anno sarebbe bene che coloro che abitualmente non osservano questo digiuno, lo facciano. Perché il digiuno di domani non rappresenta solo il ricordo di un evento del passato, ma anche una azione collettiva, come popolo unito, intento a cercare e invocare l’appoggio e il sostegno di Colui che tutto può, Zom kal e Shabbat Shalom!