“E questa è la discendenza di Giacobbe, Giuseppe, all’età di diciassette anni, pascolava il gregge coi suoi fratelli; era giovinetto e stava con i figli di Bilà e con i figli di Zilpà, mogli di suo padre Giuseppe, e riportava al loro padre la mala fama che circolava sul loro conto (dei fratelli figli di Lea). Israele amava Giuseppe più di tutti gli altri suoi figli, perché era il figlio della sua vecchiaia; e gli fece una lunga tunica. E i suoi fratelli, vedendo che il loro padre l’amava più di tutti gli altri fratelli, l’odiavano, e non gli potevano parlare pacificamente” (Genesi 37:2-4).
Nel brano della Torà di questa settimana, leggiamo dell’odio che i fratelli di Giuseppe provavano nei suoi confronti. Il motivo del loro odio era sia per l’amore speciale per Giuseppe mostrato da Giacobbe – il quale aveva anche regalato al figlio prediletto un indumento speciale (Ketonet Pasim/una tunica colorata) – sia per i racconti negativi che Giuseppe riportava al padre riguardo i fratelli (37: 2).
Nel Talmud (Shabbat 10b), si insegna che un genitore deve assicurarsi di non fare favoritismi verso un figlio rispetto agli altri, osservando che “a causa delle due selaim (monete d’argento) di lana pregiata in più che Giacobbe ha messo nell’abito dato a Giuseppe, gli altri suoi figli lo invidiarono e per questo i nostri padri scesero in Egitto”. Il favoritismo di Giacobbe alimentò dunque l’odio dei fratelli e trasformò quell’indumento speciale nella causa indiretta dell’esilio e della schiavitù in Egitto.
Perché il Talmud sottolinea questo fatto del valore maggiore di “due monete d’argento” nella tunica di Giuseppe e perché questo dettaglio è così rilevante per l’insegnamento che ne consegue, quello di evitare favoritismi?
Alcuni commentatori suggeriscono che il Talmud, con la storia della veste, alluda a un messaggio nascosto. Infatti, in un altro trattato talmudico (Meghillà 18a) è scritto che Rabbì Yehuda del villaggio Ghibborayà – e alcuni dicono che fosse del villaggio Ghibbor Chayil – spiegò: Cosa vuol dire “Per Te il silenzio è lode” (Salmi 65:2)? Significa che il modo migliore per lodare Dio è il silenzio. Quando Rav Dimy venne dalla terra d’Israele in Babilonia disse: In Occidente (così era chiamata la terra d’Israele da chi stava in Babilonia) si usa il detto “milà besela, mashtuka bitren/se una parola vale una moneta d’argento, il silenzio ne vale due”.
Molto spesso rimanere in silenzio è molto più efficace e potente che parlare.
Alla luce del racconto talmudico sembrerebbe che Giacobbe diede a Giuseppe un indumento fatto di due monete d’argento di lana extra come allusione all’importanza del silenzio.
Come ricordato prima, Giuseppe riportava regolarmente a suo padre ciò che percepiva come cattiva condotta dei suoi fratelli e magari le sue intenzioni erano sincere e pure. È anche presumibile che Giuseppe conoscesse le norme comportamentali riguardo la “lashon hara/maldicenza” e che quindi sapesse quali erano le condizioni che devono essere soddisfatte per consentire di parlare negativamente di altre persone, inclusa quella di motivazioni integre e sincere. Giuseppe non voleva neanche causare problemi o guadagnarsi un posto di rilievo agli occhi di Giacobbe – che tra l’altro aveva – ma piuttosto informare il padre in modo che lui potesse esaminare il comportamento dei suoi figli ed eventualmente correggerlo.
Ciononostante, date le circostanze e con le tensioni che si erano create, Giuseppe avrebbe dovuto rimanere in silenzio. Non tutto ciò che si può dire va detto.
Per questo Giacobbe diede a Giuseppe un abito con “due selaim/monete d’argento” di stoffa extra, non per elevarlo al disopra degli altri, ma per correggergli un difetto e insegnarli il grande valore del silenzio che, come insegnato da Rav Dimy, vale “due selaim/monete dargento”, il doppio di una parola pronunciata.
Inutile dire che non si debba mai parlare negativamente delle persone per rabbia, rancore o vendetta. Questo è chiaramente vietato.
Ma la storia di Giuseppe ci insegna che anche quando le nostre intenzioni sono nobili e sincere, la critica può non essere sempre saggia. Molto spesso il silenzio è molto più saggio, molto più efficace e di gran lunga preferibile, come insegna il Talmud.
Anche quando pensiamo di dire qualcosa che abbia valore, dobbiamo comunque considerare la possibilità che il silenzio possa produrre un risultato migliore. Non sottovalutiamo mai il prezioso valore del silenzio e assicuriamoci sempre di riflettere molto attentamente prima di esprimere qualsiasi tipo di critica o negatività, magari sentendoci a posto credendo che la sincerità sia legata solo al dire quello che si pensa, Shabbat Shalom!