Nella parashà che leggeremo questa settimana ci viene narrata la distruzione di Sodoma e Gomorra. Il Signore, dopo aver discusso con Abramo, che cerca di convincerlo a non distruggere le due città in grazia di eventuali giusti, stende su di loro zolfo e sale, come segno di distruzione eterna per la loro malvagità assoluta.
La parte più suggestiva e commovente è l’ultima parte in cui è narrata la “’Akedat Izchak” (la legatura o sacrificio di Isacco): viene chiesto ad Abramo di offrire il suo unico ed amato figlio in sacrificio.
Questa è l’ultima delle dieci prove a cui Abramo viene sottoposto dal Signore, per vedere se realmente è degno di essere considerato il capostipite del Popolo ebraico.
Fanno notare i nostri Maestri, che la prima prova a cui Abramo viene sottoposto è quella di abbandonare tutti i suoi affetti, la sua città e la casa paterna per iniziare un nuovo cammino che lo porterà a liberarsi delle influenze familiari e ad intraprendere un percorso verso quello che diverrà Erez Israel, fino a divenire il personaggio fondatore del monoteismo.
Essa inizia con le parole che danno anche il nome alla parashà, lekh lekhà che significa “vattene per il tuo bene”.
Il brano in cui viene descritta la decima prova a cui viene sottoposto Abramo, quella della ‘Akedat Izchak”, inizia anch’essa con le parole “lekh lekhà”.
Secondo i nostri Maestri, con il primo lekh lekhà, il Signore chiede ad Abramo di rinunciare a tutto ciò che apparteneva al suo passato: la propria patria, il proprio popolo, la casa paterna e gli affetti della sua vita giovanile.
Con il secondo lekh lekhà, viene chiesto ad Abramo di rinunciare al suo futuro, a tutto ciò che egli aveva desiderato e che gli era più caro, dandogli una garanzia per la discendenza: suo figlio Isacco.
Abramo comunque obbedendo ciecamente al Signore, ma con la speranza che potesse cambiare il suo destino, mette in atto la volontà divina e per questo può finalmente essere ritenuto idoneo al suo compito che è quello di capostipite del popolo che in un certo senso prenderà nome da lui ‘am ha ‘ivriim (popolo degli ebrei)
Shabbat shalom