La lettera Beth con cui inizia la Torà – e che ha un valore numerico pari a due – ha suggerito diverse interpretazioni e, in particolare, il fatto che fin dalla creazione la realtà in cui l’uomo si muove può essere compresa solo attraverso la polarità e la contrapposizione di concetti contrastanti tra loro. Molti aspetti dell’ebraismo possono essere spiegati attraverso una dialettica tra due concetti opposti: amore e timore, ordine e spontaneità, individuo e collettività, impulso cattivo e impulso buono, questo mondo e il mondo a venire, provvidenza e caso ecc. L’analisi di questi ultimi due concetti è essenziale per capire quanto narrato nella Torà a proposito del modo in cui avviene la scelta della futura sposa di Isacco.
Nechama Leibowitz* affronta questo problema in uno dei suoi commenti (Bereshit 167 – 169): La Torà narra che Abramo mandò il suo servo Eli’ezer a cercare una moglie per Isacco a Haran, perché desiderava che provenisse dalla sua famiglia (moglie e buoi dei paesi tuoi…). Arrivato al pozzo vicino alla città in cui si trovava la famiglia disse:
«Signore, Dio del mio padrone Abramo, fai accadere per me quest’oggi un incontro per caso
“הקרה נא לפני היום” (Akrè na lefanai hayom) e usa bontà verso il mio padrone Abramo! Ecco, io sto presso la fonte dell’acqua, mentre le figlie degli abitanti della città escono per attingere acqua. Ebbene, la ragazza alla quale dirò: «Abbassa l’anfora e lasciami bere», e che risponderà: «Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere», sarà quella che tu hai destinato al tuo servo Isacco; da questo riconoscerò che tu hai usato bontà verso il mio padrone».
Qual è il senso che dobbiamo dare alle parole “הקרה נא לפני היום” (Akrè na lefanai hayom) “fai accadere per caso oggi davanti a me: El’èzer esprime un desiderio e una preghiera, oppure fa uso di una sorta di divinazione prodotta dal caso e quindi indipendente dalla volontà umana o divina?
Nechamà Leibowitz fa un confronto tra questo episodio e quanto narrato in Samuele (I Samuele cap. 6 vv 7- 9). I Filistei catturano l’Arca santa durante una guerra e la pongono nel tempio di Dagon. Il mattino seguente la statua di Dagon viene trovata con la faccia a terra davanti all’Arca e lo stesso accade anche la mattina successiva, dopo che avevano riposizionato l’idolo al suo posto. Dopo una pestilenza diffusasi in varie città filistee, (dovuta alla presenza di topi), i filistei decisero di rimandare indietro l’Arca Santa secondo quanto è scritto nel citato testo di Samuele:
“Dunque fate un carro nuovo, poi prendete due vacche allattanti sulle quali non sia mai stato posto il giogo e attaccate queste vacche al carro, togliendo loro i vitelli e riconducendoli alla stalla. Quindi prendete l’arca del Signore, collocatela sul carro e ponete gli oggetti d’oro che dovete pagare per riparare in riparazione (l’offesa fatta al Signore dell’Arca) in una cesta appesa di fianco. Poi fatela partire e lasciate che se ne vada. E state a vedere: se salirà a Beth-Shèmesh per la via che porta al suo territorio, essa ci ha provocato tutti questi mali così grandi; altrimenti, sapremo che non ci ha colpiti la sua mano, ma per caso abbiamo avuto questo incidente».
L’Arca salì per la via di Beth shemmesh e fu accolta con gran giubilo dalle persone che stavano trebbiando il grano: quindi la caduta nel Tempio di Dagon era stata causata dal dell’intervento del Dio dell’Arca Santa e non era accaduta per puro caso, anche se i filistei credevano che gli eventi potessero accadere caso.
Secondo quanto scrive Yehezkel Kaufman (Toldot haemunà haisraelit, pp.2 – 93 e 298 – 99), la divinazione (nikhùsh) è una delle caratteristiche del pensiero pagano, secondo il quale la divinità stessa è per sua natura sottomessa a forze esterne, dovute al caso e che sfuggono al potere divino e umano. Chiaramente questo concetto era contrario alla concezione della Bibbia in cui Dio è sovrano e non dipende e non può essere influenzato da forze occulte che sfuggono al suo controllo: allo stesso modo non è possibile nessuna forma di magia che possa imporre il suo dominio occulto sulla Divinità.
L’idea dell’esistenza di forze esterne e che operano in contrasto con le decisioni degli dei è presente anche nelle tragedie greche, dove l’uomo e tutti gli dei sono sottoposti al Tykhe, il fato, che sfugge a ogni controllo e toglie all’uomo la libertà, privandolo quindi della responsabilità delle sue azioni. Il problema è stato affrontato dal pensiero ebraico e in particolare dai Maestri del Talmud e dei secoli successivi e darò qui solo qualche spunto, per capire quanto una giusta comprensione possa incidere sul comportamento dell’uomo.
Provvidenza assoluta e percezione naturale
Dal punto di vista del pensiero ebraico, l’idea che esistano forze occulte che impediscono all’uomo di assumere delle decisioni in maniera autonoma non è accettabile, proprio perché il concetto di responsabilità e l’idea della Teshuvà, la possibilità cioè di pentirsi di un reato fatto, sono alla base di tutta la Torà.
Un primo modo per spiegare il rapporto tra libertà e provvidenza è quello di considerare gli eventi come una diretta conseguenza delle decisioni dell’uomo, ma che analizzate a posteriori possono farci capire che c’era un disegno più alto. Ad esempio, il Midrash (e poi i commentatori) interpretano così la discesa in Egitto e la schiavitù che ne nacque: si trattò di una concatenazione di eventidovuti a decisioni umane. Tutto si era svolto liberamente, ma le decisioni, poste in successione, determinarono la discesa di Giacobbe in Egitto, dove gli ebrei furono sottoposti a schiavitù; peraltro questa era già annunciata ad Abramo nel Patto stipulato con il Signore (Genesi cap. 15).
La posizione più classica, che definiamo Provvidenza assoluta (sostenuta da Nahmanide), è quella secondo la quale ogni azione, anche la più insignificante, è espressione della volontà divina. In effetti il pericolo insito nell’opinione che tutto è dovuto alla provvidenza divina non solo non lascia spazio alla libertà umana, e quindi alla sua responsabilità, ma soprattutto può indurre l’uomo a pensare che se tutto, nel bene e nel male, è già determinato, non vale la pena opporglisi minimamente. Questo è ad esempio il tipo di atteggiamento assunto da alcuni ebrei durante l’ultima pestilenza (Covid 19), per cui se è scritto che dobbiamo infettarci e morire, è inutile assumere qualsiasi cautela!
Accanto a questa posizione ve n’è un’altra che trae origine dall’idea che ogni uomo quando nasce ha una sensazione che le sue azioni sono veramente libere, e che chiameremo Percezione naturale di libertà di azione. Rabbi Yosef Albo (Sefer haikkarim IV, 1) scrive: “Ogni forma di impegno sarebbe inutile e vana … tutte le opere e le arti e ogni forma di artigianato, e ogni studio, sarebbero nulli e quindi sarebbe inutile che l’uomo si avvicini a ciò che giova e fugga da ciò che lo danneggia… questo però è il contrario di ciò che proviene dall’esperienza e il contrario della percezione con cui siamo nati.
Altri grandi maestri hanno dichiarato che le azioni dell’uomo possono avere una influenza sulla realtà e che, anche se da una parte è giusto pensare che c’è una forma di intervento divino nel mondo, non bisogna rinunciare ad operare per cambiare le situazioni. Bisogna sempre ricordare che, anche nel nostro operare, non dobbiamo dimenticare quanto è scritto nella Torà “ Ricorderai il Signore tuo Dio che è colui che ti dà la forza per avere successo” (Deuteronomio 8, 18). Il Maimonide scrive: “Molti uomini della Torà … pongono la Torà e l’intelletto a due estremi opposti … ma noi dobbiamo cercare di unificare la Torà e ciò che intellegibile …. “(Iggheret tehiat hametim, Edizione Shilat pp. 360 – 61); Rav Kuk scrive che questo è il vantaggio della concezione di Maimonide (Shmonà kvazim I, 13).
Questo argomento dovrebbe e potrebbe essere ulteriormente analizzato sia attraverso le opere del Maimonide che di quelle di Yehuà Halevi, l’Or hachaim, Rabbi Yosef Albo (IV, 6) e altri ancora.
Affinché l’uomo possa operare nella realtà, devono coesistere natura, ordine e leggi universali, perché in un mondo in cui non ci sono delle leggi, non ci sarebbe nessuna differenza tra somministrare a una persona una medicina oppure del veleno!
Perché andare a cercare una moglie
I due metodi diversi di affrontare il problema della provvidenza (Nachmanide e Maimonide) devono poi fare i conti e dare risposte a tanti aspetti della realtà (la funzione della preghiera e i suoi effetti, il male, le morti di emigranti che cercano di sfuggire alle guerre ecc.), ma non è questa la sede in cui analizzarli.
Una questione che invece dobbiamo affrontare, proprio nel contesto di questa parashà, è che Eli’ezer viene inviato per trovare una sposa per Isacco, mentre il Talmud afferma: Quaranta giorni prima della creazione del nascituro, una voce celeste afferma: La figlia di questo andrà in posa al tale… (Sotà 2a).
Se la creazione delle coppie viene stabilita dal Cielo, che senso ha avuto la decisione di Abramo di mandare Ei’ezer a cercare una moglie per il figlio Isacco? E il successo della missione è solo dovuto al caso (מקרה) e alla preghiera di Eli’ezer? Che senso ha darsi da fare per trovare il proprio partner?
L’affermazione del Talmud viene contraddetta da molte fonti, dalle quali si deduce che invece è opportuno non affidarsi al caso e cercare una moglie. Maimonide afferma che la formazione della coppia dipende dalle scelte dell’uomo e che solo in determinati casi la decisione può essere favorita dall’Alto, e che, comunque, come vediamo in questa parashà, bisogna sempre chiedere il parere della donna.
Nechama Leibowitz sottolinea infine che la scelta su Rebecca non è accaduta casualmente (Hakrè na) ma è la conseguenza di una serie di decisioni: 1) Abramo manda Eliezer a Haran; 2) Eli’ezer fa una preghiera affinché il Signore faciliti la sua missione; 3) Eli’ezer rinuncia de facto ad essere lui l’erede di Abramo; 4) Eli’ezer sottopone la ragazza a un test attitudinale per poterla presentare ad Abramo, come la moglie adatta per Isacco: il test serviva per verificare se la candidata era altrettanto accogliente e generosa quanto Abramo, e se era quindi degna di entrare a far parte della famiglia per perpetuare gli insegnamenti di Abramo.
Ancora oggi nel mondo molti genitori (ebrei e non ebrei) si preoccupano di aiutare i figli a trovare il giusto partner. Questa parashà ci insegna che, anche se l’azione da fare è molto difficile, non possiamo pensare di poterla condurre a buon fine da soli, non dobbiamo affidarci al caso, e non possiamo esimerci dal fare del nostro meglio per realizzarla.
Un cambiamento di passo in questo campo è molto importante per garantire il futuro delle società europee e di quelle ebraiche in particolare.
Chi è interessato ad approfondire il tema della provvidenza e della “percezione naturale” può leggere l’articolo di rav Shmuel Ariel: https://asif.co.il/wpfb-file/zhr-31-10-pdf/
Nechama Leibowitz. Nata a Riga 1905, morta a Gerusalemme 1997. Famosa soprattutto per avere introdotto nello studio della Torà quello che qualcuno ha definito il metodo talmudico della discussione su ogni particolare del testo. Per molti anni ha pubblicato e diffuso a migliaia di persone i Ghilionot, cioè le dispense settimanali sulla parashà con le domande su un argomento o un dettaglio della parashà. Rispondeva a ogni persona che le inviava le sue risposte e rispondeva a ognuno. Ha poi pubblicato i suoi commenti alle parashoth in cinque volumi. E’ stata docente all’Università di Tel Aviv. E’ stata la maestra di migliaia di insegnati e persone e forse nessuna insegnante ha avuto una influenza talmente vasta quanto la sua tra i giovani proprio per il suo metodo dialettico. Ha ricevuto diversi premi tra i quali il Pras Israel, Pras Katz, Pras Bialik, Pras Shmuel Rottenberg, Pras hasar le’inyanè datot nel 1988.