Oggi volevo dedicare la derashàh, diversamente da quanto facciamo di solito, ad una questione di halakàh estremamente attuale, che diverrà rilevante subito dopo Sukkot. Molte delle regole che riporterò sono riprese dal testo Pisqè Teshuvot, a mio parere una delle migliori integrazioni alla Mishnàh Beruràh per lo studio dello Shulkhan ‘Arukh e dal testo Dinè shevi’it ha-shalem. Tutti voi saprete che l’anno appena trascorso, il 5775, era un anno sabbatico. Molti di voi ricorderanno che in occasione del Seder di Tu Bishvat dello scorso anno si era posta la domanda se prediligere l’acquisto di frutti israeliani o meno, e in merito esistono varie opinioni. Qualcuno avrà notato che l’etichetta sugli etroghim quest’anno è un po’ più affollata del solito.
C’è scritto infatti che l’etrog ha qedushat shevi’it, la santità propria dei frutti dell’anno sabbatico, e pertanto ci dobbiamo regolare di conseguenza. Altri componenti del lulav hanno molti meno problemi, perché non sono commestibili. Quindi chi usa bruciarli la vigilia di Pesach quest’anno non ha alcuna difficoltà. Una prima discussione fra i rishonim riguarda cosa debba avvenire nell’anno sabbatico affinché il cedro acquisisca questa qedushàh. Infatti, come ricordavamo alcuni giorni fa il cedro cresce dove c’è abbondanza d’acqua, e per questo i primi commentatori del Talmud discutono se considerare il cedro come un albero, e seguire il momento della chanatàh durante l’anno sabbatico, vale a dire quando i frutti raggiungono una determinata misura, o come una pianta, per via di questa sua caratteristica particolare, che non è l’unica del cedro, come riportato nella ghemarà in Sukkàh, considerando invece il momento della raccolta. I principali rabbanim moderni e contemporanei, per esempio il Chazon Ish e lo Shevet ha-Levì, sono rigorosi, e considerano entrambe le opzioni.
Quindi è sufficiente che il frutto abbia raggiunto una certa misura o sia stato raccolto nell’anno sabbatico, e questo ci anticipa che potremmo avere un problema per dei frutti che al momento sono molto piccoli, e saranno raccolti l’anno prossimo. La ghemarà in Sukkàh infatti interpretando il termine hadar, dice che il frutto del cedro “dar beilanò mishanàh leshanàh”, rimane da un anno all’altro sull’abero. Al contrario degli altri alberi, dove un frutto, arrivato a maturazione, dopo un determinato lasso di tempo marcisce, nel cedro questo non avviene, e il frutto maturo può rimanere attaccato all’albero per lungo tempo. Inoltre altra caratteristica particolare del cedro è quella di ospitare frutti con differenti gradi di maturazione, quindi non è possibile affermare che esiste una stagione dei cedri, e questo fatto secondo alcuni ha delle conseguenze anche per le regole dell’anno sabbatico.
In generale è proibito lo smercio di frutti dell’anno sabbatico, per questo chi acquista tali frutti compra assieme altri generi che non hanno la qedushat shevi’it, facendo un forfait. I possessori di campi di cedri al giorno d’oggi vendono i loro etroghim tramite l’otzar bet din. Secondo la Toràh l’unico modo per ottenere un cedro durante l’anno sabbatico era quello di andare nel campo e raccoglierlo per sé. Infatti non è possibile mettere in commercio i frutti dell’anno sabbatico. Per questo venne elaborato il dispositivo dell’otzar bet din. Quest’uso è attestato nella Tosefta, secondo la quale gli inviati del Bet Din trattenevano i frutti portati da coloro che volevano entrare in città, dando loro in cambio una quantità determinata di cibo. Inoltre il tribunale nominava degli inviati, perlopiù gli stessi agricoltori, per la raccolta della frutta nei campi, che facessero attenzione a rispettare le regole proprie dell’anno sabbatico durante la raccolta, e distribuiva i frutti ogni venerdì alle famiglie. In questo sistema, quando avviene il pagamento, non si paga il frutto in sé e per sé, ma si risarciscono i lavoratori per la loro opera. Per questo in Israele sono sorte delle discussioni sulla pratica, molto comune negli altri anni, di applicare prezzi differenti in base alla bellezza del cedro, che è un criterio fondamentale per la sua kasherut. Non si devono usare invece etroghim di provenienza incerta, perché secondo molti decisori non sarebbe consentito mangiarne, e una caratteristica dell’etrog di mitzwàh è legata alla possibilità di essere mangiato.
Una domanda importante che è stata posta dai rabbini più recenti riguarda la possibilità di fare uscire tali frutti al di fuori di Eretz Israel, visto che esiste in generale un divieto in merito (Shevi’it 6,5), e il permesso riguarda casi in cui vi è il rischio di importanti perdite economiche, principalmente dovute alla scarsità di richiesta in Israele per quei prodotti. Un motivo per permettere l’uscita dei frutti è quello di permettere di fare la mitzwàh del lulav come si deve, in quanto per i cedri esiste un problema concreto dovuto all’estrema diffusione di cedri frutto di un innesto, secondo molti non adatti per l’esecuzione della mitzwàh. In ogni caso è importante segnalare che nel nostro caso, anche se ammettessimo che i cedri sono usciti da Israele in modo proibito, questo non inficerebbe minimamente la validità della mitzwàh compiuta (Chazon Ish, Igherot Moshèh). Per rispettare la qedushàh degli etroghim questi non si devono buttare, e vanno consumati preferibilmente quanto prima, e comunque entro un momento preciso nel mese di Shevat. Per questo la cosa migliore è preparare con l’etrog dopo la festa una marmellata di cedri. Chi non avesse voglia o non fosse in grado di preparare la marmellata è pregato di non gettare il cedro e restituirlo.