Ancora qualche richiamo per la memoria corta in tema di carne kashèr
Gianfranco Di Segni
Da un po’ di tempo si va ripetendo a ogni piè sospinto che le recenti modifiche in materia di kashrut introdotte da molti rabbini italiani siano un’innovazione, influenzata dall’appiattimento a riti diversi da quello italiano originale. In due recenti lettere (vedi sotto) che ho spedito a Shalom, il mensile della Comunità ebraica di Roma, ho mostrato che le cose non stanno proprio così.
Nella prima lettera riporto che nel ’700 a Roma non si mangiavano i “quarti posteriori” dei quadrupedi, il cui divieto, introdotto dall’attuale rabbino capo di Roma alcuni anni fa, ha suscitato ampie proteste con la tesi che “a Roma si sono sempre mangiati”. Non è vero, almeno fino al ’700 non si mangiavano. La seconda lettera mostra che, se è vero che nell’800 ci fu un certo lassismo nell’osservanza delle norme da parte degli esercizi pubblici della Comunità (una conseguenza forse inevitabile, ma certamente negativa, dell’emancipazione), all’inizio del ’900 si provò a mettere le cose a posto.
Il rabbino Vittorio Castiglioni, rabbino capo di Roma dal 1903 al 1911, cercò di fare proprio questo. Se quindi anche oggi si cerca di fare ordine, ciò è del tutto normale. E’ quello che ci si aspetta che faccia un ufficio rabbinico.
I “quarti posteriori” nel Ghetto di Roma del ’700
Gianfranco Moscati, ex-presidente della Comunità ebraica di Napoli, è il più grande collezionista privato di documenti di Judaica in Italia (e forse nel mondo). In un bellissimo e molto utile libro, Appunti di Vita Ebraica (Napoli 2010), appena pubblicato grazie anche a numerosi sottoscrittori, fra i quali alcuni da Roma, è raccolta buona parte di questi documenti, che vanno dal 1544 al 1938. In 370 pagine di grande formato sono riprodotti bandi ed editti, grida e decreti, e poi ketubboth, lettere e cartoline, fotografie, francobolli (da cui la raccolta ebbe origine) e molto altro ancora.
Fra questi documenti, a pag. 24, si trova una dichiarazione del 1723, redatta da “Giuseppe Campanella, mano propria”, in cui il famoso rabbino e dottore Tranquillo Vita Corcos ottiene la licenza per avere dentro al Ghetto di Roma un macellaio cristiano che venda la carne kasher di “animali tanto piccoli che grossi”. In particolare, si danno le disposizioni sull’utilizzo della carne che “secondo la loro [degli ebrei] legge non possono mangiare, tanto li gropponi, o siano quarti di dietro di detti animali, come anche tutto l’animale intiero se sarà trovato taref”.
È questa una chiara testimonianza del fatto che l’usanza degli ebrei romani di mangiare le parti posteriori degli animali non è così antica come si vuole far credere.
Da “Shalom”, Marzo 2011
Carne kasher a Roma all’inizio del Novecento
Su Shalom di marzo ho riportato una fonte storica riguardo alla carne kasher a Roma nel 1700, sotto il rabbinato di Rav Tranquillo Vita Corcos. Il livello della kashrut sembra fosse buono. Com’era invece la situazione all’inizio del Novecento? Nel dicembre del 1903 si insediò a Roma il nuovo rabbino capo, Rav Vittorio Castiglioni.
Ecco come la stampa ebraica dell’epoca descrive il suo impegno, fra le numerose altre attività, nei confronti della carne kasher: “Lo zelante nuovo Ecc. Rabb. Magg. Prof. Cav. Castiglioni riorganizzò il servizio della Scehità e Bedicà, che lasciava molto a desiderare, provvedendo a che quattro soli esercizi siano abilitati a spacciare carni chescerod sotto la sorveglianza assidua degli incaricati all’uopo. – Benissimo!” (Vessillo Israelitico, vol. LII, p. 29, 1904).
E nel numero successivo: “Graditissimo riuscì a tutti il riordinamento della macellazione e della vendita delle carni conforme al rito, per cui tutti gli esercizi a ciò autorizzati sono ora chiusi nei giorni solenni, e spessissimo vengono controllati dallo stesso Rabbino Maggiore. Iddio benedica ogni opera di sì illuminato Pastore” (Ivi, p. 73).
Un paio d’anni dopo si legge: “Col prossimo mese di Giugno i macellai fr.lli Bondì e Angelo Sonnino apriranno un nuovo spaccio di carne Chesherà il quale spaccio oltre ad offrire le più scrupolose garanzie riguardo al Casherud resterà chiuso il Sabato; ciò che la nostra Comunità ha potuto ottenere mediante un compenso annuo di L. 500 agli esercenti. Questo fatto viene a coronare gli sforzi dell’Ecc.mo Rabb. Magg. Castiglioni, che ha dovuto superare non poche difficoltà, ed energicamente lottare, prima di vedere riordinato uno dei rami più importanti del nostro culto” (Ivi, Vol. LIV, p. 306, 1906; quest’ultimo brano è firmato C. E., e si tratta presumibilmente del Rabb. Cesare Eliseo).
Questa frenetica attività di rav Castiglioni fu forse osteggiata dalla Comunità ebraica di Roma? Niente affatto: “Mercé l’opera assidua, zelante, coscienziosa del nostro amato e venerato Pastore, la Comunità è sulla buona strada di benefiche migliorie [… ] Ai sermoni del Prof. Castiglioni accorre la popolazione in massa; ricchi e poveri, donne e fanciulli cercano di essere solleciti a recarsi agli Oratorii per tema di non trovare più posto” (Ivi, LII, p. 73).
Gli ebrei romani dell’inizio del secolo scorso saranno forse stati ignoranti di cose rituali, ma erano dotati di buon senso e ascoltavano i “santi ammaestramenti da bocca che esprima la parola come il cuore la manda”.
Da “Shalom”, Giugno 2011