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Il libro del rispetto – Sèfer hayirà

15,00

Un classico della letteratura etica ebraica medievale
2005 – Pagine 192

Informazioni aggiuntive

Autore

Rabbènu Yonà da Gerona

Copertina

Brossura morbida plastificata

Formato

130×210 mm

Testo

Testo ebraico e traduzione italiana a fronte

COD: 057 Categorie: , Product ID: 297

Descrizione

In questa edizione, rav Alberto Moshe Somekh propone la traduzione e il commento del Sèfer hayirà – Il libro del rispetto, composto intorno agli insegnamenti etici dell’ebraismo rabbinico medievale. Scritto originariamente da Rabbenu Yonà da Gerona, uno dei più famosi autori di testi mistici, il testo si propone come un sunto accurato di regole – halakhòt, usi – minhaghìm e insegnamenti morali relativi al vivere quotidiano. L’opera, infatti, rappresenta una guida ordinata al comportamento dell’ebreo dal momento del risveglio fino alla notte. In virtù del preciso orientamento verso una condotta corretta e giusta, rappresenta uno dei testi più antichi del filone della letteratura chiamata successivamente mussàr – etica.

Un trattato di etica ebraica quotidiana

Con il commento Reshìt Dà’at a cura di Alberto Moshe Somekh

In appendice: Yessòd Hateshuvà – La Base del Pentimento

Traduzione italiana di Emanuele Weiss Levi

Introduzione storico-culturale di Alberto Moshe Somekh

Presentazione

Alberto Moshe Somekh

“Si deve sempre pregare per la pace di tutto il mondo e condolersi per i mali altrui e non rivolgere suppliche e richieste soltanto per le proprie necessità… Nel momento in cui la Comunità si dedica alla Torà e alle mitzvòt è allora che la sua autorità si incorona, perché proprio quando il pubblico si raduna per mettere in pratica la Sua mitzvà ne viene gloria al Re e non è opportuno separarsi dalla Comunità”.

Con queste parole R. Yonà da Gerona esprime nel suo Commento ai Pirkè Avòt il proprio profondo attaccamento all’idea di Comunità. Ed è nell’ambito della Comunità, del Bet Hakenèsset prima, allorché l’Uomo si rivolge al suo Creatore, e della vita sociale poi, a contatto con il suo prossimo, che trovano naturale articolazione gli insegnamenti di questo libretto, che si soffermano sulla giornata ideale di un Ebreo qualunque, dal momento del suo risveglio mattutino fino a quello in cui si corica la sera.

Il libretto è intitolato Sèfer Hayirà, “Libro del Rispetto”. La yirà (lett. “rispetto, riverenza, timore”) è uno dei sentimenti che muovono l’animo ebraico al Servizio divino, accanto alla ahavà (“amore”). Più esattamente, la yirà è la via alla ahavà correttamente intesa. Scrive a questo proposito un testo coevo al nostro, il Sèfer Hachinnùkh: “avendo conseguito l’abitudine al bene e alla rettitudine tramite la yirà, il popolo imparerà ad esercitare giustizia ed equità per ahavà, una volta che abbia conosciuto la via della verità” (Prec. 491).

L’Autore visse nel secolo XIII, un’epoca di grandi fermenti nella trasmissione della Torà. Benché molto vicino, anche per legami di parentela, con figure fra le più importanti del suo tempo, brillò di luce propria. Spagnolo, ma educato in Francia, che era allora il centro degli studi talmudici (un po’ come oggi ci si reca in Israel o negli Stati Uniti), venne a contatto con tutte le principali manifestazioni del pensiero ebraico e seppe trasfondere nei suoi scritti e nei suoi insegnamenti questa multiforme esperienza, facendosi interprete fedele della Torà di Israel. L’insegnamento fondamentale che egli peraltro ci comunica è che aldilà di qualsiasi corrente o indirizzo culturale possa attrarre la nostra personalità l’Ebraismo si impernia su un solo elemento: la conoscenza e la stretta applicazione della Bibbia attraverso le interpretazioni dei nostri Maestri nella Halakhà e nella Aggadà.

Il testo che qui si propone per la prima volta ai lettori in lingua italiana è un sunto di halakhòt, minhaghìm e insegnamenti morali relativi al vivere quotidiano. Gli scritti di Rabbènu Yonà sarebbero diventati una delle fonti alle quali attingerà R. Yossèf Caro per la redazione del suo commento Bet Yossèf e dello Shulchàn ’Arùkh. Ma bisogna ricordarsi che non sempre la halakhà pessukà (norma stabilita) segue pedissequamente l’opinione di R. Yonà la quale anzi, in molti casi, è più rigorosa rispetto al comportamento che si richiede secondo lo Shulchàn ’Arùkh. Nelle annotazioni abbiamo cercato di sottolineare di volta in volta il confronto fra il nostro testo e lo Shulchàn ’Arùkh o le opere di altri eminenti possekìm (decisori).

Per questo è senz’altro opportuno che questo libretto venga affrontato sotto la guida di un Maestro esperto. Abbiamo in realtà concepito quest’opera con l’idea che possa diventare uno strumento di studio regolare, affinché aiuti ciascuno di noi a ritrovare la via della Torà e rafforzare in questo modo noi stessi e le nostre Comunità.

Rav Dott. Alberto Moshe Somekh

Torino, Tammuz 5764 – Luglio 2004

Il senso etico

Rav Giuseppe Laras

Il Sèfer Hayirà di Rabbènu Yonà ben Avrahàm Gerondi (= da Gerona), che appare qui per la prima volta, a cura di Alberto Moshe Somekh, in traduzione italiana assieme ad un altro breve Trattato, Yessòd Hateshuvà, appartiene al vasto, ricco e articolato settore della letteratura etica, che comprende l’esposizione di quelli che sono o che dovrebbero essere e che quindi dovrebbero di fatto diventare i comportamenti morali dell’ebreo, sia nella vita privata che in quella di relazione.

L’ispirazione fondante di tali opere di mussàr (etica), numerosissime e diversissime fra loro, non è univoca, ma – come osserva opportunamente il curatore – è riconducibile a fonti diverse, raggruppabili, grosso modo, in tre distinti filoni: filosofico, mistico, biblico-rabbinico.

È a quest’ultima fonte che l’autore si ispira, rifacendosi direttamente agli insegnamenti dei testi biblici e rabbinici e traendo da essi riflessioni e conclusioni.

In questo privilegiare le fonti tradizionali dell’Ebraismo come strumento ispiratore dell’etica comportamentale degli individui, c’è indubbiamente una scelta di campo trasparente, che è quella di rifiutare come modelli di ispirazione sia la filosofia (che è quasi sempre, in definitiva, nonostante i vari distinguo che si fanno, la filosofia aristotelica) che altre forme speculative, intellettuali o meno.

L’espressione yirà, che dà titolo all’opera, è un’espressione importante e di uso frequente nella letteratura biblica e post-biblica. Essa significa propriamente timore, rispetto, riverenza, e così via e, come tale, si riferisce al timore di Dio, a quel sentimento, cioè, di amore-timore-stupore da cui la creatura si sente cogliere nel momento in cui essa si pone, consapevole della propria fragilità, al cospetto di Dio.

Ma ascoltiamo la riflessione che lo stesso Rabbènu Yonà sviluppa intorno al significato del termine yirà nel contesto del suo commento al Trattato di Avòt (3, 22): “Rabbi El’azàr ben ’Azaryà diceva: … se non c’è sapienza (chokhmà) non c’è timore (yirà), se non c’è timore non c’è sapienza…”.

Commento: “Se non c’è sapienza non c’è timore: senza sapienza non si può possedere un timore completo, dato che è essa (la sapienza) che lo irrobustisce, illuminandolo sulla scelta da fare. Se non c’è timore non c’è sapienza: si deve far precedere il timore alla sapienza, perché altrimenti si finirà per non comportarsi secondo sapienza, ma, al contrario, la si disprezzerà e la si abbandonerà. Una persona, infatti, che non possieda, prima di tutto, un comportamento etico eccellente (tikkùn middòt) e non teme il Signore, non potrà certo acquisire sapienza, essendo privo di cuore (Prov. 17, 16)”.

Nativo di Gerona in Catalogna e parente di Nachmanide, prese parte attiva alla violenta polemica anti-maimonidea scoppiata negli anni 1230-1233 nel sud della Francia e avente come obiettivo il Morè Nevuchìm. La Guida era vista in quel contesto ambientale e temporale (e, in verità, non solo in quello, prima e dopo) come un possibile veicolo di idee eterodosse, stante la sua dipendenza, non solo dal punto di vista metodologico, dal pensiero aristotelico e quindi, per così dire, come una potenziale “bomba a orologeria” ai danni della fede.

Ma da tale sua posizione anti-maimonidea – stando alla testimonianza di un suo allievo, Hillèl da Verona – Rabbènu Yonà si ritrasse ben presto, avendo constatato coi suoi occhi la conseguenze devastanti (abbruciamento delle opere filosofiche di Maimonide e del Talmùd) che ne erano derivate all’interno del mondo ebraico e dell’ambiente provenzale, in particolare.

Pentitosi dell’aver preso parte a tale polemica, maturò il desiderio di recarsi a Tiberiade per prostrarsi sulla tomba di Maimonide, recitando, alla presenza di un miniàn, il viddùy (= confessione dei peccati). Desiderio che non gli riuscì di realizzare, perché proprio nel mentre stava iniziando il suo viaggio verso la Terra Santa, fu “trattenuto” dagli ebrei di Toledo nella loro Comunità, dove insegnò Torà fino alla morte, sopraggiunta nell’autunno del 1263.

Il pensiero etico-religioso di questo autore, come traspare bene dal Sèfer Hayirà e anche dal Yessod Hateshuvà, appare manifestamente influenzato dal Chassidismo tedesco i cui contenuti teorico-pratici sono depositati nel Sèfer Harokèach di Rabbì El’azar da Worms (1160-1237) e, soprattutto, nel più celebre Sèfer Chassidìm di Rabbì Yehudà Hechassìd (1150-1217).

Al centro e al vertice del mondo del Chassidismo domina la figura del chassìd (pio, devoto, fedele), figura che travalica e supera l’orizzonte intellettuale e culturale del chakhàm.

Il chassìd (e questo motivo sarà ripreso e ulteriormente sviluppato dal Chassidismo polacco settecentesco del Ba’al Shem Tov) può essere, e spesso lo è (o, solo, appare tale), un ignorante che magari conosce a memoria solo i Salmi e alcuni pochi altri passi della Bibbia, ma che, così facendo, consente agli ebrei della sua Comunità di sopravvivere alle persecuzioni.

I Maestri affermano (TB, Avodà Zarà 20b) che “la Chassidùt conduce all’umiltà e quindi al timore del peccato”: livello etico-religioso molto elevato che tende a identificarsi nell’amore di Dio disinteressato, senza condizioni o attese di premio. Tale stato è l’anticamera della profezia, condizione che fa fuoriuscire colui che ne è investito dal senso di corporeità e di precarietà, introducendolo in un clima di pura spiritualità.

Giuseppe Laras

Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Milano

Iyàr 5764 – Maggio 2004