Lia Toaff and Yael Calò, eds. Italians of the Jewish Race: The Anti-Semitic Laws of 1938 and the Jews of Rome (Rome: Museo ebraico di Roma, 2018), 4-5
A distanza di tanti anni dalle leggi razziali, quest’anno a cifra tonda, ottanta, potrebbe sembrare ridondante e inutile un’ulteriore ricerca su eventi che sono stati oggetto di approfondite ricerche e rappresentazioni. In realtà questo è un tema che non smette mai di interessare e interrogare per la combinazione di elementi che lo caratterizza. Non è solo un’isolata vicenda storica, ma qualcosa di più grande e complesso: è stata l’anticamera e la preparazione della persecuzione sanguinosa che ha fatto poco dopo migliaia di vittime; è stata la crisi dei fondamenti egalitari dello stato italiano nato con lo statuto albertino; ha posto i sudditi di religione ebraica e allora considerati appartenenti a una razza diversa, inferiore e pericolosa, davanti ad una micidiale crisi di identità, oltre che a problemi elementari di sopravvivenza.
La riflessione sulla portata di questi eventi, tra gli orrori del fascismo, è stata una dei motori che hanno portato alla fondazione di una nuova società italiana, nella quale è cambiata anche la forma di sovranità, da monarchia a repubblica e in questo cambio, l’ombra del tradimento del re verso una parte di suoi sudditi fedeli ha contribuito non poco a discreditarne l’immagine. La persecuzione razziale con le sue minuziose leggi separava e isolava vergognosamente i sudditi/cittadini ebrei dalla compagine nazionale, ma non faceva al momento morti (a parte isolati casi di suicidi disperati): per questo rischia sempre di passare in secondo piano rispetto agli orrori successivi.
Riproporre invece all’attenzione con una serie di esempi eloquenti – lo scopo di questa mostra – le storie di quelle leggi e le devastazioni che hanno provocato nelle vite, negli studi, nelle carriere, nelle difficoltà economiche quotidiane, nel sentimento di tradimento e di onta subita, è un imperativo morale per capire i possibili cedimenti di ogni società, anche quelle che si vantano o presumono di essere le più avanzate, in ogni momento, compreso l’oggi. E per il pubblico ebraico italiano, che da quel triste settennio uscì dimezzato, e ancora ottanta anni dopo non se ne è ripreso, è una continua sollecitazione a riflettere sulla propria storia, sulla propria condizione, sulla vanità delle illusioni e sulla priorità dei suoi progetti di vita.
Riccardo Di Segni Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma
