TRATTATO PESACHIM – CAPITOLO 1
Mishnà 1 Al crepuscolo[1] del quattordici (Nisan) si effettua la ricerca del Chamètz[2] a lume di candela[3]. Qualsiasi luogo nel quale non si introduce (solitamente) Chamètz non richiede controllo. E perché (i Maestri) hanno detto (di controllare) due file (di botti) nella cantina? (Perché) è un luogo nel quale si introduce Chamètz[4]. La scuola di Shammai dice: due file lungo tutta la cantina[5]; la scuola di Hillel invece dice: le due file esterne che sono le superiori[6].
Mishnà 2 Non si sospetta che una donnola[7] possa aver trascinato (del Chamètz) da una casa all’altra e neppure da un luogo all’altro (della stessa casa)[8], perché se così (sospettassimo), da un cortile all’altro e da una città all’altra la cosa non avrebbe fine[9].
Mishnà 3 Rabbì Yehudà dice: si controlla al crepuscolo del quattordici e il quattordici al mattino, nonchè al momento dell’eliminazione[10], mentre i Chakhamim (Saggi) dicono: (se) non ha controllato al crepuscolo del quattordici, controlli durante il quattordici; (se) non ha controllato durante il quattordici controlli nel corso del mo’ed; (se) non ha controllato nel corso del mo’ed controlli dopo il mo’ed[11]. E ciò che lascia[12] lo riponga in un luogo appartato, per non doverlo controllare nuovamente[13].
Mishnà 4 Rabbì Meir dice: si mangia (Chamètz) per tutta la quinta ora[14] e lo si brucia all’inizio della sesta[15]. Rabbì Yehudà invece dice: lo si mangia per tutta la quarta ora[16], lo si tiene in sospeso[17] per tutta la quinta e lo si brucia all’inizio della sesta.
Mishnà 5 Ha detto ancora Rabbì Yehudà: due challot (delle offerte) di ringraziamento non più atte all’uso[18] erano collocate sul tetto del portico[19]. Finchè erano collocate, tutto il popolo mangiava (Chamètz). (Allorchè) ne veniva ritirata una[20], si teneva (il Chamètz) in sospeso, (cioè) non lo si mangiava nè lo si bruciava. Allorchè venivano ritirate entrambe, tutto il popolo cominciava a bruciare (il Chamètz). Rabban Gamliel dice: (il Chamètz) non consacrato[21] si può mangiare fino a tutta la quarta ora, mentre la Terumà per tutta la quinta, e si bruciano all’inizio della sesta…
CAPITOLO 2
Mishnà 1 Per tutta l’ora in cui è permesso mangiare[22], dà da mangiare (Chamètz) agli animali domestici, a quelli selvatici e ai volatili[23], lo vende al non ebreo[24] e gli è permesso trarne vantaggio[25]. Trascorso tale tempo, è proibito trarne vantaggio[26], e non può neppure accendere con esso il forno e i fornelli[27]. Rabbì Yehudà dice: non vi è eliminazione dei Chamètz altro che bruciandolo, mentre i Chakhamim dicono: può anche sbriciolarlo e spargerlo al vento, oppure gettarlo a mare[28].
Mishnà 2 Del Chamètz appartenente ad un non ebreo che abbia trascorso Pesach è permesso trarre vantaggio[29]. Se invece apparteneva ad un ebreo è proibito trarne vantaggio, perché è detto: “E non si vedrà presso di te del lievito” (Esodo 13,7)[30].
Mishnà 3 Se un non ebreo ha effettuato un prestito ad un ebreo prendendo in pegno il suo Chamètz[31], dopo Pesach è permesso trarne vantaggio[32]. Mentre se un ebreo ha effettuato un prestito ad un non ebreo prendendo in pegno il suo Chamètz, dopo Pesach è proibito trarne vantaggio[33].
[1] Letteralmente “alla luce del…” Si tratterebbe di un eufemismo per evitare di cominciare il trattato con un’espressione che connota tenebre. Va anche tenuto presente che secondo il calendario ebraico la giornata comincia la sera: si pensi al doppio significato che ha in italiano il termine “albori”! La maggioranza dei decisori ritiene che per procedere alla bediqà si debbano attendere le tre stelle.
[2] Secondo la Torà è sufficiente annullare il Chamètz in proprio possesso mentalmente (cioè: pronunciando la formula di annullamento – bittul), ma i Chakhamim hanno imposto anche la verifica (bediqà) e l’eliminazione fisica (bi’ur) per evitare che durante Pesach ci si imbatta nel Chamètz e lo si mangi senza farci attenzione, dal momento che così siamo abituati a fare nel corso dell’anno (Rambam, Hil. Chamètz uMatzà 2,2),ovvero per il fatto che non tutti esercitano la stessa prontezza mentale e c’è il rischio che in questo modo non ci si rinunci mentalmente del tutto (Ran)..Secondo altri, invece, il versetto stesso prescrive che il chamètz sia eliminato fisicamente (Tosafot a Pes. 4b).
[3] L’associazione fra la verifica e il lume si evince da Proverbi 20,27. Anche se il divieto del Chamètz entra in vigore solo nella tarda mattinata del 14, la Bediqà è prescritta già per la sera precedente, per due ragioni: la sera la maggior parte delle persone si trova a casa propria e ha il tempo di dedicarsi alla ricerca; il lume di candela si presta ad essere usato allorchè tutt’intorno è buio. Il lume dev’essere semplice e non una torcia intrecciata, per quattro ragioni che il Talmud elenca: il lume semplice può essere introdotto anche in luoghi molto stretti; il lume tende a proiettare la sua luce in avanti, mentre la torcia all’indietro; la torcia è più pericolosa e tale preoccupazione può distogliere l’attenzione dal controllo; la fiamma del lume è più stabile di quella della torcia, che potrebbe “mascherare” alla vista eventuali briciole di Chamètz.
[4] Capita durante l’anno che per prendere del vino necessario durante il pasto si entri in cantina con del Chamètz in mano. E’ parimenti soggetto all’obbligo di Bediqà qualsiasi luogo nel quale vi sia dubbio che possa esservi entrato Chamètz.
[5] Secondo R. Yochanan si deve intendere il primo strato di botti in orizzontale e il primo in verticale lungo tutto il vano della cantina; secondo Rav Yehudà i primi due strati in verticale (Talmud).
[6] Le prime due file di botti presso l’entrata in senso verticale (secondo Rav) o orizzontale (secondo Shemuel – Talmud).
[7] O altro animale.
[8] Da un luogo non ancora controllato ad un altro già controllato, tanto che lo si debba ricontrollare.
[9] In quanto non tutti effettuano la Bediqà nello stesso momento.
[10] Secondo quest’opinione una volta trascorsi i tre tempi indicati per la Bediqah questa non è ulteriormente rinviabile, per il timore che si possa mangiare per errore o abitudine il Chamètz eventualmente trovato allorchè ciò è ormai proibito.
[11] Perché il Chamètz che ha trascorso Pesach in proprietà di un ebreo resta proibito anche una volta trascorsa la festa (cfr. 2,5): in quest’ultimo caso, tuttavia, non si recita la Berakhà prima di procedere alla Bediqà (O.Ch. 435,1). I Chakhamim non condividono il timore di Rabbì Yehudà in quanto il proposito stesso della Bediqà è proprio bruciare il Chamètz per evitare di mangiarlo (Tosafot). Secondo un’altra spiegazione mo’ed non indica qui la festa, bensì il termine previsto per l’eliminazione, cioè la sesta ora della vigilia e per “dopo il mo’ed” si intende tutta la Vigilia stessa fino all’entrata della festa; secondo questa opinione, anche i Chakhamim concordano che durante Pesach non si debba eseguire alcuna ricerca per il timore che si possa mangiare il Chametz trovato allorchè ciò è punito con karèt.(Rashì). La Halakhah segue la prima interpretazione.
[12] La sera del 14 dopo la Bediqà per l’uso dell’indomani mattina.
[13] Qualora ne dovesse mancare.
[14] Nella Mishnà si parla di ore temporali: il tempo dall’alba all’uscita delle stelle viene diviso in dodici parti e ognuna di queste parti è chiamata sha’à zemanit, cioè ora temporale. D’estate le ore temporali sono più lunghe e d’inverno più corte. Pesach cade in primavera, allorchè le sha’ot zemaniyot sono all’incirca coincidenti con le ore del nostro orologio. Collocando l’alba intorno alle sei del mattino, la “quinta ora” termina pertanto verso le undici (del nostro orologio invernale).
[15] Secondo la Torà il divieto del Chamètz entra in vigore a mezzogiorno (nel linguaggio della Mishnà al termine della sesta ora) del 14, mezz’ora prima dell’offerta del Qorban Pesach (Sacrificio pasquale) che poteva aver luogo nel Bet ha-Miqdàsh solo una volta eliminato il Chamètz (Esodo 12,6; 34,25 e Rashì ad loc.). In antico l’ora poteva essere calcolata solo attraverso le meridiane e i Maestri temevano che si potessero commettere degli errori sul divieto del Chamètz fino ad infrangere il limite di tempo stabilito dalla Torà. Da qui il seyag (siepe, misura cautelativa) di anticipare di un’ora il divieto stesso. Non tuttavia più di un’ora, secondo Rabbì Meir: non si arriva comunque al punto di scambiare la luminosità della settima ora, in cui il sole è allo zenith, con la quinta!
[16] R. Yehudà teme che, particolarmente in una giornata nuvolosa, possa anche accadere di confondere la settima ora con la quinta, e pertanto richiede che il divieto di mangiare il Chamètz sia anticipato addirittura di due ore.
[17] Cioè: non lo si mangia, ma neppure lo si elimina ancora: può essere venduto a non ebrei, oppure dato in pasto agli animali. E’ la hanaà del Chamètz, che la Torà pure proibisce insieme alla achilà trascorsa la sesta ora; ma per la prima Rabbì Yehudà ritiene di anticipare il divieto di un’ora soltanto anzichè due.
[18] Insieme al “sacrificio di ringraziamento” per scampato pericolo (qorban todà) venivano offerti 40 pani, di cui 10 Chamètz. L’offerente doveva mangiare la carne sacrificale e 36 pani entro la mezzanotte successiva al giorno dell’offerta e per smaltire il tutto invitava parenti ed amici, mentre i 4 pani rimanenti spettavano al Kohèn. Trascorso quel termine i pani eventualmente avanzati (notar) non erano più atti all’uso (pesulim) e non potevano più essere consumati. L’offerta del qorban todà era sospesa durante Pesach già a partire dalla vigilia, per non trovarsi a dover consumare grandi quantità di Chamètz entro un tempo molto ridotto, con il rischio di renderlo notar. Si tratta in questo caso perciò di pani avanzati dalle offerte del 13 che, avendo trascorso la notte, si sono rese non più atte ad essere consumate e perciò si prestavano all’uso qui descritto: altrimenti sarebbe stato proibito prendere dei pani kesherim per renderli pesulim di proposito.
[19] Che circondava il har ha-bayit (Monte del Tempio).
[20] Da parte dell’incaricato del Sinedrio, come segnale.
[21] Al Bet ha-Miqdash, e quindi comune. Qui si contrappone a Terumà, offerte destinate ai Kohanim. Rabban Gamliel condivideva l’opinione restrittiva di R. Yehudà (1,4) per quanto riguarda il Chamètz di uso “profano”, ma non per la Terumà, in quanto è proibito deliberare di astenersi dalle offerte consacrate di proposito fintanto che sono ancora kesherot per essere mangiate.
[22] Si intende: la Terumà di Chamètz, cioè la quinta ora. Questa prima parte della Mishnà è redatta secondo l’opinione di R. Gamliel in 1,5. Sarebbe infatti superfluo insegnare che finchè dura il permesso di mangiare qualsiasi Chamètz è pure permesso trarne vantaggio! Peraltro, la Halakhà viene codificata secondo l’altra opinione di R. Yehudà.
[23] Tutte tre le categorie vengono specificate, perché hanno caratteristiche differenti e non si può dedurre la regola di una dall’altra. Gli animali selvatici, a differenza di quelli domestici, hanno infatti l’abitudine di imboscare il cibo che viene loro dato: se da un lato avremmo potuto pensare di proibire di dare Chamètz ai selvatici per non incorrere nel divieto “di mantenerlo”, d’altronde anche i domestici possono lasciare in luogo visibile il Chamètz da essi eventualmente avanzato e si rischia così di incorrere nel divieto “di vederlo”. Per segnalare che ciononostante è permesso dare Chamètz alle due categorie, occorre specificarle entrambe: e una volta avvenuto questo, aggiunge anche “volatili”.
[24] Anche se questi lo mantiene per sè durante Pesach, contrariamente alla scuola di Shammai che si oppone a tale vendita sostenendo che l’obbligo consiste nell’eliminare fisicamente tutto il Chamètz prima che divenga proibito.
[25] L’affermazione, se presa alla lettera, è superflua. Si intende perciò: delle sue ceneri, anche dopo l’entrata in vigore del divieto del Chamètz, dato che non sono più Chamètz, purchè l’abbia bruciato prima dei termini fino ad avergli fatto cambiare sapore ed aspetto (Rashì).
[26] Per tutta la sesta ora, fino all’inizio della settima, il divieto è solo di istituzione rabbinica. Ma già allora, se ha utilizzato il Chamètz per compiere un qinyan qiddushin (acquisizione matrimoniale), l’atto non è ritenuto valido.
[27] Anche secondo l’opinione di R. Yehudà, che considera bruciare il Chamètz come unica forma valida di eliminazione, se questa coincide con un utilizzo del Chamètz medesimo, non se ne può trarre vantaggio una volta scaduto il tempo.
[28] Secondo Rabbà l’obbligo di sbriciolarlo è condizione preliminare sia di “spargerlo al vento”, sia di “gettarlo a mare”; secondo Rav Yosef solo di “spargerlo al vento”, mentre per gettarlo a mare non vi è obbligo di sbriciolarlo, a meno che non si tratti del Mar Morto, ove entrambi concordano che non è necessario sbriciolarlo (Talmud). R. Yehudà e i Chakhamim discutono se l’eliminazione del Chamètz sia assimilabile a quella del notar, cioè della carne di un sacrificio che non è stata mangiata entro il tempo stabilito e che la Torà prescrive espressamente di bruciare (Esodo 29,34). R, Yehudà ritiene di sì e perciò sostiene qui l’opinione più rigorosa. La Halakhà segue l’opinione dei Chakhamim, per cui è sufficiente spargere il Chamètz al vento (Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim 445,1 e Remà ad loc.), ma il minhag è bruciare il Chamètz, dal momento che vi sono decisori secondo cui si deve seguire l’opinione di R. Yehudah (Mishnah Berurah ad loc., n.6). Sebbene spargendo il Chamètz al vento è possibile che ne derivi pur sempre del vantaggio per qualcuno, il gesto deve avvenire in realtà prima che il Chamètz divenga proibito, perché è mitzwah eliminare il Chamètz fintanto che ci appartiene (Meirì a Avodah Zarah 3,3).
[29] Naturalmente, è proibito anche mangiarlo, ma non lo scrive esplicitamente, per due possibili ragioni: a) per analogia con la seconda parte, dove scrive a proposito del Chamètz dell’ebreo che è proibito (anche) trarne vantaggio; b) per riguardo di coloro che usano il rigore di non mangiare tutto l’anno il pane prodotto da non ebrei, nel qual caso non conviene scrivere che è permesso mangiarlo.
[30] Il divieto di adoperare dopo Pesach il Chamètz che ha trascorso la festa in proprietà di un ebreo non è tuttavia di origine biblica. Si tratta invece di un qenas (sanzione) imposta dai Chakhamim dal momento che la persona ha tragredito il divieto “di vederlo e mantenerlo”.
[31] Depositato come pegno in casa del non ebreo prima di Pesach, con l’intesa esplicita che se l’ebreo non restituisce il debito entro il termine pattuito, il Chamètz diviene proprietà del non ebreo fin dal momento del prestito.
[32] Perché se non restituisce il debito una volta trascorso il termine si considera il pegno come divenuto retroattivamente proprietà del non ebreo fin da prima di Pesach e avendo come tale trascorso la festa diviene permesso al termine di essa. Secondo alcuni (Rambam) si tratta del caso in cui il termine di pagamento del debito era fissato per prima di Pesach. Secondo altri (Raavad) anche se esso era fissato per dopo Pessach.
[33] Il prestito e il pignoramento si considera avvenuto con le stesse modalità del caso precedente, ma i personaggi sono invertiti. Qui è il non ebreo che non restituisce il debito, per cui il suo Chamètz diviene proprietà dell’ebreo fin da prima di Pesach e rimane pertanto proibito anche al termine della festa.