“Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: ‘Così benedirete i figli d’Israele’; di’ loro: ‘Ti benedica l’Eterno e ti protegga; Faccia risplendere l’Eterno il Suo volto su di te e ti conceda grazia; Ti mostri l’Eterno favore e ti conceda la pace; E metteranno il mio nome sui figli d’Israele ma Io li benedirò’” (Numeri 6:22-27). C’è la cattiva consuetudine, da sempre esistente ma ai nostri tempi amplificata dagli strumenti tecnologici di ultima generazione, di definire come va la propria vita confrontandola con quella degli altri. Si guarda alle case, alle carriere, alle vacanze, ai figli altrui e così via per tante altre cose, e poi le si raffrontano alle proprie. Questo è un modo molto malsano di vivere perché crea molta ansia e rende quasi impossibile provare appagamento e contentezza nella vita. Le persone che vivono in questo modo, sono spesso amareggiate e risentite quando vedono il successo e la riuscita degli altri, perché quel successo e quelle “benedizioni”, sono intesi come indicatori della propria cattiva sorte o, peggio, del proprio fallimento.
Per ottenere una prospettiva per ragionare su questo problema, nel brano della Torah che leggeremo domani, ci viene presentato un dovere esclusivo della casta sacerdotale, quello di benedire quotidianamente il popolo d’Israele con la formula della Birkhat Kohanim, la benedizione dei Sacerdoti. Infatti, ogni giorno recitiamo questa benedizione nella preghiera del mattino (Shachrit), di Shabbat anche in quella aggiuntiva (Musaf) e di Kippur anche nella preghiera di chiusura (Ne‘ilah).
Se leggiamo con attenzione il verso che introduce la triplice benedizione, “Così benedirete i figli d’Israele”, che a prima vista può apparire ridondante, ci accorgiamo dell’importanza di queste parole.
Nel Salmo 121 (v. 5) è scritto: “L’Eterno è la tua ombra alla tua destra”. Il Salmista, con queste parole, vuole dirci che il Signore è la nostra “ombra” perché agisce nei nello stesso modo in cui agiamo noi. Se siamo gentili e generosi con le persone, allora Lui è gentile e generoso con noi, se gioiamo dei successi degli altri e desideriamo sinceramente di vederli benedetti, allora il Signore ci guarda allo stesso modo.
Questo è il comportamento di un vero Chasid, della persona devota, molto più facile a dirsi che a farsi. È difficile sentire parlare della benedizione di qualcuno, che noi non abbiamo, e sentirci sinceramente felici per lui. È difficile per una persona con figli più grandi non sposati, gioire pienamente quando la figlia del suo amico si fidanza. È difficile per coloro che lottano per pagare le bollette, rallegrarsi per i vicini che stanno ristrutturando la casa.
Questo è il motivo per cui a Mosè fu detto di dire ai Sacerdoti “Koh tevarekhù/Così benedirete”, con queste parole ricorderemo il principio “l’Eterno è la tua ombra”, forse riusciremo a scardinare questa consuetudine negativa e se desidereremo il successo degli altri, allora il Signore desidererà anche il nostro successo. Se vogliamo il meglio per le persone che ci circondano, allora il Signore vorrà il meglio per noi. Il modo in cui guardiamo gli altri determina il modo in cui il Signore guarda noi.
A Mosè fu quindi comandato di rivolgersi ai Sacerdoti e di dire loro che la prima e più importante benedizione che possono dare ai figli d’Israele è il messaggio di “Koh tevarekhù/Così benedirete”. Senza questa premessa, non saremo in grado di godere di alcuna benedizione che riceviamo. Nessuna benedizione nella nostra vita ci renderà mai felici se ci confrontiamo costantemente con quelle degli altri, perché ci saranno sempre persone che avranno più di quello che abbiamo noi.
L’espressione “Koh tevarekhù/Così benedirete” diviene dunque un messaggio augurale, l’auspicio della buona sorte altrui affinché il Signore desideri la nostra buona sorte. Solo allora saremo in grado di riconoscere le numerose benedizioni che Il Signore ci concede.
Un’ultima questione: perché questo insegnamento viene trasmesso attraverso i sacerdoti discendenti di Aronne?
Perché Aronne era la persona che incarnava questo principio.
“…Non c’è forse Aronne tuo fratello, il Levita? Io so che parla bene. Ecco, egli esce a incontrarti; come ti vedrà, si rallegrerà in cuor suo” (Esodo 4:14).
La Torah racconta che Aronne si rallegrò quando suo fratello minore, Mosè, fu nominato guida dei figli d’Israele. Non provò né gelosia né risentimento ma solo gioia.
Questo è il modello a cui dovremmo aspirare, poiché questa qualità è ciò che ci consente di percepire e quindi godere a pieno delle benedizioni della vita.
Cerchiamo allora di superare i nostri naturali sentimenti di invidia e di competizione, per gioire veramente della buona sorte degli altri. Ci sentiremo molto più felici della nostra vita e daremo soddisfazione al Signore per aver saputo apprezzare delle benedizioni che ci ha elargito. Chissà se la coincidenza di questa lettura con la vigilia di una tornata elettorale comunitaria molto sentita, non sia da considerare solo un mera casualità, Shabbat Shalom!