“Mikkez en kez – la parashà di Mikkez non ha fine! ” è così che sostenevano ebrei di alcune comunità italiane; sia perché è particolarmente lunga, sia perché prende i sentimenti del lettore in modo particolare.
È una parashà piena di sentimento e passione, in cui viene narrata la sofferenza di Giuseppe che, pur nominato viceré d’Egitto, non trova pace, perché lontano dalla famiglia e dalla sua terra.
Non da meno è il dramma di Giacobbe che soffre per la perdita di Giuseppe fatto credere morto; e in seguito per la perdita di Simeone e di Beniamino, prelevati da Giuseppe, ancora sconosciuto ai fratelli, per farli soffrire almeno un pò a causa di ciò che gli avevano procurato.
La sofferenza di Giuseppe in Egitto è particolare; in quanto vivere lontano da quelle che erano le abitudini della sua Terra e della famiglia, lo portavano a doversi per forza emarginare dalla società egizia.
Giuseppe, nonostante il marasma del paganesimo egiziano, non perde nemmeno la più piccola parte delle sue tradizioni abramitiche e, a repentaglio della sua incolumità, non teme di rivelarne la sua appartenenza.
Proprio come i Maccabei della storia di Chanuccà che, mettono a repentaglio la propria vita per mantenere una identità ebraica, in mezzo al marasma della cultura pagana dei seleucidi.
Mesirut nefesh – direbbero i chasidim! Offrire la propria persona per il bene e per la salvezza della Torà e delle mizvot.
Come Giuseppe e i suoi fratelli, così Giuda e i suoi fratelli Maccabei, non temono il pericolo di chi è più forte militarmente, perché l’osservanza della propria tradizione è più forte di mille eserciti insieme.
Shabbat shalom e chag chanuccà sameach