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Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz. e note di Ralph Anzarouth
Commento di Rav Di Porto
L’integrità[1] è la virtù di chi è del tutto immune da qualsiasi vizio morale e da qualsiasi peccato[2]. E questo, non solo riguardo ai peccati noti ed evidenti, ma anche riguardo a quelli che il cuore è tentato di giudicare leciti; perché se si osserva sinceramente, si scopre che ci si concede una attitudine permissiva solo perché il cuore, ancora parzialmente affetto dalla tentazione da cui non è ancora del tutto guarito, ha condotto a adottarla.
Ma chi è del tutto guarito da questa piaga e si è pure ripulito da tutte le scorie negative lasciate dalla tentazione ha una visione chiarissima: la sua comprensione è pura e il desiderio non lo distoglie minimamente. Anzi, riconosce la malvagità di ogni suo peccato, fosse anche la più leggera delle trasgressioni minori e se ne allontana.
E riguardo agli integri che purificano le loro azioni a un livello così elevato da non lasciarvi nemmeno una tenue traccia di male, i Maestri si espressero in questi termini (Talmud Bavli, trattato Sanhedrin 23a): “Le menti[3] candide (1) di Gerusalemme”.
E ora vedi la differenza tra il prudente e l’integro, malgrado le loro caratteristiche siano simil[4]i: prudente (2) è colui che è cauto nelle proprie azioni e sta attento a non peccare in ciò che ha appreso ed è noto a tutti essere un peccato. Tuttavia, non ha ancora un controllo di sé sufficiente a evitare che il suo cuore sia attirato dal desiderio naturale e che ciò lo induca a concedersi dei permessi in questioni nelle quali il male non è evidente. E questo perché, nonostante egli si sforzi di dominare i suoi desideri (3), ciò non basta a modificare la sua natura e quindi non può rimuovere la tentazione fisica dal suo cuore[5]. Tutt’al più può dominarla – e invece di seguire lei, seguirà la saggezza[6]. In ogni caso, l’oscurità delle cose materiali ha l’effetto di allontanarlo dalla retta via e indurlo in tentazione.
Ciononostante, dopo che l’uomo si è saldamente abituato a questa prudenza, al punto da cominciare a scrollarsi di dosso i peccati risaputi e ad abituarsi al servizio di D-o e allo zelo, mentre si rinforzano in lui il sentimento affettivo e il desiderio del Creatore[7], ecco che la forza di questa abitudine lo allontanerà dalle questioni materiali e condurrà la sua mente alla perfezione spirituale, finché potrà finalmente raggiungere l’integrità perfetta[8]. Difatti, mentre cresce in lui la volontà [di avvicinarsi] al Signore, il fuoco del desiderio corporeo sarà ormai spento in lui e a questo stadio avrà ormai una visione chiara e pura. Come appena spiegato, non sarà più tentato dalla tentazione dovuta alla sua materialità, che non avrà più presa su di lui e tutte le sue azioni saranno caratterizzate da una integrità assoluta.
E infatti [il re] David si rallegrava di [avere raggiunto] questa virtù, dicendo (Salmi 26, 6): “Mi laverò le mani con purezza e girerò intorno al Tuo altare, o Eterno”, poiché è vero che solo chi si ripulisce completamente da ogni minimo dubbio di peccato o di colpa è degno di vedere il volto di D-io Re[9] (4), perché nel caso contrario gli si addice piuttosto (Ezra 9, 6): “Arrossisco e mi vergogno di sollevare il mio volto verso di Te, o Signore mio”.
E acquisire questa virtù richiede certamente un grande sforzo da parte dell’uomo, perché se è facile evitare i peccati risaputi, la cui efferatezza è evidente, è invece più difficile far prova della scrupolosità indispensabile all’acquisizione dell’integrità, poiché la permissività nasconde il peccato (5), come già ricordato e come detto dai nostri Maestri di benedetta memoria (Talmud Bavli, trattato Avodà Zarà, 18a): “I peccati che l’uomo ha calpestato con i suoi talloni lo circonderanno al momento del giudizio[10] (6).” E seguendo lo stesso schema dissero anche (Talmud Bavli, trattato Baba Batra, 165a): “La maggioranza [delle persone] commette frodi, una minoranza trasgredisce il divieto delle unioni proibite e tutti si macchiano della polvere di maldicenza[11] (7).”
Questo avviene perché si tratta di un peccato così sottile che la gente non ne viene nemmeno a conoscenza. E i nostri Maestri di benedetta memoria dissero che [il re] Davide portava estrema attenzione a purificarsi completamente da tutte quelle [mancanze], perciò andava in guerra con ferma sicurezza, e chiedeva (Salmi 18, 38): “Inseguirò i miei nemici e li raggiungerò; non farò ritorno prima di averli eliminati”, richiesta che non fu fatta nemmeno da Yoshafat, Assa e Chizkia[12] (8), perché non erano sufficientemente integri[13].
David stesso si espresse in questo modo, dicendo (Salmi 18, 21): “D-o mi ricompenserà secondo la mia onestà; mi ripagherà secondo l’integrità delle mie mani”. E disse anche (Salmi 18, 25): “D-o mi ha ricompensato secondo la mia onestà, secondo l’integrità delle mie mani che è davanti ai Suoi occhi”. E si riferisce proprio a quella rettitudine e a quell’integrità di cui abbiamo parlato. E in seguito disse anche (Salmi 18, 30 e 38): “Col Tuo sostegno attacco un battaglione ecc., inseguirò i miei nemici e li raggiungerò” ed egli stesso aggiunse (Salmi 24, 3-4): “Chi salirà sulla montagna di D-o e chi si leverà nel luogo della Sua santa residenza? Colui che ha le mani pulite e il cuore puro”.
E tuttavia questa virtù è certamente difficile [da acquisire], perché la natura dell’uomo è debole, il suo cuore si lascia facilmente tentare e si permette le cose nelle quali può trovare qualche ingannevole pretesto. E di certo chi riesce a conseguirla ha ormai raggiunto un altissimo livello, avendo combattuto una dura guerra e avendola vinta.
Passiamo ora a un esame dettagliato dell’integrità.
Note del Traduttore:
[1] Si tratta di giudici che avevano un comportamento particolarmente integro: non firmavano nessun atto come testimoni senza conoscere gli altri firmatari, per assicurarsi che anche la loro testimonianza fosse valida; non sedevano in giudizio senza conoscere gli altri giudici; e non sedevano a tavola se non conoscevano gli altri commensali. L’Autore li cita come esempio di integrità intellettuale, assolutamente incontaminata da qualsiasi vizio o desiderio.
[2] Ancora una volta, può essere utile ripassare qui il capitolo 2 sulla prudenza.
[3] Parliamo qui di atti permessi dalla Torà (Rav Eliahu Roth)
[4] Ovviamente, espressioni come questa (si veda anche quella citata poche righe più avanti, tratta dal Salmo 18, 25) vengono usate solamente perché la Torà parla la lingua degli esseri umani, come spiegato da Maimonide nel capitolo 26 (parte prima) della Guida degli Smarriti, tradotto da noi in italiano per il sito www.anzarouth.com
[5] Non si immagina nemmeno che ci sia un peccato.
[6] La fonte di questa discussione nella Ghemarà è il Salmo 49, 6 che dice: ”Il peccato dei miei talloni mi circonderà”. Il lettore interessato troverà un interessante approfondimento di questo tema in un passaggio dello Tzenna Ur’enna della parashà di Ekev, anche questo tradotto da noi per il sito www.anzarouth.com
[7] Il divieto di polvere della maldicenza è spiegato nel capitolo 9 delle Leggi della Maldicenza del Hafetz Haim (Edizioni Morashà 2007, nostra traduzione). Ovviamente, quando si dice che tutti si macchiano di questo peccato, non significa che esso sia inevitabile. Chi studia e si impegna a osservare tutte le leggi della maldicenza può certamente evitare di commetterlo.
[8] Tre re del Regno di Giudea, vedi i Libri dei Re e i Libri delle Cronache.
[1] Con l’acquisizione della zerizut si chiude idealmente la prima sezione del Mesilat Yesharim. Con queste due middot, la zehirut e la zerizut, si è tzadiqim, ma non si è ancora intrapreso il cammino che condurrà alla qedushàh, che si apre appunto con la neqiut.
[2] Come poi il Ramchal spiegherà ampiamente, la neqiut nel comportamento dipende da quella a livello intellettuale. Si faccia attenzione all’ordine scelto dal Ramchal: ci si deve occupare delle proprie middot, perché in questo modo ci si libererà dai peccati. Chayim Vital in Sha’arè Qedushàh esprime il concetto che le middot precedono la Toràh, ed un difetto in quell’ambito è più grave di un qualsiasi peccato, perché il peccato è la manifestazione di un difetto in una delle membra, mentre un difetto nelle middot è molto più generalizzato..
[3] Nuovamente da questa espressione si può vedere come la neqiut nell’ambito materiale discenda da quella a livello intellettuale.
[4] La zehirut consiste nel fare attenzione alle proprie azioni e non peccare in quello che già gli è noto, mentre la neqiut è l’attenzione nel concedersi dei permessi, ed è possibile raggiungere questo livello solo dopo essersi allontanati dai peccati conosciuti a tutti ed essersi abituati al servizio divino con sollecitudine. In questo modo risulta chiaro l’ordine delle middot nella baraità.
[5] La guerra contro la tendenza a concedersi dei permessi non fa parte delle operazioni iniziali nel perfezionamento delle middot. E’ necessario infatti prima lavorare duramente sulla zehirut e sulla zerizut, perché se il desiderio fisico ribolle nel cuore, questo non sarà in grado di purificarsi, e non arriverà pertanto ad altro che sostituire un istinto con un altro, ma non riuscirà a eliminarlo del tutto.
[6] Negli Otto Capitoli (cap. 6) Rambam spiega la differenza fra il dominio dell’istinto ed il tiqun. Con la zehirut e la zerizut la fase del dominio viene completata. Con la neqiut inizia la fase del tiqqun. La coscienza umana non resiste più all’istinto e all’appetito, ma individua la razionalizzazione derivante dallo yetzer ha-rà, volta a giustificare il desiderio in un’ottica di interesse personale. A volte nella propria esistenza si deve assecondare lo yetzer ha-rà, ma l’intento deve essere quello di spostare la propria attenzione da se stesso all’altro, e rendersi conto che le paure suscitate dallo yetzer ha-rà, che vorrebbero innescare meccanismi di autodifesa, sono ingiustificate. La comprensione della nequit richiede pertanto in via preliminare una riflessione sulla paura.
[7] Prima ancora di raggiungere la neqiut, con le sole zehirut e zerizut l’uomo assiste ad un rafforzamento della ahavàh, come già è stato accennato nel cap. 7, quando ha scritto che la sollecitudine porta ad una gioia interiore, che è parte dell’amore, come si vedrà nel cap. 19.
[8] La neqiut non è l’abitudine nell’attenzione nella pratica delle mitzwot, perché attraverso di essa si può tuttalpiù riuscire a dominare l’istinto, ma questo ancora mantiene la capacità di sedurre distorcendo la visione della realtà e avanzando costantemente delle critiche rispetto a un comportamento virtuoso. Tramite la zerizut è invece possibile spegnere completamente il desiderio fisico, e desiderare solo Toràh, mitzwot e vicinanza ad H. Come è scritto in Chovot ha-levavot, non è possibile conciliare fuoco e acqua, dove c’è amore delle cose di questo mondo non può esserci amore di H.
[9] Infatti non ci si presenterebbe mai e poi mai di fronte ad un re in carne ed ossa con la minima sporcizia, tanto più di fronte al Re dei re.
[10] Proprio questi sono i peccati che verranno maggiormente contestati nel momento del giudizio; infatti le colpe maggiori e universalmente riconosciute saranno accompagnate da una qualche forma di teshuvàh. Invece per le cose alle quali non si fa attenzione, e molti fanno lo stesso non vi sarà stata alcuna teshuvàh.
[11] Il discorso di Ramchal non è riferito al numero dei peccatori, ma alla sottigliezza dei peccati, della quale il numero dei peccatori è una conseguenza.
[12] Questi re furono costretti a chiedere un miracolo ad H., perché al contrario di David non potevano confidare nella loro neqiut e non potevano avere la certezza di vincere in guerra(Midrash Rabbàh, apertura di Ekhàh).
[13] Su Chizqiàh tuttavia c’è una difficoltà, perché secondo la ghemarà in Sanhedrin (94a) H. voleva renderlo il Mashiach, e la middat ha-din disse che David non fu il Mashiach, sebbene avesse intonato dai canti ad H., cosa che Chizqiàh non aveva fatto. Se è così però Chizqiàh aveva raggiunto una perfezione morale pari almeno a quella di David, e da quanto scrive il Ramchal sembra non essere così, ma evidentemente questo livello è stato raggiunto da Chizqiàh solamente in seguito alle guerre, nelle quali non poteva confidare nella sua neqiut, come aveva fatto David.