Post-Pacifici 4 – Fine
Aho’, ma a parte Kolot, chi da’ il microfono a quelli che la pensano l’opposto di lui?
Nun te la prenne: a parte che sei bravissimo, ti confronti cosi’ apertamente che a volte pubblichi dei pareri completamente opposti tra di loro ed al tuo. Io ci ho messo mesi prima di capire il concetto di questo Kolot. Tutto il contrario delle accuse di questo signore che non credo di conoscere personalmente e che probabilmente e’ molto gentile.
Comunque, mi sia permessa una disgressione sull’arte della comunicazione. La critica contro di te qui sotto esposta, avrebbe potuto ad un lettore ignaro come me parere legittima e /o fondata e/o ragionevole. Quello che la condanna e’ l’uso improprio delle iperboli: “una colpa imperdonabile foriera solo di disgrazie per la Comunita’.” Ma non l’avevi mica scritto!!!
“Una colpa” “Meglio chiuderle?” “una jattura”. Ti si mettono in bocca espressioni esagerate che non hai scritto. E non sono andato a vedermi la citazione che ti ha infastidito, se veramente non c’era, ma la tua reazione e’ credibile e questo signore ha forse un po’ rovinato un buon argomento contro di te per via delle esagerazioni inutili: “ti ergi a giudice degli altri e depositario dell’unica verita’. ” Eh, esagerato…
Stam, Yihie’ beseder. E tu te la cavi benissimo, non curarti delle critiche, se non sono fondate. Auguri, caro.
Ralph Anzarout
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Caro David,
Credo anche io che la Tua analisi contenga alcune scomode verità, perchè non c’è dubbio che il numero degli elettori è aumentato grazie al coinvolgimento di strati di popolazione ebraica che per decenni sono stati tenuti ai margini, e bisognerebbe riconoscere ad Adolfo Perugia, il primo timido tentativo di rompere quel circolo riservato che quando ero giovane chiamavamo il “listone” dove trovavano posto tutti i candidati “forti”, che godevano cioè dell’appoggio di un certo gruppo elettorale.
Tuttavia c’è qualcosa che mi sfugge, perchè la lista per i giovani insieme dovrebbe essere l’erede del listone?
La linea “politica” di Piperno, Campagnano, Saban la ritrovo più nella lista per Israele; Così come la freschezza della proposta di Yachad mi ricorda l’esperienza di Adolfo Perugia, a cui, ancora ragazzo, partecipai.
Altrimenti come si spiega che ai suoi tempi avversavo il “listone” e che oggi mi riconosco nella lista dei per i giovani?
Onore al merito: Riccardo senza dubbio è colui che meglio di chiunque altro, suo precedessore o concorrente sa interpretare le istanze degli ebrei romani. Anche se rimane la domanda, di grande attualità al momento, se la politica deve interpretare e assecondare le richieste del pubblico oppure è qualcosa di altro?
Certo se il Tuo intervento fosse meno agiografico sarebbe più credibile
Infine non ritengo affatto bulgara la elezione dei 16 candidati della lista per Israele. Quando si scriveva lo Statuto dell’ebraismo italiano, a noi che sostenevamo la maggiore democraticità del voto per la lista ci rispondevano che il panachage dava più libertà all’elettore e premiava i migliori; in questa elezione abbiamo sperimentato, finalmente dico io, il voto di lista, e non è uno scandalo.
Riccardo dispone di 15 consiglieri spero che sappia gestire al meglio la sua squadra, di promesse ne ha fatte tante ora affido ai miei eletti il compito di vigilare perchè si realizzi il programma.
Anselmo Calò
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Caro David,
condivido pienamente la tua analisi,come immagino tutti quelli che hanno analizzato la storia ” moderna” di questa Comunità, vorrei aggiungere soltanto due cose:
1) Il ruolo dei cosidetti notabili, appartenenti alle famiglie importanti, in passato, è stato sicuramente vitale per la sopravvivenza della nostra comunità,e di questo gli ebrei romani dovranno essere sempre grati, ma con l’avvento di un sistema di tassazione in base al reddito, di ogni iscritto alla Comunità, avrebbe dovuto farsi strada all’interno di quella fascia ristretta di vip ebrei, il concetto di uguaglianza, proprio di ogni società civile e democratica. Di fatto ancora oggi permane in certe famiglie l’idea che l’amministrazione della comunità sia dovuta per censo ad alcuni e non ad altri, meglio ancora se trasferibile di padre in figlio per via ereditaria
2) In politica, fra le persone civili, esiste una regola per la quale i veleni e le polemiche terminano alla presentazione dei risultati, quando arriva il momento degli eventuali accordi, ma sopratutto della rasserenazione.
Chi parla di voto alla bulgara o di Comunità appannaggio dei ” Bottegai” è soltanto un imbecille che non conosce le regole del vivere civile e della democrazia, offensivo verso chi ha fatto scelte a loro non gradite.In democrazia vale il principio di una persona un voto, a prescindere dalla condizione economica , dalla religione, dalla professione,etc,e chi ha la maggioranza, anche se per pochi voti, governa. Chi parla di comunità appannagio dei “bottegai” evidentemente ignora queste regole o forse è l’espressione di di quel gruppo che ritiene che la gestione della comunità sia un fatto di pochi eletti “illuminati”
Inoltre parlare di voto bulgaro è un’ulteriore offesa a chi votando in blocco la lista n.2 ha scelto consapevolmente di votare per la Presidenza di Pacifici, possibile soltanto in caso di vittoria in blocco della lista
Quello che vogliono ora gli ebrei romani è che si chiudano le polemiche della campagna elettorale e che gli eletti inizino a lavorare in concordia ed in armonia nell’interesse generale, mostrando con il loro impegno, di meritare la fiducia accordatagli.
Un Codiale Shalom
Angelo Di Porto
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Oggi dopo aver letto la tua ultima email, mi sono andato a rileggere “la pietra dello scandalo”.
Quando mi era arrivata gli avevo dato un occhiata veloce, ho pensato che forse non l’avevo capita o che forse ero un pò stupido…
Rileggendola ho trovato un quadro chiaro e preciso.
Forse non sposo appieno il tuo 4° paragrafo, nel senso che non tutti credo si fossero schierati a sinistra, credo piuttosto che una parte della sinistra abbia cercato di entrare nel consiglio, cercando di orientare lo stesso verso una sorta di “Radical-chic”.
Questo però è il bello della democrazia, ognuno è libero di parlare ed esprimersi. Per assurdo se domani ci fosse un ebreo romano convinto sostenitore che leggi razziali servirono a preservare l’ebraismo ben venga, saranno le urne a decidere…
Personalmente stimo Riccardo, e gli ho dato il mio voto. Non credo che Riccardo segua interessi privati ne che voglia schierare la Keillà ne a destra ne a sinistra. Giustamente prende ciò che ci può essere di buono da una e dall’altra parte.
Tuttavia, non è un perfetto, trovo che a volte possa essere esuberante, e dunque trovavo giusto che fosse accompagnato nel suo cammino, da una persona come Roberto Coen, al quale ho dato il mio voto.
Entrambi potrebbero essere degli ottimi amministratori, uno però troppo esuberante, l’altro troppo prammatico.
Credo che l’errore di fondo sia nel meccanismo delle liste.
Queste in una maniera o nell’altra scimmiottano il meccanismo dei partiti politici, portandoci a creare una sorta di antagonismo.
Riccardo mi ha detto che quando lui fù eletto la prima volta diversi anni fà, nonostante l’enorme numero di voti, in consiglio non riusciva ad aprire bocca in quanto esistevano dei gruppi preformati.
Non è con la creazione di altri gruppi che si sconfiggono i gruppi, si crea soltanto un gruppo più forte. Gruppo che poi inevitabilmente sarà il nemico d’abbattere.
Io credo che nel consiglio debba sedere gente che si prefigga di fare il bene della comunità, che stando seduti intorno al tavolo scelgano il presidente e che lavorino lesciem sciammaim.
I votanti debbono scegliere in base alla capacità di sincretismo, di organizzazione oltre che di onesta che i candidati hanno. Un eventuale candidato potrebbe anche essere onestissimo ma non avere le altre doti necessarie.
Shabat Shalom
Mario Sonnino
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Cari tutti intervenuti al dibattito , per ora uno dei lati positivi , per me , è quello di poterci ancora confrontare in modo civile e costruttivo, inoltro queste poche righe (spero intellegibili)
Ritengo arduo assegnare pagelle a questo od a quello (rappresentante comunitario ) in funzione delle loro entrature politiche .
Ritengo anche che sia controproducente da parte dei rappresentanti comunitari emettere in continuazione pagelle nei confronti di questo o quel politico come se fossero l’ombelico del mondo .
Non auspico una continua sovraesposizione mediatica della realtà ebraica , quando non strettamente necessaria .
Di conseguenza non auspico l’eventuale utilizzo strumentale delle cariche comunitarie quale trampolino di lancio per altri ambiti non ebraici
Mi permetto di ricordare il Maestro Dante Lattes z.l. che all’inizio del ‘900 invitava gli iscritti a ritrovare l’orgoglio di vivere ebraicamente e la forza di confrontarsi con il contesto con dignità . ( il periodo era già duro e di lì a poco sarebbe stato tragico )
Il destino dei rappresentanti comunitari è sempre stato quello di confrontarsi con il contesto ed interagire per il benessere della Comunità.
Lo stesso destino ha mosso innumerevoli eletti che hanno attivato sempre il concetto di accoglienza ed inclusione .
È nel solco di questi che dovremmo tendere a riconoscerci e a non sostenere quelli che oggettivamente alimentino l’esclusionismo ( non accoglienza) e la divisione insanabile all’interno delle comunità
In merito all’assimilazione inviterei tutti a valutare la difficile situazione esistente fra i giovani ( vero patrimonio della Comunità ) perché ho la netta sensazione che ci si occupi di più di diatribe partitico/politiche e si perda di vista la importante “missione ” dell’Ebraismo che è quella di “occupare tempo ” più che “spazio” .
Ringrazio per l’attenzione
Arturo Mario Calosso
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CARO DAVID, UNA RICHIESTA DA UNO CHE BULGARO LO E’ DAVVERO: NON USIAMO PIU’ L’AGGETTIVO “BULGARO” SEMPRE E SOLO CON CONNOTAZIONI NEGATIVE E CHE POTEVANO ANDARE BENE AI TEMPI DELLA LA CORTINA DI FERRO. OGGI LA BULGARIA HA UNA PIL CHE CRESCE DEL 7% ALL’ANNO, E’ ENTRATA A FAR PARTE DELLA EU, DELLA NATO E A BREVE, POVERI LORO, ENTRERANNO IN ZONA EURO. IL PAESE E’ BELLISSIMO, LA GENTE SOLARE E TI INVITO A VISITARLO/LI.
CON AFFETTO,
ANDREA ALCALAY DETTO ANCHE IL BALCANICO
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Caro Davide,
Se mi consenti un intervento in regime di extraterritorialità, più che altro per rimarcare quella che credo sia una differenza tra la situazione romana e quella meneghina.
Mi sono trovato, secoli fa, ad essere eletto in Consiglio in una lista che credo assomigliasse a quella Pacifici di oggi; in questa c’era una robusta rappresentanza di shomrei mitzvot (Emanuele Cohenca per nominarne uno), persone di estrazione etnica (persiana, libica), ugualmente osservanti, e cani sciolti come il sottoscritto, dedicati a compiti specifici.
Beh, sono poi uscito, ma di fatto nulla è cambiato nella gestione comunitaria – intendo, nella sostanza e nelle persone.
Non sono in grado di giudicare se questo sia un bene o un male; così è. Non vedo una grande differenza tra la presidenza Cantoni, z”l, e l’attuale presidenza Soued.
Mi pare di capire che a Roma, viceversa, qualcosa stia cambiando. Beh, mi resta un po’ di rimpianto per non aver fatto di più a quel tempo, e mi auguro che si, da Sion viene la Torah, ma magari da Roma venisse un po’ di aria nuova?
Shabbat Shalom
—
Ruben Castelnuovo
Milano – Italy
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Caro Roberto,
ho letto il tuo intervento su Morashà e sono anch’io critico su molte delle
affermazioni di David Piazza sulla storia passata dell’ebraismo italiano
che viene identificata in modo paradossale e altisonante come era
pre-Pacifici (espressione che ricorda le definizioni usate da alcuni
storici [a.C. o d.C.]).
David scrive: “l’Italia ebraica, in tutte le Comunità, era dominata da
quelli che nel linguaggio del popolo sono i “notabili”, i rappresentanti
cioè delle famiglie che contano, mandati da queste ad amministrare la cosa
pubblica ……… ma sostanzialmente i rappresentanti dell’era pre-Pacifici
erano dei “parnasim”, parola ebraica che indica i finanziatori di una
sinagoga o delle istituzioni comunitarie.”
Forse sarebbe opportuno andare a rivedere la costituzione dei Consigli
delle Comunità dal dopo guerra ad oggi per verificare che, accanto a
qualche benestante, erano presenti tanti buoni ebrei animati dal desiderio
di dedicare parte anche non marginale delle proprio tempo per il bene
dell’ebraismo italiano. Né credo che sia un elemento negativo che talvolta
tali persone fossero “ben introdotte nella società civile non ebraica” se
questo fattore poteva essere di utilità alle Comunità stesse (penso
peraltro che lo stesso osannato Pacifici sia tra le persone “ben introdotte
nella società civile non ebraica”).
David scrive: “le scuole ebraiche di massa non esistevano ancora e
l’assimilazione iniziava a lasciare quelle profonde ferite che si cerca
ancora oggi di rimarginare.”.
Mi sembra troppo facile scaricare le responsabilità della forte
assimilazione solo alla dirigenza comunitaria della generazione precedente.
Temo che le responsabilità siano da attribuire a molti fattori interni e
esterni. Né, purtroppo, mi sembra che anche oggi, nonostante esistano “le
scuole ebraiche di massa” tale fenomeno sia stato minimamente arginato.
David scrive: “Negli ultimi decenni però questa élite ebraica non solo si
era fortemente assimilata e quindi era sempre più lontana dalle tradizioni
…..”.
Frase da dimostrare. Nella mia visione e nei miei ricordi la dirigenza
comunitaria è stata quasi sempre attaccata alle tradizioni, forse non allo
stesso modo che intende David ma il fatto stesso di lavorare per la
Comunità dimostra un indubbio coinvolgimento nell’ebraismo, secondo le
modalità con cui ciascun ebreo vive la tradizione ebraica.
David scrive: “Pacifici ha oscurato l’immagine del politico ebreo
connivente con un sistema politico-culturale, che riusciva a ottenere
vantaggi per la minoranza che rappresentava solo in cambio del silenzio nei
confronti di una politica estera storicamente filo-araba, sia a destra che
a sinistra”.
Anche questa grave affermazione dovrebbe essere spiegata e dimostrata con
qualche informazione più circostanziata e con elementi oggettivi.
Credo che negli anni difficili del dopoguerra sia stato fatto un importante
lavoro per ridare piena dignità all’ebraismo italiano. Le condizioni erano
diverse da oggi ma sono convinto ai nostri giorni si raccolgano anche i
frutti di quanto è stato seminato allora.
Concludo con una considerazione. Mi sembra che questa cosiddetta nuova
dirigenza, che si ritiene molto abile nella comunicazione, non annoveri
l’umiltà tra la sue doti e abbia una marcata tendenza ad auto lodarsi.
Bruno Piperno Beer
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RIFLESSIONI SUL VOTO ROMANO E SUL “FENOMENO PACIFICI”:
Comprendo il dispiacere e il disappunto di alcuni, e di coloro che sono gli eredi delle grandi famiglie ebraiche,”i notabili” così li definisce David Piazza, che si sono sentiti toccati e urtati dall’ articolo di Morashà, in riferimento al grande successo di Riccardo Pacifici conseguito alle elezioni della Comunità Ebraica di Roma.
Essi “i notabili”(non mi piace molto questo termine, forse sarebbe stato meglio e più attuale usare il termine “casta”) hanno ridato speranza e nuova vita alle comunità ebraiche italiane, fin dal primo dopoguerra, negli anni della ricostruzione, dopo la Shoah, pagando un prezzo molto alto in termini umani, materiali, economici.
Era il periodo nel quale fu necessario raccogliere tutte le energie possibili, per rifondare le scuole,aprirne di nuove, dare assistenza agli anziani, istruire i giovani, trovare il pane per le proprie famiglie, curare gli ammalati,poter praticare il culto e la tradizione ebraica,insomma riprendere a vivere in una società giunta alla fame, alle distruzioni, alle tragedie che il fascismo e il nazismo avevano procurato.
Avvenuta la ricostruzione, l’ebraismo italiano, fin dai primi anni ’50 ingloba al proprio interno altri ebrei provenienti dall’est europeo, dal nord-africa, e anche da paesi extra-europei. Si assiste in quegli anni e soprattutto negli anni ’60-’70,a una modificazione e ricomposizione di tipo socioculturale-antropologico dell’ebraismo italiano.
Negli anni ’60 quegli stessi uomini e donne, filantropi,grandi mecenati, banchieri,professionisti, o semplici impiegati e commercianti, con una cultura antica e una tradizione familiare, divennero la classe dirigente delle comunità ebraiche in Italia ,e per diversi anni ne costituiranno l’essenza stessa della rappresentatività.
Essi avevano raccolto in sé ,tramite la loro azione, le sorti di tutto l’ebraismo italiano. Ma con il finire degli anni ’60, dopo la guerra dei sei giorni, in Italia si va formando un “elite culturale” di intellettuali orientati per lo più a sinistra,in antagonismo alla classe dirigente comunitaria, che per lo più era indirizzata verso il partito repubblicano o socialista-radicale. Nello stesso periodo si va creando una prima divisione all’interno delle comunità: chi difende ad oltranza Israele, chi se ne discosta, addirittura qualcuno che vi va contro e ne critica aspramente le posizioni.
Molti ebrei di sinistra entrano in crisi, altri si rafforzano nelle proprie idee, altri ancora si sentono emarginati. Sul piano internazionale e nello specifico quello mediorientale, con il terrorismo e le guerre successive alle porte, Israele viene attaccata su vari fronti oltre che su quello militare. Gli ebrei italiani cercano dei punti di riferimento sia all’interno che all’esterno della propria realtà.
La leadership ebraica ha qualche difficoltà,nel reagire con determinazione. I timori di prendere posizione sono purtroppo quasi la norma. Ogni azione o risposta di tipo istituzionale viene pesata con il bilancino,calibrata, non si è sempre capaci di rispondere adeguatamente alle sfide che ci vengono rivolte dall’esterno,soprattutto dalla politica, dalla carta stampata e dalla televisione. Siamo concettualmente e direi psicologicamente ancora nella cultura del ghetto, della persecuzione appena subita. Vanno con ciò , ovviamente fatte le dovute differenziazioni ma è indubbio che è un periodo in cui ci si deve muovere con molta accortezza, senza urtare le sensibilità degli apparati dello stato, dei partiti politici, della chiesa, ecc.
Sul finire degli anni ’70 e l’inizio dell’82, i fatti legati alla prima guerra del Libano e l’attentato alla sinagoga di Roma risvegliano l’ anima ebraica che è presente nel nostro paese. Anche le istituzioni ebraiche svolgono il proprio compito diligentemente e reagiscono, cominciano ad alzare la voce, prendono posizione, ma i fatti internazionali, oltre all’antisemitismo rinascente, sono difficili da contrastare.
L’intera società italiana è in evoluzione, all’inizio degli anni ’90 cade la prima repubblica, escono di scena alcuni partiti politici, se ne creano di nuovi, e con essi anche gli ebrei italiani subiscono questa trasformazione. Si assiste a grandi cambiamenti che scombussolano le posizioni ideologiche personali.
Il “fenomeno Pacifici”si inserisce in questa cornice, ma è molto più recente,è degli anni 2000: in Israele scoppia la seconda intifada. Il sangue questa volta molto più esteso, prende il sopravvento con gli attentati kamikaze e scorre nelle città israeliane. C’è la necessità di agire per contrastare i media e le televisioni, i blog di internet,e conseguentemente di far comprendere alla pubblica opinione le ragioni d’Israele. Cresce l’esigenza di dimostrare il proprio attaccamento alle stesse sorti d’Israele, e di tirare fuori quello che Fiamma Nirenstein definirà come l’orgoglio ebraico.
L’Israel- Day, al quale tanta gente partecipò direttamente, è la prova evidente di questa situazione e del cambiamento emozionale di tutti gli ebrei italiani, di destra e di sinistra,nessuno escluso.
La voce della comunità ebraica italiana prova a lanciare dei messaggi forti, che escono spontaneamente dal cuore e dall’anima. E’ necessario, e i fatti dimostreranno che questo cambiamento è stato utile e che ha fatto fare un salto di qualità all’emancipazione degli ebrei italiani.
Tutte le forze politiche del nostro paese ne prendono atto e ne condividono gli atteggiamenti, fatto decisamente nuovo e incontestabile.
Per la verità molti ebrei di sinistra fanno autocritica al proprio interno e si affaccciano anch’essi all’esterno con coraggio e determinazione influendo positivamente nei partiti nei quali si riconoscono, vedi Emanuele Fiano, Victor Magiar ecc.
Riccardo Pacifici inventa il ruolo del portavoce, che fa suo, e che poi sarà ripreso subito dopo anche dalla seconda comunità ebraica d’Italia , Milano da Yasha Reibman.
Pacifici lo esercita con grinta, intelligenza e passione. Impara da solo a gestire quella che si chiama in gergo la comunicazione esterna, o meglio le relazioni esterne, con i media, il mondo politico, le stesse altre comunità, ecc.
A coloro che non condividono tuttora le posizioni di Pacifici, suggerisco di non infastidirsi , tanto meno adirarsi, nè offendersi di fronte a questo cambiamento avvenuto nel mondo comunitario ebraico,e della fotografia che David Piazza ne trae nel suo scritto, perché esso riassume ciò che si è prodotto come un fatto fisiologico, che può avvenire in ogni società contemporanea, e che è avvenuto nella nostra realtà: uscire dagli schemi tradizionali e far si che gli ebrei possano dire la loro senza tanti tentennamenti. Così si può spiegare a mio parere, il “fenomeno Pacifici” e la sua conseguente vittoria elettorale.
Il lavoro e la dedizione all’ebraismo dei ” padri “delle nostre comunità,(preferisco definirli così), rimarrà comunque salvaguardato dalla memoria e non verrà di sicuro cancellato, anzi da esso si dovrà e si potrà prendere insegnamento attualizzandone i principi.
Riccardo Pacifici nella sua ” casa romana” non sempre è stato approvato, qualche volta è stato contrastato, a torto o a ragione, ma il successo delle elezioni in definitiva dimostra che la base, l’essenza della sua comunità lo considera come proprio leader indiscusso.
Adesso viene il compito più difficile, la gestione dei problemi della vita quotidiana comunitaria.
Ai vincitori è difficile dare consigli, ma uno forse posso permettirmi di darglielo : i tempi attuali esigono moderazione, unità e condivisione delle problematiche ai quali l’ebraismo italiano dovrà rispondere nel prossimo futuro, ma soprattutto concezione del confronto e del rispetto per chi la pensa diversamente.
Ultimo dubbio o meglio un quesito: ora che Riccardo Pacifici è il nuovo presidente della comunità ebraica di Roma, chi sarà il nuovo portavoce?
Auguri a lui e a tutta la Comunità Ebraica di Roma
Shalom
Yoram Ortona