Roberto Della Rocca
La ricorrente quanto mai abusata ostentazione di amicizia nei confronti dello Stato di Israele, soprattutto da parte di alcuni esponenti di una certa area politica, richiama alla mente quell’immagine talmudica di colui che cerca, in modo surrettizio, di purificarsi nel Miqwè, bagno rituale, tenendo tra le mani un verme impuro. E’ un po’ la stessa logica di chi dopo averci sferrato colpi bassi e proditori tenta di giustificarsi rinfacciandoci di aver salvato tanti ebrei durante la Shoà. Se prendessimo sul serio le tante e millantate storie di salvezza di questi sedicenti eroi un pò mitomani il popolo ebraico avrebbe dovuto contare nel 1945 sei milioni di persone in più anziché in meno! Sono molto pochi però, fra questi “ mitici salvatori”, coloro che, per dovere di verità, menzionano dei denari versati dai disperati fuggiaschi ebrei costretti molte volte a togliersi dalle tasche gli ultimi spiccioli rimasti per poter dare un pezzo di pane e pochi centimetri di terra dove far trascorrere una nottata ai loro piccoli. E questa sì che non e’ una barzelletta…!
Storia vera dalla quale non fanno eccezione neppure i caritatevoli conventi ed enti ecclesiastici, che pure hanno aperto le loro porte. Con un singolare paradosso negli anni ’70 e in quelli immediatamente successivi siamo stati testimoni di una logica asimmetrica ma figlia di una stessa e identica filosofia. Quanti compagni di liceo abbiamo ascoltato nella varie assemblee accanirsi velenosamente contro lo Stato di Israele e magari a soli pochi giorni di distanza erano quegli stessi compagni che portavano corone di fiori alle Fosse Ardeatine e sulle lapidi dei nostri morti nella Shoa? Talvolta anche indossando le kippòt sulla testa! Quali dei due meno peggio? Non saprei dire. Entrambi forme di alibi e rifugi di coscienze che mal sopportano gli ebrei vivi, testimoni attivi di una cultura di minoranza che vive e che lotta affinchè ci siano sempre culture di minoranza.
Quanto suona attuale, in un’epoca che vede la nostra Comunità sempre più corteggiata e pressata dalle varie forze politiche contrapposte, quella espressione del Profeta Geremia riportata nel verso 6 del capitolo 5 del Libro di Ekhà, le Lamentazioni: “ …l’ Egitto avrebbe dovuto darci una mano e l’ Assiria (Babilonia) – l’altra potenza politica dell’epoca – avrebbe dovuto sfamarci…! ”. Il Profeta, cosciente del grave disorientamento in cui versa il popolo ebraico abbandonato e deluso da coloro che sarebbero dovuti essere i suoi “amici”, non fa che ribadire quella tanto amara quanto realistica constatazione della Torah (Numeri, 23; 9): “… il popolo ebraico se ne sta da solo…”… costretto a prendere coscienza che vi sono situazioni in cui deve cavarsela da solo e basarsi essenzialmente sulle proprie forze.
Dalla Newsletter L’Unione Informa