Nella parashà di Mas’ei, la Torah ci dice che la Terra Promessa fu assegnata “begoral”, tramite sorte. Un concetto che può apparire strano: perché affidare qualcosa di tanto sacro al caso? Ma il goral non è casualità. È il linguaggio silenzioso di Hashem, un modo per rivelare la Sua volontà senza parole. The Sound of Silence, recitava quella famosa canzone. Il goral — il sorteggio — è per definizione misterioso. Non parla, non spiega, non giustifica ma emette esclusivamente la sentenza finale. Sembra cieco, ma in realtà è la voce nascosta della volontà Divina. Quando il re Shaul cerca Hashem e D-o non risponde, si ode un silenzio assordante.
Ma l’apparente silenzio non è assenza, ma prova. È la “pedagogia del vuoto”, dell’Hester Panim, del “Nascondimento del Volto Divino”. Come dice Rav Dessler: “Il silenzio di Hashem è la Sua parola più alta”. Il goral è la maschera che Hashem “indossa” quando non vuole mostrarsi apertamente. Ma non è un gioco. Hashem non gioca a dadi con il mondo: è un Raffinato Architetto dell’universo. Ogni evento, ogni deviazione, ogni sorpresa è un pezzo del Suo progetto. L’uomo fa piani… e Hashem sorride, lo fa con i giusti e con i malvagi. Con i primi non lo fa con disprezzo, ma con tenerezza. Come a Moshe, che chiede di entrare in Eretz Yisrael, e Hashem gli dice “Rav Lach” — “Io ho pensato per te qualcosa di più grande”. Parallelamente la Sua risata riservata ai malvagi diventa “cinica” (Kiviachol): loro possono costruire strategie perfette, ma “Colui che siede nei cieli riderà”. I loro piani si autodistruggono, i nostri vengono elevati. “Kol man d’avid Rachamana letav avid” — tutto ciò che il Misericordioso fa, lo fa per il bene, diceva sempre Rabbì Akiva.
E proprio questo maestro che ci insegna la più potente delle strategie spirituali e psicologiche per vivere al meglio il progetto Divino: In mare, durante una tempesta, si aggrappò a una tavola e ogni volta che veniva un’onda… “chinava la testa”. Non si oppose, non cercò di vincere il mare: si piegò con intelligenza, con fede. E sopravvisse. Perché a volte non vince chi resiste, ma chi si adatta. Non chi lotta disperatamente, ma chi si arrende con coscienza. Molto spesso, non viviamo la vita più facile. Ma viviamo la vita più giusta. Hashem non ci dà ciò che chiediamo… ma ciò che ci fa crescere. Quando i piani saltano, quando la vita cambia direzione, non significa che abbiamo sbagliato — significa che Hashem ci sta riportando al nostro sentiero più alto. Come Moshe, che non entra nella terra ma entra nella storia. Come Rabbì Akiva, che sopravvive piegandosi. Come noi, che spesso non capiamo, ma possiamo sempre fidarci. È questa la chiave: imparare a fidarci. Ad accettare che la vita non ci porta sempre dove vogliamo, ma sempre dove serve alla nostra anima. Hashem non ci punisce con gli imprevisti: ci riposiziona.
Ecco, quindi, che la delusione non è un fallimento: è uno spostamento Divino. Quello che sembra caos… è una traiettoria precisa verso la tua anima più alta. “La tua sofferenza non è una punizione, ma un’indicazione”. Tutti noi abbiamo bisogno di controllo per sentirci sicuri. Ma nella vita, spesso, i piani saltano. Il goral ci insegna a fidarci dell’invisibile senza sentirci smarriti. Non tutto deve andare secondo i nostri desideri, perché i nostri desideri non sempre conoscono la nostra vera grandezza. Il goral non dà risposte verbali, ma apre domande interiori: “Cosa posso imparare da questo evento? In che direzione mi sta portando? È un invito a vivere la vita come facenti parte di un testo sacro —dove ogni evento è una parola da decifrare. Quando le cose non vanno come avevamo sperato, non dobbiamo chiederci: “Perché è successo a me?” ma: “Perché Hashem ha pensato che proprio questo fosse necessario per me?” Questo non elimina il dolore. Ma gli dà senso, e una vita piena di senso, è una vita in cui anche il caos si trasforma in cammino. E poi..arriva lo Shabbat: anche noi, tra i goralim, le onde, i sogni spezzati e le strade impreviste, possiamo sederci alla tavola dello Shabbat e dire:
“Gam zu letovah – anche questo è per il bene. Tutto si è compiuto in sei giorni, ma nel settimo… si è rivelato il senso. Lo Shabbat è chiamato Meen Olam Habbà, un assaggio del mondo futuro, un assaggio della dimensione in cui si “giocherà a carte scoperte”, cioè con la consapevolezza degli eventi, un mondo dove tutto è rivelato: “Gal”, rivelazione e onda, non a caso, si scrivono nello stesso modo.
Shabbat Shalom