Annalisa Comes
È solo a partire dagli anni Ottanta che l’opera di Marianne Breslauer è stata riscoperta. Fotografa attiva per poco più di una decina di anni (dal 1927 al 1938), fa parte di quella generazione di fotografe – come Annelise Kretschmer, Lotte Jacobi, Germaine Krull, Ellen Rosenberg Auerbach, Yva (Else Ernestine Neuländer-Simon), Johanna (Jeanne) Mandello, Ilse Bing e Grete Stern – attive negli anni difficili di transizione dalla Repubblica di Weimar al nazismo.
Proveniente da un’agiata famiglia di origine ebraica, vissuta in un ambiente artistico ricco di suggestioni culturali–- il padre, Alfred Breslauer, era un noto architetto e il nonno materno, Julius Lessing, un importante storico dell’arte, primo direttore del Museo delle Arti Decorative di Berlino (Berliner Kunstgewerbemuseum) – Marianne Breslauer mostra un precoce interesse per la fotografia, quando, giovanissima, scopre presso la galleria Alfred Flechtheim l’opera della fotografa Frieda Gertrud Riess (1890-1955).
“Fin da tenera età mi sono interessata all’arte, per la precisione, alla pittura. Quando avevo quattro anni, avevo già la passione di visitare musei e, sapete, non è un’esagerazione. […] A quindici anni ho visitato una mostra fotografica alla Galleria Flechtheim: i ritratti della fotografa Riess, mi piacquero così tanto che decisi di studiare fotografia.“1
Lavora per un breve periodo dalla fotografa Lisi Jessen, un’amica di famiglia e nel 1927 segue un corso biennale di fotografia (ritrattistica: Abteilung für Bildnisphotographie) presso la Photographische Lehranstalt della Lette-Verein, l’associazione conosciuta come Lette Haus di Berlino. Nel 1929 si reca a Parigi dove lavora per alcuni mesi nello studio di Man Ray, in quegli anni centro della corrente della Nuova Fotografia (New Photography), contraria al pittorialismo, che rivendicava l’indipendenza della fotografia dalla pittura. Le sue prime fotografie mostrano molte delle caratteristiche di questo movimento: il piano tagliato, i punti di vista alterati, il gioco di luci e ombre, la frammentazione quasi in sequenze cinematografiche, come ha sottolineato Mercedes Valdivieso, curatrice a Barcellona presso il Museu Nacional de Arte de Catalunya di una grande retrospettiva dedicata alla fotografa nel 2016.
A Parigi Marianne ammira i lavori di André Kertész e Brassaï, ma scopre una vocazione tutta sua, quella di street photographer, e pur aderendo ai canoni della Nuova Fotografia, tuttavia se ne discosterà per una visione caratterizzata da una forte impronta di “realismo poetico”, vicino al “fantastico sociale” di Pierre Mac Orlan e alla “realtà sospesa” di Eugène Atget (il “Balzac della fotografia” secondo la fotografa Berenice Abbott). Flâneuse attratta dai momenti (e dai particolari) della vita di tutti i giorni, dalla dinamica e dal movimento urbani, non cerca una scenografia, non la interessa la ricerca di una particolare tecnica, ma l’immagine in sé, l’espressione, il mistero dell’inosservato, del poco appariscente, non architetture ma il segreto della città intima, colti in un “attimo fuggente”. Ecco dunque lungosenna, vicoli, mercati, bistrot, piazze popolati da clochards, vagabondi, passanti e gente comune, spesso fotografati dall’alto.
“Quello che mi interessava di più era semplicemente girovagare per Parigi e fotografare persone normali, scene di tutti i giorni, momenti che passano inosservati, cose banali … Questo tipo di fotografia era nell’ambiente e penso di averlo percepito abbastanza presto. Credo che le mie foto fossero caratterizzate da una certa poesia. Non avevano nulla a che fare con la nuova oggettività, che era in voga negli anni ‘20. C’è qualcosa, come ho detto, molto più poetico nelle mie foto e questo continua a soddisfarmi ancora oggi.”2
Dagli anni Venti numerosi sono anche i ritratti: amici e conoscenti (Paul Citroen, Walter Menzel), artisti (Picasso, Ambroise Vollard, Alfred Barnes), ma in particolare donne (ritratti di moda e non) – Ruth von Morgen, Maud von Thyssen, Elisabeth Ettl (Bergner), Ilse Jutta Zambona (nota anche come Jeanne Remarque), Lisa von Cramm, Johanna (Jeanne) Mandello, Annemarie Schwarzenbach, tra le altre – che hanno contribuito a diffondere una nuova immagine di donna, volitiva, indipendente, curiosa, viaggiatrice, che ha ormai l’opportunità di frequentare caffè, concerti, teatri, mostre o di fare sport e appare disinvolta e a suo agio anche in pantaloni e capelli corti.
“Le fotografe donne erano principalmente impegnate nei loro studi, fotografando persone, bambini a Natale o ricorrenze, ciò che era accettabile per una donna, mentre quello che mi interessava, era quello che in seguito si chiamò reportage o fotografia per la stampa che era agli albori all’epoca.“3
Nel 1930 inizia la sua carriera di fotogiornalista e comincia a pubblicare regolarmente i suoi reportages per le edizioni Ullstein, come sui supplementi illustrati di «Die Dame», «Funk-Stunde» e «Der Querschnitt», sotto la direzione di Elsbeth Heddenhausen (anche lei formatasi presso la Lette Haus; “È lì che ho davvero imparato la tecnica”, ricorderà Breslauer) poi da indipendente, viaggiando da sola e in compagnia (in Italia, Palestina, Alessandria d’Egitto). Nel maggio 1933 su incarico dall’agenzia fotografica di Berlino Academia si reca in Spagna (Girona, Barcellona, Sant Cugat, Montserrat, i Pirenei, Pamplona, San Sebastián) e Andorra insieme alla scrittrice, fotografa e viaggiatrice Annemarie Schwarzenbach. Era stata la stessa Schwarzenbach a mettere in contatto Breslauer con la giornalista e corrispondente dall’Asia orientale per il «Frankfurter Zeitung» Lily Abegg dell’Academia. Anche se solo alcune fotografie saranno pubblicate a suo nome («Zürcher Illustrierte») a causa dell’origine ebraica di Marianne, sarà un’esperienza che la fotografa ricorderà a lungo.
Breslauer ha effettuato alcuni dei più bei ritratti di Schwarzenbach, cogliendo quell’aspetto misterioso e androgino della scrittrice svizzera, che aveva definito come “niente affatto umano”, definendola come l’“incarnazione dell’arcangelo Gabriele”, vera e propria “opera d’arte vivente”. Un ritratto a tutta pagina de “La scrittrice Annemarie Schwarzenbach” apparve nell’edizione dell’ottobre 1933 della rivista «Uhu», anche se il credito fotografico di Breslauer venne taciuto a causa delle leggi razziali.
Nel 1936 è costretta, per motivi politici, ad emigrare ad Amsterdam, dove sposa il mercante d’arte Walter Feilchenfeldt, anche se a seguito dell’occupazione dei Paesi Bassi i due passeranno in Svizzera, a San Gallo, Ascona, poi a Zurigo fondando la Feilchenfeldt Art Gallery, specializzata in dipinti e disegni francesi del XIX secolo. Prima della guerra Breslauer interrompe definitivamente la sua attività di fotografa, dedicandosi al commercio d’arte. Nel 1999 viene premiata a Berlino con il Premio Hannah Höch.
Marianne Breslauer, Retrospektive Fotografie, 1979.
Marianne Breslauer, Bilder meines Lebens. Erinnerungen, 2009.
Breslauer, 2009.
Fonte: enciclopediadelledonne.it