Emanuele Calò
L’ebraismo appare talvolta come un ostacolo alla mobilità verticale. Ostacolo vero oppure solo paventato, gli ebrei che raggiungono vette sociali spesso abbandonano l’ebraismo. L’autore propone agli studiosi questa ipotesi di lavoro.
Nell’Ottocento, man mano che gli ebrei tedeschi si emancipavano, cresceva dentro di loro uno stato di disagio. A cosa era dovuto? Le pratiche ebraiche sembravano assolutamente anacronistiche e viziate da obsolescenza. Non viaggiare di sabato, non mangiare di tutto, perdersi in corrivi rituali, in parole assimilabili all’ostrogoto, i motivi d’imbarazzo erano tanti. Non aveva forse detto Flaubert (Dictionnaire des idées reçues) che “Est hébreu tout ce qu’on ne comprend pas” ?
Grandi uomini, come Karl Popper o Hans Kelsen, erano ex ebrei. Paradosso dei paradossi, in Italia, nel secondo dopoguerra, molti ebrei si vergognavano di quanto avevano subito, senza pensare che sarebbero dovuti essere altri a vergognarsi. Sta di fatto che vi è stato un rapido allontanamento dall’ebraismo da parte di porzioni non trascurabili della borghesia ebraica. Laddove non si convertivano loro, lo facevano i loro figlioli. In molti casi, la via più rapida era il matrimonio paolino, col quale ci si impegna davanti al parroco a non mettere ostacoli all’educazione cattolica dei figli. Non è esperibile un qualsivoglia commento al riguardo, se non ci si immedesima nello stato d’animo della parte ebraica.
Beninteso, ciascuno di noi ha diritto di convertirsi alla religione che più gli aggrada, e questo non è un punto in discussione, quanto meno così si spera. Per contro, lo stato d’animo che ci interessa non è certo quello di colui che, mosso da sincera fede, decide di abbandonare l’ebraismo, e neppure quello di chi, animato da una sincera mancanza di fede, fa altrettanto. No, noi pensiamo in questo caso a chi si vergogna dell’ebraismo non perché il cattolicesimo sia più progredito (non entriamo nel merito per dichiarata mancanza di cultura, di saggezza e finanche d’interesse) bensì perché l’ebraismo è visto come una barriera al progresso sociale, all’agognata carriera. Quante volte abbiamo notato che gli ebrei che raggiungono posizioni importanti in Italia sono, in realtà, ex ebrei? Quante volte abbiamo notato che sembra mancare una vera borghesia ebraica e che, laddove la si ritrova, mostra dei ranghi davvero ridotti? Come mai il numero complessivo di iscritti alle Comunità è così ridotto che chi scrive ha ritegno a riportarlo?
Vogliamo forse sostenere che l’Italia sia in preda all’antisemitismo? Certo che non è così. E così non è, ma non perché i governi che si succedono hanno buoni rapporti con le istituzioni ebraiche, Comunità varie ed Unione. Quella è, per non pochi versi, una riserva indiana. Non si hanno problemi a riconoscere il gruppo etnico, a riverirlo sinceramente, a deplorare le leggi razziali, a sostenere la cultura ebraica. Tutto, insomma, purché si tratti di ebrei che stiano al loro posto, nella loro riserva indiana (e questo non è un argomento da trattare qui), che si riconoscano chiaramente come tali e in tal guisa siano omaggiati. Ma siamo certi che desti altrettanta simpatia colui che, rimanendo ebreo – ebreo (credente senza esibizionismo, e tuttavia sicuro della sua fede e della sua storia, non succubo della diffamazione contro lo Stato d’Israele) provi a raggiungere le vette, per dire, dell’economia e (non per dire) della società?
Oppure, si è ebrei, pienamente ebrei, ma si sente l’impellente bisogno di chiaire che, sì, si è ebrei, ma di quelli buoni, che si vergognano di quanto compie Israele, come se gli israeliani si difendessero per chissà quale vezzo. Provate ad accostare ai nomi degli ebrei di maggior successo un test di vigenza, ed i risultati saranno sovente deludenti: troppo spesso sono soltanto d’origine ebraica. E lo stesso riferimento alle origini è un brutto eufemismo: no, non sono esattamente ebreo, ma soltanto d’origine. Un conto è vestirsi, dei panni dell’esponente etnico, altra cosa è raggiungere posizioni importanti a prescindere.
Certo, come ebrei italiani siamo pochini, ma con questa pulsione all’abbandono non vi è da meravigliarsi. Dov Ber Borochov rimase famoso per la sua teoria della piramide (sociale) rovesciata, di cui paventava la caduta. La nostra piramide, invece, è strana assai, ma certo di non impossibile lettura. Pitigliano è, in millesimo, un paradigma e una minaccia. Una Comunità che non esiste, ma un Tempio e locali varii che illustrano l’ebraismo. Malgrado la formidabile opera di Elena Servi, mai troppo lodata, Pitigliano è un vero modello per i sociologi. Per chi, come chi scrive, sociologo non è, si presenta a stregua di quei paesi fantasma del Far West, dove il forestiero trova solo polvere e case, ma non la gente. Ecco, dov’è la gente?
Emanuele Calò
Reazioni all’articolo di Jonathan Bassi (Kolòt 18/9)
“Shadal, che era l’autentico rappresentante dell’ebraismo italiano”. Mi pare un affermazione un po’ avventata. L’ebraismo italiano é più complesso e racchiude tante cose non sempre in sintonia. Shadal senz’altro rappresenta un tipo di ebraismo italiano. Ma certo non il solo. E’ curioso però come certe posizioni all’interno dell’ebraismo italiano (che forse andrebbero anche collocate all’interno della loro epoca) vengono spesso strumentalizzate per fini politici.
Se il Sig. Bassi si sente rassicurato da qualche passo di Shadal per le sue personalissime [e pertanto discutibilissime] scelte politiche faccia pure, ma non mi pare necessario e forse è anche un tantino scorretto tirare in ballo l’ebraismo italiano come modello. Questo è ancora più antipatico quando viene fatto da persone il cui legame sarà pure sentimentalmente storicamente e genealogicamente forte, ma non vivono certo la realtà di una comunità italiana viva ne in Italia ne in Israele.
L’ebraismo italiano è fatto dagli ebrei che lo vivono i quali, come è giusto che sia, spesso divergono su tante questioni. Ben venga il dibattito quando è genuino. Ma dove sono tutti questi pseudo ebrei italiani quando si parla di cose che riguardano gli ebrei italiani vivi?
Shavua Tov,
Jonathan Pacifici
Meraviglioso!!
Todah Rabbah.
Shabbat Shalom.
Yochanan ve Ruth