Roberto Della Seta
Al direttore – Sono ebreo (a metà, solo per sangue paterno) e sono, come ci hanno insegnato a dire i francesi, “altermondialista”. Qual è il problema? Semplice. Non ho alcuna intenzione di rinunciare al mio impegno nei movimenti che contestano l’attuale globalizzazione, né al diritto di criticare anche aspramente la politica di Sharon come quella di qualsiasi altro governo, e mi piacciono il clima e la sensibilità che si respirano nei Forum sociali o nelle manifestazioni contro la guerra all’Iraq. Ma nemmeno mi va di subire i miasmi di antiebraismo che salgono, forti e puzzolenti, anche da sinistra, anche dai nuovi movimenti. A generare questo cattivo odore non sono solo i pochissimi che quando si manifesta a Roma per la pace o per un “mondo diverso” lanciano insulti verso la sinagoga: è un fetore più diffuso, che emana da certi seminari dei Forum sociali dove se qualcuno bolla gli israeliani come nuovi nazisti, o dichiara comprensione per i kamikaze palestinesi che seminano morte sugli autobus, non c’è nessuno che eccepisca.
Come ebreo “dimezzato” mi sono sempre trovato a mio agio, specie nella riflessione e nel giudizio sulle vicende che riguardano Israele. Penso sia un’identità, questa mia, che aiuta a guardare dritti in faccia entrambi i risvolti di una medaglia così controversa come quella del conflitto israelopalestinese. Se discuto con un parente che vive in Israele, mi viene da prospettargli le ragioni dell’altro, i palestinesi; se ho a che fare con un amico “di sinistra”, di quelli che s’immedesimano totalmente nella causa palestinese, mi viene da invitarlo a considerare le ragioni dell’altro, Israele. A seconda dei contesti dialettici l’altro cambia faccia, e questo è un buon antidoto contro il rischio di cadere in visioni manichee così lontane, nel caso in questione, dalla possibilità di capire la realtà. Ignoranza e unilateralismo. Credo siano questi gli arnesi che ridanno fiato al pregiudizio antiebraico. Un riflesso che nelle società europee è costantemente in agguato ma che oggi, almeno a sinistra, è legato molto meno che in altri tempi ai meccanismi tipici del razzismo: la paura dell’altro che trova sfogo nell’altro per antonomasia, l’ebreo, minoranza non straniera e però gelosa della propria diversità; o i frutti avvelenati dell’antica maledizione clericale contro il popolo deicida.
Nell’antiebraismo di sinistra e di estrema sinistra queste ragioni rimangono sullo sfondo, funzionano semmai come concausa rafforzativa generata da idee presenti nell’inconscio collettivo. Ma il catalizzatore della reazione è diverso, è una miscela appunto di ignoranza e unilateralismo.
Ignoranza dei fatti storici, innanzitutto. In molti se la raccontano più o meno così: “Basta con questi ebrei che col pretesto dell’olocausto (cazzo, sono passati sessant’anni!) vorrebbero averla vinta su tutto”; o ancora: “Proprio loro che hanno subito ogni genere di persecuzione, ora fanno lo stesso con un altro popolo”. In quanti, tra coloro che a sinistra scherzano col fuoco dell’antiebraismo, sanno che la parola d’ordine “due popoli, due Stati” ripete uno scenario che mezzo secolo fa era Israele a proporre e furono i paesi arabi ad affossare? E poi l’unilateralismo. Perché non c’è solo l’unilateralismo di Bush e dei “neocon”, c’è anche un unilateralismo “no global”: di chi descrive l’Occidente come il male assoluto, e tutti i conflitti del mondo come declinazioni di una sorta di lotta di classe planetaria, che vede il Nord padrone sfruttare e brutalizzare il Sud proletario. Visione unilaterale che coglie della realtà solo gli aspetti compatibili con le proprie categorie di giudizio, ed è incapace di vedere la complessità dei processi reali; riduzionismo ideologico che tratta ogni fenomeno come variante di uno stesso schema generale. Per questo, io credo, i conati antiebraici sono di più di una nicchia di imbecillità quasi fisiologica dentro grandi movimenti vitali. Sono la degenerazione di un approccio unilaterale all’analisi della realtà che andrebbe combattuto con la stessa determinazione riservata alla lotta, sacrosanta, contro quell’altro unilateralismo.
presidente nazionale Legambiente
ANNO VIII NUMERO 342 – PAG II IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 12 DICEMBRE 2003