Di tanto in tanto, ma soprattutto nei momenti di crisi come quello in cui ci troviamo a causa dell’epidemia Covid, sorge il problema della necessità di ridurre il numero dei lavoratori mediante i licenziamenti che vengono impiegati in questa o quella azienda. Di fronte alla necessità di comprimere il numero dei lavoratori, in passato imprenditori e rappresentanti dei lavoratori hanno ragionato sulla possibilità di ridurre il numero delle ore di lavoro, con la conseguente riduzione dello stipendio e della settimana lavorativa. Questa strategia consentirebbe alle aziende di evitare il licenziamento di migliaia di operai, in un momento di grave stasi dell’economia. L’intervento dello Stato per dare dei ristori potrebbe poi restituire ai lavoratori parte o tutta la differenza rispetto allo stipendio originario.
Certo sono lontani i tempi in cui i Romani dileggiavano i “pigri” ebrei perché si rifiutavano di lavorare di sabato: la giornata di riposo si è progressivamente imposta in tutto il mondo occidentale, fino a diventare week-end, e oggi, in risposta alla crisi, l’idea di una settimana super – corta potrebbe estendersi ancora di più.
Il problema fu posto per la prima volta nel caso della Wolkswagen: a determinare la scelta delle parti contraenti nel caso della Wolkswagen hanno concorso vari elementi, ma quello più evidente e dai risvolti più interessanti è stato il manifestarsi di una forte solidarietà all’interno della società. Cercherò qui di analizzare la questione da una prospettiva ebraica, sempre molto interessata al tipo di rapporto che l’uomo deve stabilire con il mondo della produzione.
Molte leggi regolano questo rapporto: tra queste sono particolarmente rilevanti il sabato e l’anno sabbatico, la shemittà. Secondo il calcolo adottato dalla tradizione, a partire da settembre 2021 inizierà il prossimo anno sabbatico. Questa legge, che viene applicata solo in Terra d’Israele, seppure in modo parziale, viene cosìpresentata nella Torà:
“Quando sarete entrati nella terra che io sto per darvi, la terra dovrà riposare un sabato in onore al Signore. Per sei anni seminerai il tuo campo e per sei anni poterai la tua vigna e ne raccoglierai il prodotto, ma nel settimo anno ci sarà una cessazione completa dal lavoro per la terra, un sabato per il Signore: non seminerai il tuo campo né poterai la tua vigna…. Il prodotto [spontaneo] del sabato della terra sarà vostro perché ve ne cibiate, cioè sarà tuo, del tuo servo, della tua serva, del tuo mercenario e del tuo avventizio che soggiorneranno provvisoriamente accanto a te; e tutti i suoi prodotti saranno anche per il tuo bestiame e per gli animali selvatici che si trovano nella tua terra perché se ne cibino” (Levitico 25: 2-4).
E ancora:
“Al termine di ogni settennio concederai la remissione. Questa è la regola della remissione: ogni creditore rimetterà ciò che verrà prestato al suo prossimo; non costringerà al pagamento né il suo prossimo né il suo fratello poiché è stata proclamata remissione in onore del Signore” (Deuteronomio, 15: 1-2).
Non è possibile entrare qui in dettagli, ma è chiaro che il settimo anno la terra non veniva abbandonata: vi era una forma di pianificazione che faceva sì che i prodotti raccolti venissero poi equamente divisi tra ricchi e poveri.
Perché l’anno sabbatico?
Il significato di queste leggi è stato discusso dai Maestri: c’è chi vi ha voluto scorgere un sorta di contributo all’equilibrio ecologico; chi un ammonimento all’uomo per il suo eccessivo interventismo sulla natura; chi ancora un mezzo per educare l’uomo all’idea che sia la terra che tutti i mezzi di produzione non gli appartengono, ma gli sono dati temporaneamente in dotazione perché ne faccia buon uso; chi infine ha visto in questa norma un insegnamento al ricco affinché non domini il povero e riconosca l’intrinseca uguaglianza tra tutti gli uomini. Sono concetti che si ritrovano anche nell’interpretazione del sabato, ma che vengono qui amplificati per il fatto che si tratta di un “sabato della terra” che dura 354 giorni, tanti quanti sono i giorni dell’anno lunare.
Quali attività si addicono a un anno in cui si è completamente liberati dal lavoro agricolo? Scrive Izchak Aramà, filosofo e commentatore del 15° secolo, spagnolo morto a Napoli dopo la cacciata dalla Spagna nel 1492: “Le nostre menti avranno una possibilità di sollievo dall’oscurità in cui si trovano, grazie all’opportunità offerta dal riposo”. Il modo migliore per trascorrere l’anno sabbatico era quindi quello di dedicarsi allo studio: al termine di questo settimo anno, tutto il popolo veniva poi convocato in un’Assemblea pubblica, nel corso della quale il patto stipulato ai piedi del Monte Sinai veniva confermato e rinnovato (Deuteronomio 31).
Se il sabato ha la sua influenza soprattutto sulla vita dell’individuo e della famiglia, diversa è la funzione dell’anno sabbatico: “Ciò che il sabato ottiene nel suo impatto sull’individuo, la shemittà lo ottiene nel suo impatto sulla nazione intera. Un anno di solenne riposo essenziale sia per la nazione che per la terra, un anno di pace e di tranquillità, senza oppressore o tiranno (Rav Kuk in Shabbath Ha-aretz ).
L’applicazione completa e rigorosa dell’anno sabbatico incontrò notevoli difficoltà, specie per quanto concerne la remissione dei debiti. Con l’avvicinarsi dell’anno sabbatico nessuno correva il rischio di prestare denaro ai bisognosi, un fatto del resto previsto dalla Torà e contro il quale la Torà stessa metteva in guardia l’ebreo. La norma stabilita dalla Torà, che si proponeva di operare una sorta di riequilibrio sociale, veniva vanificata: infatti, eliminando il prestito, non si creavano neanche le condizioni perché potesse essere messa in pratica. Questo fatto costrinse Hillel (I° secolo) a emanare il Prosbòl, una disposizione che, interpretando in maniera diversa la norma, trasferiva il debito dalla persona che lo aveva contratto al Tribunale, che poteva sempre esigerlo e restituirlo al legittimo proprietario. Questo escamotage non deve far pensare che si tratti dell’ennesimo tentativo dei rabbini di snaturare la Torà. In realtà la cosa è assai più complessa. In sintesi si può dire che, in tempi di emergenza, piuttosto che abrogare la legge, i Maestri hanno preferito congelarla, in attesa di tempi migliori: superata la crisi di valori dell’uomo, Israele avrebbe avuto il dovere morale di applicare le norme nella loro completezza, senza compromessi. E’ chiaro, invece, che una volta che la legge fosse stata abrogata del tutto, sarebbe stato quasi impossibile ripristinarla. Quindi, per le generazioni successive ad Hillel, l’applicazione dell’anno sabbatico in tutto il suo rigore rimane un ideale da raggiungere, mentre il Prosbòl, “l’aggiramento” della norma, come sostiene il maestro Shemuel (III secolo) nel Talmud, è una “vergogna” che i giudici devono eliminare.
Tutto ciò ci sembra lontano dalla società di oggi, la cui economia è basata più che sulle attività agricole, su quelle industriali e commerciali. Non ho certo la pretesa di dare dei consigli di politica economica e sociale al Presidente del Consiglio, mi sembra tuttavia interessante fare alcune riflessioni su quella che potrebbe essere un’applicazione dell’idea che sta alla base dell’anno sabbatico.
L’Umanità ha adottato l’idea del riposo settimanale accettando, anche se solo parzialmente, l’idea del sabato ebraico, e oggi nessuno metterebbe in dubbio l’ormai acquisito diritto al riposo settimanale. Le norme relative alla shemittà hanno un campo di applicazione ristretta, che non può essere arbitrariamente ampliato. Tuttavia, nulla vieterebbe di lasciare alla contrattazione sindacale la possibilità di istituire l’anno sabbatico a determinate condizioni pattuite tra le parti.
Per rigenerare la società
La nostra società non ha ancora “scoperto” l’idea di anno sabbatico: paradossalmente, gli unici che godono dell’istituzione dell’anno sabbatico sono i professori universitari che sono le persone che, forse, ne avrebbero meno bisogno. Se l’uomo moderno, qualsiasi sia la sua attività, potesse usufruire di un anno sabbatico da dedicare a un completo recupero delle proprie energie spirituali e culturali, la società subirebbe un cambiamento radicale. L’impegno dell’uomo nel campo del lavoro troverebbe la sua giusta collocazione e non sarebbe l’unico punto di riferimento dell’attività umana. Questo potrebbe essere realizzato, operando una rotazione tra i lavoratori. Quello che oggi è un “privilegio” di cui godono i professori universitari, potrebbe divenire un diritto di ognuno: per esempio, basterebbe versare dei contributi previdenziali superiori e quindi avere uno stipendio leggermente inferiore. Ognuno sarebbe chiamato a fare un sacrificio, che potrebbe produrre un grande beneficio sia al singolo che alla collettività: infatti potrebbe godere periodicamente di un lungo periodo per rigenerarsi, arricchendosi di nuove esperienze culturali. In quest’ottica forse potrebbe essere rinviata anche l’età del pensionamento, che sappiamo quanto possa essere negativa per l’equilibrio della persona.
La realizzazione di questa idea non comporterebbe un numero di giornate lavorative inferiori a quelle dell’accordo raggiunto a suo tempo alla Wolkswagen: un giorno di lavoro in meno alla settimana, moltiplicato per le settimane contenute in sei anni, dà circa un anno di attività lavorativa. Tutti i lavoratori potrebbero così godere a rotazione dell’anno sabbatico.
Un altro risvolto positivo à poi il fatto che, introducendo l’anno sabbatico, potrebbe essere mantenuto il livello occupazionale, e assieme al problema della disoccupazione, verrebbero risolti i numerosi problemi di disadattamento, derivanti proprio dalla disoccupazione stessa.
Per accogliere il gran numero di “studenti” desiderosi di trovare una risposta alle proprie domande culturali, nascerebbero nuove libere strutture e potrebbe essere realizzato quanto diceva Rabbi El’azàr a nome di Rabbi Haninà nel Talmud: I sapienti moltiplicano la pace nel mondo, in quanto è scritto “tutti i tuoi figli sono studiosi del Signore”: non leggere “i tuoi figli (banàikh), ma i tuoi costruttori (bonàikh)”.
L’anno sabbatico fissa dei limiti allo sfruttamento della natura, stabilisce la necessità di una rigenerazione periodica per ogni uomo e il ristabilimento di un corretto rapporto di solidarietà con gli altri. L’idea della remissione dei debiti, secondo regole stabilite dalla legge, senza che venga strumentalizzata, creerebbe una situazione di equilibrio, con un cambio di passo, di cui la società ha periodicamente bisogno.
Un società fondata, nella prassi e nella teoria, sull’idea della shemittà, sarebbe una società costruita su fondamenta stabili.
Scialom Bahbout
Izchak Aramà (1420 – 1494). Noto con il nome di “Baal ha’akedà”. Vissuto nel periodo della Cacciata dalla Spagna. Nel corso della sua fuga dalla Spagna arrivò a Napoli dove morì. Il luogo della sua tomba non è noto. Ha scritto diversi commenti a libri biblici. Il più importante è il comento alla Torà noto come ‘Akedat Izchak. Vi sono molti elementi in comune tra il suo commento e quello di Don Izchak Abravanel. Dimostra di conoscere bene tutti i maggiori filosofi ebrei del Medioeveo (Rambam, Yehuda Halevi, Krescas, Albo ecc)