Dall’enigma dei sette giorni ai nomi di Dio, passando per la curiosità scientifica di Mosè: un rabbino svela come la tradizione ebraica legge la Genesi senza temere né la scienza, né le contraddizioni apparenti
La trascrizione, curata da Giulia Balzerani (che ha organizzato l’evento insieme a Tommaso Spinelli per Gli Scritti), della relazione tenuta dal Rav Riccardo Di Segni il 14 novembre 2013, nel corso della due giorni La Bibbia: un libro da “mangiare”, I edizione. Creazione: Genesi 1 e 2. Due capitoli capitali.
Inizio con un’affermazione rassicurante: la maggior difficoltà nel leggere i capitoli sulla Creazione sta nel fatto che lì si dice che la Creazione è avvenuta in sette giorni, quando la scienza ci dice che ci sono voluti milioni di anni. Un piccolo compromesso è quello che propongono i maestri quando dicono, usando il libro dei Salmi, che un giorno di Dio sono mille anni. Ecco, voglio rassicurarvi, non vale per me, l’ora in cui devo parlare non sarà moltiplicata per mille!
La parte che mi è stata assegnata necessita di qualche chiarimento preliminare: prima di tutto un ebreo si avvicina al testo consapevole del fatto che prendendo il testo della Bibbia in mano compie un fondamentale dovere religioso.
Studiare la Bibbia e specificamente studiare la prima parte della Bibbia chiamata Torah, la Torah scritta, è un compito e un dovere fondamentale. Quindi non c’è alcuna preclusione, nessuno ti dice: quello non lo devi leggere. Anzi lo devi leggere, accompagnando la lettura con tutti i commenti possibili e immaginabili. E se sei bravo e hai fatto uno studio efficace, devi dire anche qualcosa di nuovo: il vero studio è quello che porta a dire delle cose nuove.
Lo studio di queste pagine è un preciso dovere religioso che va compiuto tenendo conto della sacralità di queste pagine che non sono un qualsiasi testo banale, ma un testo fondamentale ispirato e come tale sacro. Il fatto che sia sacro non vuol dire che debba essere distaccato da noi, ma che noi dobbiamo rapportarci con questa sacralità con rispetto e sapendo che in quello che stiamo leggendo c’è qualcosa di molto importante e determinante per la nostra esistenza.
La lettura di questi capitoli oggi mette in crisi un qualsiasi lettore che non può fare a meno di cogliere un’infinità di contraddizioni, soprattutto quando si assume per valido ciò che viene asserito dalla scienza. Ma questa crisi è molto antica: non è una novità e vedere come nell’antichità si misuravano con questi problemi è importante anche oggi.
Un’altra premessa fondamentale è che lo studio di questi racconti deve essere fatta nella lingua originale perché solo così si possono cogliere le infinite sfumature che questa lingua nasconde. Anche la più pregevole delle traduzioni è già una interpretazione che vi darà un senso particolare di lettura, vi risolverà apparentemente dei problemi, ma in qualche modo avrà ridotto l’infinito a finito.
È quindi fondamentale leggere queste pagine dal testo originale. Vi faccio un primo esempio: la verità, il concetto di verità, la parola verità. In ebraico verità è emet (אמת; ‘mt): sono tre lettere, tre consonanti – le vocali non si scrivono in ebraico. Lo spirito razionalistico, pieno di dubbi, che coinvolge anche moltissimi membri della nostra comunità, fa sì che qualche volta mi sia stato detto che in Genesi non si parla di verità, non c’è il concetto di verità e in questi capitoli la parola verità non compare. Invece compare! E non è uno scherzo esegetico! Se prendiamo, infatti, l’inizio del racconto della creazione troviamo:
Bereshit bara’ elohim et hashamayim ve’et ha’aretz.
In principio il Signore creò il cielo e la terra
Questo versetto è costruito secondo la forma grammaticale dell’ebraico per cui viene prima il verbo, poi il soggetto e poi il complemento oggetto (Creò Dio il cielo e la terra). La verità dov’è? Se noi vediamo le prime tre parole bereshit bara’ elohim, le lettere finali di queste tre parole compongono la parola verità.
Potreste dirmi che è un caso, ma alla fine del racconto della Creazione, al capitolo 2, quando si ricorda che il Signore si riposò, si dice:
asher-bara’ Elohim la’asot
Che il Signore aveva creato il mondo perché si facesse. Ebbene le tre lettere finali di queste tre parole compongono nuovamente la parola verità. Verità all’inizio, verità alla fine: non è, a questo punto, un caso!
Quello che noi leggiamo come un racconto fondante, dietro ogni singola parola nasconde dei messaggi e ce ne sono un’infinità.
Quello che hanno fatto i critici della Bibbia è stato smontare l’unità dei racconti. Quello che si fa, invece, tradizionalmente, ma è stato poi ripreso dagli apologeti del nostro secolo, è quello di dimostrare che il testo è un cesello perfetto.
Ci sono parole chiave nel primo racconto di Creazione che ricorrono sette volte o multipli di sette: il numero sette è fondamentale nel racconto della Creazione. Il primo verso della Bibbia contiene sette parole e ventotto lettere (7 moltiplicato per 4).
Ci sono poi delle parole chiave che ritornano sette volte: questo fa parte della costruzione, è un unicum organico. Potete provare a smontarlo, ma quello è!
Un’ulteriore cosa, la critica biblica di oggi si basa sulle prime intuizioni di Spinoza, poi su tutta la tradizione protestante passata successivamente nelle università, forse nei seminari: su questa linea si ritiene chela Bibbia sia stata scritta da più autori e secondo le classificazioni, inizialmente un po’ rozze, ma via via sempre più sofisticate, la chiave per comprendere chi sono i diversi autori è il nome di Dio che compare nei diversi racconti, per cui si parla di tradizione elohista, oppure di una seconda tradizione che non posso pronunciare, a seconda del nome di Dio che compare.
A prima vista sembra la grande scoperta della critica biblica dal 1600 inavanti. Di fatto i primi versi di Genesi 2 hanno come protagonista del racconto che torna tante volte Elohim, nome di Dio. Quando si parla al racconto successivo che è un parallelo del primo racconto, il nome che compare è HaShem Elohim, il nome tetragrammato seguito da Elohim. Allora tanti dicono: questo è un brano elohistico, quello è un brano dell’altro redattore. Un ultimo redattore li ha messi insieme, ma appartengono a due tradizioni religiose differenti.
La tradizione esegetica ebraica di queste cose si era accorta qualche millennio prima e aveva elaborato una teoria a sfondo morale molto importante e cioè che il nome del Signore è anche un indicatore di funzione e di ruolo. Ogni volta che compare un nome differente nel racconto, e ci sono diversi nomi divini, ognuno di questi nomi rivela un attributo particolare di Dio che in quel momento sta agendo.
Secondo la teoria più comune della tradizione ebraica, si contrappongono nell’entità divina due attributi essenziali, uno è quello della giustizia e l’altro è quello della misericordia. Dimenticatevi le infamie marcionistiche sul Dio dell’amore che ha soppiantato il Dio della giustizia – penso che queste cose non si dovrebbero più insegnare.
Il Dio della creazione è contemporaneamente amore e giustizia come è sempre stato amore e giustizia. Sono due attributi che possono entrare in conflitto in qualche modo, o che devono essere armonizzati.
Rispetto a questi due attributi il termine Elohim indica il Dio della giustizia. Nel libro dell’Esodo Elohim diventerà anche sinonimo di giudice, il Dio della giustizia, laddove il nome tetragrammato, quello che noi non pronunciamo, è il nome del Dio dell’amore.
Allora perché il primo racconto presenta il Dio della giustizia e il secondo il Dio dell’amore, anzi quello dell’amore insieme a quello della giustizia? Perché, spiegano i rabbini, nella prima ipotesi della Creazione il mondo doveva essere basato sulla giustizia, ma poi il Creatore si rese conto che un mondo basato sulla sola giustizia non avrebbe potuto reggere, perchéla Creazione, con la sua fragilità, se si basa solo sulla giustizia si rompe, non regge e quindi il Signore, creando il mondo, affiancò all’attributo della giustizia, quello dell’amore.
Il mondo che nasce nel capitolo 2 è il mondo della giustizia e dell’amore uniti. Questo è un esempio importante, ma piccolo e limitato, di come delle domande che sono servite a scardinare la sacralità del testo biblico siano già state poste e risolte nell’antichità in altra maniera per riportare tutto nell’ambito della fede.
Questa opposizione tra nomi divini non si limita soltanto all’aspetto dell’amore e della giustizia. L’altra opposizione è tra universale e particolare. Elohim potremmo tradurlo come Dio nel senso che useremmo nel definire una persona a partire dal suo mestiere. Uno fa l’avvocato, uno il medico, uno fa Dio di mestiere, mentre l’altro nome, quello tetragrammato, indica la sua essenza.
Anche laddove in italiano è complicato si usa Dio o Signore, e anche voi avete tutta una elaborazione sull’argomento. Posso raccontarvi che a noi ebrei non piace affatto che venga pronunciato il nome di Dio. C’è una setta che si chiama testimoni di… E noi non pronunciamo nemmeno quel nome, al massimo diciamo testimoni di Genova, per evitare. Questa abitudine di pronunciare il Nome si è diffusa anche nel mondo cattolico e una volta che ho avuto occasione di avere un colloquio privato con Benedetto XVI gli ho parlato di questa questione e lui ha subito colto la mia domanda e ha risposto che questa è un’invasione dello storicismo protestante dentro il cattolicesimo che a queste cose un tempo stava molto attento.
E successivamente senza riprendere la protesta ebraica si è espresso per un corretto uso dei nomi divini nelle traduzioni e nella predicazione. Questo per dire che esistono dei canali di sensibilità comune. Elohim rappresenta il Dio universale, mentre il nome tetragrammato rappresenta più la specifica qualità o natura del Dio di Israele.
Un’altra opposizione fondamentale che dobbiamo tenere presente è quella tra il Dio che crea il mondo – il Dio che crea la natura – che sta nella parola Elohim e il Dio della storia che fa e mantiene le promesse. Questa duplicità ci guida nella comprensione di tante cose che si affacciano nel racconto biblico e in generale nella comprensione.
Una delle difficoltà che tutti affrontano è un problema filosofico antico, ma anche un problema di fede antico: è la questione di cosa fa Dio nel mondo, nella storia. Per un certo tipo di pensiero greco c’è un Dio che crea e poi si astrae dal mondo, quindi un Dio creatore e basta.
Il messaggio biblico invece non si limita a questo, Dio crea il mondo, ma poi interviene nella storia. I dieci comandamenti iniziano con Io sono il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto. Dio ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, interviene nella storia.
A questo punto è molto interessante vedere tutta la costruzione del primo capitolo, che non è solo il primo capitolo. Bisogna sapere che la Bibbiaè divisa in entità da grandi a piccole. Il piccolo nella divisione tradizionale ebraica sono i versetti, la divisione in versi fa parte della tradizione ebraica più antica. La divisione in capitoli è stata prodotta dalla esegesi cristiana. È stato un frate del XII-XIII secolo che ha diviso la Bibbia in capitoli[1], qualche volta dando loro un’unità funzionale precisa, altre volte no.
Infatti la divisione di Genesi tra primo e secondo capitolo non va bene, perché la fine della Creazione non è alla fine del sesto giorno, ma alla fine del settimo, cioè la Creazione finisce il sesto giorno, ma il secondo racconto comincia qualche versetto dopo l’inizio del secondo capitolo. Tenete presente dunque che questa divisione è una divisione fittizia fatta nel Medio Evo, che poi stranamente è una delle cose che l’Ebraismo ha recepito. Si dice che l’Ebraismo non ha mai accettato niente del Cristianesimo, invece questa cosa l’ha accolta!
La divisione tradizionale ebraica è in parashot, in brani, secondo due sistemi. Un sistema divide la Bibbia in 54 brani per poterne utilizzare uno a settimana nel corso dell’anno – perché noi completiamo liturgicamente la lettura di tutto il Pentateuco durante l’anno. C’è un altro sistema in cui si completava la lettura in tre anni e le divisioni erano quindi molto più piccole. La parentesi era importante per spiegare la successione dei vari testi.
Il racconto della Creazione è un racconto nel quale, come abbiamo detto, il sette è fondamentale perché è la divisione del tempo ed è la divisione non tanto del tempo di Dio, ma del nostro tempo e, quindi, l’istituzione dello Shabbat. Si potrebbe dire che l’intera storia della Creazione è funzionale alla istituzione del sabato e di qui deriva il dovere religioso per cui osservando il sabato il popolo ebraico diventa testimone della Creazione.
Soltanto testimone della Creazione? Il precetto del sabato compare diverse volte nella Torah e compare nei Dieci comandamenti di cui ci sono due versioni, una nel libro dell’Esodo e una nel Deuteronomio. Nella versione dell’Esodo 20 è scritto:
8Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. 9Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; 10ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. 11Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato.
Nella versione del Deuteronomio 5 devi osservare il sabato perché il Signore ti ha fatto uscire dall’Egitto:
12Osserva il giorno del sabato per santificarlo, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato. 13Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; 14ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. 15Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore, tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del sabato.
Il sabato come segno di libertà. Quando vediamo analisi critiche che vanno ad attaccare la Bibbia esse demoliscono costruzioni spirituali cariche di enormi valori che è veramente un peccato distruggere.
Riflettendo sul senso misterioso di questo brano, il segreto è capire che è misterioso, che non tutto si può risolvere con la lettura e la traduzione, che ci sono numerosissimi messaggi. La stessa parola iniziale, per chi sa un po’ di grammatica ebraica, noi la traduciamo “in principio”, ma è una traduzione approssimativa perché c’è una costruzione grammaticale dell’ebraico in cui alcune parole vengono modificate per indicare il genitivo, il possesso.
Invece di dire: “il libro è di…”, si modifica la parola libro in modo da indicare che il libro è di qualcuno. La parola bereshit non significa in principio, grammaticalmente, ma in principio di… Come se fosse una frase che rimane in sospeso. La tradizione esegetica dice che va intesa come se fosse una parola tra virgolette: Con ciò che è chiamato “principio di”, il Signore creò il cielo e la terra. Potremmo dire anche: usando ciò che è chiamato “principio di”, il Signore creò. E che cosa è il “principio di”?
Si citano allora altri brani della Bibbia in cui compare la parola reshit e una di queste è la Torah stessa, come a dire che con la Torah che è principio di tutto, Dio ha creato il cielo e la terra.La Torah, l’insegnamento divino, è il modello su cui è costruito l’universo.
Un’altra possibilità è quella che questo inizio sia la Sapienza, Hokhmàh. Il Salmo dice: principio della sapienza è il timore di Dio. Questa è la chiave con cui noi ci avviciniamo alla scienza, la chiave è quella del timore di Dio che ci deve far capire i nostri limiti e anche le nostre grandezze. Dio ha quindi creato il mondo usando la Sapienza. Banalmente si potrebbe interpretare come Dio ha creato il mondo in maniera sapiente e saggia, in modi più sofisticati significa che questa Sapienza rappresenta una sorta di ipostasi divina, una realtà divina particolare che discende da Dio e che Dio usa come strumento perla Creazione.
Vedete le complessità! Poi ci divertiamo ad approfondire lo studio di tutta una serie di difficoltà. La prima cosa che viene creata è la luce, dopodiché successivamente, ma non lo stesso giorno, compaiono gli astri, il sole, la luna. Ma la luce allora da dove veniva? Da una lampadina elettrica? Un bel problema che una serie di dottrine hanno cercato di indagare. Secondo alcuni esiste una luce primordiale della creazione, una energia primordiale che è nascosta. La luce che noi conosciamo e vediamo è un’altra cosa, una piccola rappresentante, ma questa luce primordiale della creazione noi la dovremo recuperare.
Poi c’è tutta una dottrina sulle tre rivolte: leggendo attentamente il racconto si scopre che il progetto originario salta tre volte. Sulla creazione degli astri si dice che Dio creò il sole e la luna chiamandoli i due luminari. Sembrano di pari dignità, poi subito dopo viene detto: quello grande e quello piccolo, quello grande è il sole che serve ad illuminare il giorno, quello piccolo la luna. Che cosa è successo? C’è stata una rivolta nella creazione, sole e luna volevano governare insieme la creazione e il Padre eterno ha detto: “Non si può!” e dice alla luna: “Riduci te stessa!” e la luna si è dovuta contrarre. Certo questo è il racconto banalizzato, dietro c’è tutta una simbologia impressionante.
Un’altra rivolta rispetto al progetto originario si verifica quando si parla della creazione degli alberi e si dice all’inizio: un albero da frutta, poi si dice un albero “che fa” la frutta. Perché questa differenza? Anche qui l’esegesi ebraica dice che nel progetto originario, prima del peccato, l’intero albero era commestibile, dopo è diventato commestibile soltanto il frutto.
E poi la creazione dell’uomo e della donna, nel primo racconto sono uguali, nel secondo sapete cosa succede. Anche qui un cambio forse di progetto.
Qualche piccolo spunto su un argomento che sicuramente sarà anche oggetto delle successive riflessioni. Dal punto di vista della geologia, della cosmogonia, sapete che la scienza contraddice la lettura piana del racconto. Così come la creazione degli esseri viventi sembra contraddetta notevolmente dalla teoria evoluzionistica. Abbiamo due grandi sistemi di conflitto scientifico con il racconto della Bibbia. Io non posso far altro che rimandare la vostra attenzione, se siete curiosi di sapere cosa ha detto l’ebraismo su questi argomenti, ai testi di un mio omonimo, un illustre collega rabbino, un biologo, che si chiama Gianfranco Di Segni che ha scritto due articoli fondamentali, uno su: La teoria dell’evoluzione e l’ebraismo, in «La Rassegna Mensile di Israel», LXXIV, 2008, e un altro sulla teoria copernicana dal titolo «Rabbi Galileo» a Copernico «primogenito del Satan»: le diverse reazioni del mondo ebraico alla rivoluzione copernicana, ibidem, LXXVII, 2010.
La lettura del testo biblico è in opposizione con le teorie scientifiche e rispetto a questa difficoltà ci sono vari modi di reagire. Nell’ebraismo, non lo posso negare, esiste anche la lettura fondamentalista, nel senso che alcuni affermano che quello che è scritto nella Bibbia è vero e tutto il resto è menzogna, apparenza, teoria che passerà, come è passata la dottrina dei quattro elementi. Ci sono persone che nel mondo ebraico la pensano così, anche oggi.
Accanto a questi esistono molti ebrei osservanti, molto osservanti e fedeli alla tradizione, che ritengono che non ci debba essere alcuna contraddizione tra scienza e fede: ognuno deve occuparsi del suo campo e quando si crea conflitto bisogna trovare il modo di risolverlo. Continuamente si fanno ricerche su fonti antiche e ci sono dei midrāshim, antiche esegesi, secondo le quali quando Dio ha creato il mondo ha fatto vari tentativi, creava mondi e li distruggeva, fino a che è arrivato alla creazione del mondo che conosciamo.
Non è assolutamente indispensabile pensare che i giorni della creazione siano stati sette, secondo la nostra misurazione. Si dice nel testo: e fu sera e fu mattina. Ma come si misuravano la sera e la mattina se ancora non c’era il sole? Si può presentare tutto con una esegesi completamente differente. Su questo c’è un’abbondante letteratura.
Sull’evoluzione, un tema che sembra nascere con Darwin in maniera assolutamente antitetica alla tradizione, ci sono stati tanti sforzi esegetici. Nessuno si sente in crisi e soffre per questo, l’evoluzione potrebbe in qualche modo essere contestata scientificamente, ma quello che conta è pensare che l’idea che il mondo cambi in continuazione non è un’idea assurda religiosamente, ma anzi profondamente religiosa. Se il mondo cambia continuamente perché Dio agisce per migliorarlo, allora vuol dire che Dio è presente in ogni momento.
C’è una differenza tra la rivoluzione copernicana che ha messo in crisi le fede – conoscete la storia di Galileo – e quello che succede oggi. La crisi che le discordanze con la scienza del tempo di Galilei possono creare è una crisi superabile. Mentre una volta l’uomo che si riteneva al centro dell’universo entrava profondamente in crisi, oggi non ha difficoltà a essere collocato in un angolo.
Rispetto alla rivoluzione copernicana, la teoria dell’evoluzione è molto più radicale nelle sue minacce teologiche, perché affida tutto il meccanismo alla casualità. Se c’è pura casualità, allora la Provvidenza dov’è? Dov’è l’azione di Dio nel mondo? Una lettura superficiale, o approfondita come quella di Jacques Monod ne Il caso e la necessità non lascia spazio per Dio in questo progetto.
È un problema dibattuto già nel Medio Evo, dai nostri maestri. Penso al filosofo Maimonide che era aristotelico di base, ma quando si trattava dei principi di fede doveva fare degli adattamenti. Come aristotelico lui ammetteva che esistesse il caso, però il caso esisteva per tutto il creato, tranne che per l’uomo.
Il fatto che ci sia un incendio, che si verifichi un’alluvione, che muoiano animali, tutto ciò che riguarda piante, il creato, fino a che non riguarda l’uomo siamo nel caso, nel succedersi di eventi incontrollabili, ma quando si entra nella sfera umana, là entra il tema della provvidenza divina che controlla.
Maimonide ammetteva, almeno per certe cose, la presenza del caso. Dal punto di vista religioso la necessità opposta al caso può essere un principio religioso fondamentale, perché chi è che ha deciso ciò che è necessario? Ho banalizzato al massimo questi concetti.
Un’ultima cosa: cosa hanno in comune fede e scienza? Sono campi separati che per alcuni versi possono andare insieme. C’è una cosa che ci viene insegnata dal libro dell’Esodo: Mosè scappato in Madian pascolava le pecore del gregge del suocero e a un certo punto vede uno spettacolo naturale insolito, un roveto che brucia. Mosè vuole avvicinarsi per vedere questo grande spettacolo, arriva e ascolta la voce di Dio che gli si rivela. Cosa è che ha spinto Mosè al roveto? Un afflato spirituale? No, l’ha spinto il motore fondamentale della scienza: la curiosità. La scienza è curiosità, è voler capire cosa abbiamo intorno, vedere un fenomeno e volerlo interpretare. Questo racconto ci fa dire che Dio usa la curiosità dell’uomo per portare la libertà nel mondo, per rivelarsi agli uomini. La curiosità è il trait d’union tra scienza e fede
