Dalla nuova edizione di: Gaia Piperno – Deborah Cohenca, Mangio Kashèr
Paolo Pozzi – Veterinario
Da migliaia d’anni la shechità regola, in modo minuzioso, l’uccisione degli animali destinati all’alimentazione kashèr. La shechità è a sua volta inquadrata in un sistema di regole o, se volete, in una “catena” di attività che parte dalla scelta dell’animale (cosa è permesso e cosa è proibito), continua con la verifica della sua sanità e integrità prima della shechità stessa; continua ancora con un’accurata ispezione (bedikà o “ispezione – controllo”) delle carni dopo la shechità; la loro pulitura (nikkùr) dalle parti non ammesse al consumo (alcuni tipi di grasso e di organi; nervo sciatico, ecc.); termina con la loro lavatura e salatura allo scopo di eliminare la maggior quantità possibile di sangue.
L’importanza della shechità
Laddove esistono Comunità ebraiche nel mondo, queste si organizzano per poter produrre carne kashèr tramite la shechità. La shechità è talmente fondamentale nel mantenimento dell’identità ebraica del singolo, della famiglia e della Comunità, che dove non la si possa praticare, non si esita a importare carne kashèr e, dove mancasse lo shochèt, non si esita egualmente a far venire questo operatore da altre Comunità o da Israele stesso, come avviene oggi a Milano. Ma non tutti i paesi dove troviamo Comunità ebraiche permettono la shechità: vediamo il perché.
La legislazione civile
Limitando il nostro discorso ai paesi occidentali e in particolare ai paesi europei (comunitari e non), bisogna comprendere, come premessa, che la macellazione degli animali è strettamente regolata dalla legge (specifica per i vari paesi e/o dell’Europa comunitaria). La legislazione “civile” ha come compito principale di garantire la sanità delle carni per il consumatore e oltre a questo di assicurare agli animali da macello una morte il più rapida e più indolore possibile. La cultura non ebraica ha elaborato e reso operativo il concetto di “evitare inutili sofferenze” attraverso un processo tecnico chiamato “stordimento” dell’animale.
In pratica, prima che l’animale venga ucciso, esso viene “stordito” in modo da non accusare dolore al successivo momento dell’uccisione vera e propria (in ogni caso tramite il taglio dei grossi vasi sanguigni del collo). Lo “stordimento” può essere praticato, per legge, nei seguenti modi:
• Tramite una scarica di corrente elettrica;
• Con l’inalazione di CO2 attraverso il passaggio in un “tunnel” a elevata concentrazione di CO2;
• Lo sparo di un proiettile particolare sulla fronte dell’animale.
Tali pratiche, secondo la legge, assicurano uno stato di incoscienza all’animale durante la recisione dei vasi sanguigni del collo, ma sono in contrasto con le regole della shechità, che deve essere l’unica causa di morte dell’animale.
La macellazione rituale
In parecchi paesi, europei e non, le varie legislazioni nazionali hanno recepito il concetto di “macellazione rituale” (prevalentemente ebraica e islamica) permettendo tale tipo di macellazione senza stordimento e come “deroga” alla legi-slazione comune, riconoscendone un valore sia di tipo culturale (come poi vedremo), sia sostanzialmente in linea con il concetto di “evitare inutili sofferenze” all’animale.
Ma com’è possibile che la shechità risponda al requisito di “evitare inutili sofferenze” anche senza lo “stordimento”? Per rispondere a questa domanda bisogna riflettere su un paio di concetti di fisiologia e di anatomia.
Come la shechità evita sofferenze inutili?
La sensazione del dolore è “elaborata” dal sistema nervoso centrale (il cervello): l’informazione relativa a un danno subito risale le fibre nervose e una volta giunta al cervello viene recepita come “dolore”.
Il cervello è un organo estremamente delicato, che per la sua funzionalità necessita di una grande quantità di zuccheri e di ossigeno, quest’ultimo assicurato da una massiccia irrorazione ematica sostenuta da due grosse arterie che origi-nano quasi direttamente dal cuore sinistro, ciò per assicurare il massimo tenore in ossigeno e la giusta pressione per spingere il sangue “in avanti” e “in alto”: le carotidi.
L’arresto della circolazione carotidea provoca un pressoché istantaneo blocco dell’afflusso di sangue e quindi di ossigeno al cervello. Il cervello ne risente in tempo reale, entrando pressoché immediatamente in uno stato di incoscienza. Se il blocco permane, dall’incoscienza si scivola nella morte. La shechità comporta la contemporanea recisione delle carotidi e delle giugulari (che riportano il sangue dal cervello al cuore), oltre che, incidentalmente, anche della trachea e dell’esofago. Ciò è assicurato da tre particolarità tecniche: lunghezza e altezza della lama del coltello, calcolate in modo da recidere contemporaneamente carotidi e giugulari; ed estrema affilatura della lama per facilitare il taglio.
Durante la shechità avviene dunque che, con un unico gesto, le carotidi siano recise, l’afflusso di sangue al cervello venga a mancare e l’animale entri in uno stato di incoscienza pressoché istantanea. In questa situazione la percezione del dolore, dovuta al taglio stesso, di fatto scompare e l’animale risulta insensibile.
La continua perdita di sangue dal taglio comporterà la morte per dissanguamento, come comunque avviene anche per la macellazione non ebraica e dopo lo stordimento.
Il divieto di shechità
In alcuni paesi europei (Svizzera, Svezia, Norvegia, Islanda, Liechtenstein) vige una legislazione che vieta le macellazioni senza stordimento e quindi anche la shechità. Vuol dire che non viene riconosciuto che la shechità, come sopra descritta, effettivamente non induca “inutili sofferenze” all’animale. Va sottolineato che si tratta di legislazioni relativamente vecchie (in alcuni casi risalenti a fine ‘800) o risalenti ad anni “sospetti” (anni ’30, periodo delle persecuzioni razziali) e rielaborate, che non possono non far pensare a ben altre misure restrittive e discriminatorie (basti pensare come tra i primissimi atti legislativi della Germania nazista ci fu l’abolizione della shechità già nel 1933 e come, con i nazisti sull’uscio di casa, il parlamento polacco nell’agosto 1939 si baloccasse legiferando sull’abolizione della shechità in Polonia!)
D’altra parte va sottolineata la mancanza di studi scientifici volti a verificare la maggiore o minore “sofferenza” dell’animale macellato con stordimento o senza stordimento ma con shechità. Questa materia, quindi, è estremamente controversa e manca di un preciso punto di riferimento su cosa sia “doloroso” o “non doloroso” o, addirittura, “più doloroso” o “meno doloroso”! Pur in assenza di precisi parametri di riferimento, assistiamo oggi a nuove prese di posizione contrarie alle “macellazioni senza stordimento”.
A ciò hanno contribuito due fattori, ben distinti: il progressivo estendersi della macellazione islamica (tecnicamente assai meno rigorosa della shechità) che ha reso “più evidente” questo tipo di macellazione; e una certa volontà politica di accomunare e unificare in un tutt’uno shechità e macellazione islamica, senza cognizione di causa e spesso senza alcun background tecnico. Il più delle volte senza aver mai assistito ad una shechità, visto che questa si svolge solo a Milano e a Roma, per un paio di giorni a settimana.
Legge e politica
Il sospetto di un coinvolgimento politico nasce dal fatto che, periodicamente, siano formazioni politiche d’estrema sinistra, d’estrema destra o leghiste a sollevare il problema. Ciò peraltro avviene senza che ci sia alcun commento o azione rilevante riguardo alle condizioni d’allevamento e di trasporto degli animali (ovvero i settori economicamente importanti, che provocherebbero un’immediata levata di scudi e rapidi riorientamenti politici), oppure dimostrando ampia tolleranza verso le cosiddette “macellazioni rurali” comunemente praticate in campagna su polli, tacchini, conigli, maiali, agnelli e capretti e, in casi particolari, asini e cavalli. Queste “macellazioni rurali” infatti, in termini di animali macellati, superano certamente di gran lunga le scarse esigenze della shechità italiana, europea e, forse, addirittura mondiale.
Relativamente alla shechità dobbiamo ritenere e far valere alcuni concetti fondamentali:
• Fa parte del nostro retaggio culturale plurimillenario e della nostra libertà reli-giosa.
• È “filosoficamente” e tecnicamente realizzata in modo da non causare sofferenza all’animale.
• Obbiettivamente non è stato dimostrato che sia causa di una “maggior sofferenza” rispetto alle macellazioni non ebraiche.
• Obbiettivamente non è stato dimostrato che sia causa di “particolare sofferenza” nell’animale; ciò in considerazione della rapidità dell’operazione e della complessità dei meccanismi fisiologici ed anatomici coinvolti.
• Gli attacchi alla shechità, guarda caso, si sono dimostrati particolarmente virulenti in determinate e tristi epoche e/o da determinati e tristi figuri politici.
Sta a noi difendere le nostre ragioni e dimostrare la correttezza delle nostre azioni.
Paolo Pozzi – Veterinario