Anniversario dell’enciclica Pacem in terris
Innanzi tutto voglio ringraziare l’amico Maurizio Gallo per la splendida idea di organizzare questo incontro in occasione dell’anniversario dell’enciclica Pacem in terris e di avermi invitato a parlare: parlare del Papa Giovanni XXIII e di ciò che ha fatto, è per me un onore. Sono qui con voi in virtù del fatto che sono presidente del CIRS, Centro internazionale di Ricerca sistemica: ci stiamo occupando del dialogo tra le religioni monoteiste e abbiamo organizzato un primo convegno alla Moschea di Roma per la difesa dei luoghi di preghiera, Al patriarca Abramo fu affidata la missione di essere benedizione per tutte le famiglie e non c’è benedizione se non c’è pace tra le famiglie. Questo obiettivo per essere realizzato ha bisogno della partecipazione e dell’azione di ogni uomo: più avanti dirò quale può essere il sistema per cercare di realizzare questo progetto. La domanda che dobbiamo porci è quale sia l’azione che possiamo e dobbiamo intraprendere assieme.
Intanto vorrei richiamare la vostra attenzione a quale è stato il percorso che ha permesso il cambiamento dei rapporti tra la Chiesa e il popolo ebraico, percorso che può essere assunto da tutti come modello. Vediamo come si è arrivato al risultato del dialogo tra la Chiesa e il popolo ebraico.
Jules Isaac, autore del libro Gesù Israele e di altri importanti volumi, ebbe un breve incontro con Papa Pio XII (16 Ottobre 1949!) che non ebbe alcun seguito. Fu solo il 13 giugno del 1960, grazie all’amicizia comune con Maria Vingiani] – fondatrice del Segretariato attività ecumeniche – che ottenne una storica udienza privata da Papa Giovanni XXIII che avrà profonda influenza nella redazione della Nostra aetate approvata nel 1965 dal Concilio Vaticano II, che raccoglieva un’idea originaria di Papa Giovanni XXIII: egli in realtà voleva che il Concilio approvasse uno documento specifico Tractatus de iudaeis che aveva un senso proprio per i rapporti storici e problematici tra la Chiesa e il popolo ebraico. Il documento Nostra aetate fu in un certo senso una sorta di compromesso rispetto a quanto pensato dal Papa.
Giovanni XXIII arrivò a queste conclusioni in seguito a una serie di atteggiamenti che aveva assunto in passato: il salvataggio di ebrei che si rivolgevano a lui quando era Nunzio a Istanbul, e scappavano per salvarsi dalle persecuzioni in Europa. Veramente significativo fu il fatto che in un Venerdì Santo fece fermare davanti alla Sinagoga di Roma la macchina sulla quale si trovava per dare la sua benedizione agli ebrei romani.
Non è un caso che il suo nome fu fatto anche per essere iscritto nella sezione dedicata ai Giusti delle Nazioni nel Museo Yad vashem. Yizchak Herzog, attuale presidente dello Stato d’Israele, all’epoca segretario del Partito Laburista, era favorevole alla sua iscrizione nell’Albo dei Giusti, ma che non fu approvata in quanto gli esperti ritenevano che il suo comportamento non aveva comportato rischi alla sua persona. In realtà sappiano che quanto stava accadendo a Istanbul era ben noto e avrebbe potuto causare un richiamo dal Vaticano: la cosa andrebbe analizzata più a fondo, e questo non perché Papa Giovanni XXIII abbia bisogno di questo riconoscimento, ma perché sarebbe un segnale che potrebbe dare oggi a chi non ha fatto altrettanto ieri e chi forse dovrebbe oggi agire per aiutare i più deboli e perseguitati. Insomma mi azzardo a dire che se nel 1939 in Vaticano ci fosse stato Papa Giovanni XXIII, forse la Guerra e il progetto nazista di eliminazione del popolo ebraico avrebbe potuto avere un’altra storia. Purtroppo la storia non si fa con i se…
Sappiamo che anche una semplice frase può cambiare la storia: ricordo a tutti l’effetto che fece la famosa frase detta dal Papa che invitava i genitori a dare una carezza ai propri figli e che gliela mandava il Papa. La personalità di Giovanni XXIII contribuì anche a evitare il confronto nucleare per la Crisi di Cuba, cosa che può essere di esempio anche oggi, e questo giustifica ancor più l’organizzazione di questo incontro.
Insomma Papa Giovanni ha aperto una nuova pagina di storia e sta a tutti noi di seguire il suo esempio: sono necessarie persone che hanno una visione più alta cui ispirarsi per cambiare la società. L’enciclica è un documento estremamente composito che tratta molti problemi, dove il raggiungimento della convivenza si interseca con la ricerca della verità, della giustizia, dell’amore e della libertà, per operare con solidarietà: l’enciclica dà delle indicazioni perché gli uomini cerchino equilibrio tra le popolazioni, e assicurino diritti ai profughi e agli emigranti.
Comunque l’effetto diretto più importante è stato l’apertura del dialogo con le altre religioni e naturalmente con l’Ebraismo che ha portato poi alle dichiarazioni e alle visite e ali incontri tra i Papi che sono succeduti a Giovanni XXIII e rabbini di tutto il mondo.
La domanda che dobbiamo porci è quale sia la strategia più opportuna per far sì che l’uomo si orienti in maniera più determinata verso la pace. Penso che per questo e per altri problemi, il nostro riferimento debba essere la Bibbia.
Il brano che possiamo prendere come riferimento è il verso 34:15 dei Salmi:
Allontanati dal male e fai il bene, cerca la pace e inseguila.
Rispetto agli altri precetti quello della pace gode di una specificità che la rende diversa dalle altre. Infatti non basta fare delle dichiarazioni, ma è essenziale fare continuamente qualcosa. Questo vale sempre, ma è più importante per la Pace che sembra qualcosa di astratto e possiamo prendere l’esempio dalla beneficienza: per cambiare il carattere si una persona non è sufficiente fare una donazione una tantum, ma piuttosto una piccola donazione tutti i giorni. La ripetitività di un atto cambia la persona: così come non si diventa campioni di velocità se non ci sia allena giornalmente e intensamente, non si diventa generosi con una donazione all’anno. L’Ebraismo ha dato a questo tipo di educazione una priorità assoluta: un atto deve diventare naturale, così come la risposta a un tiro di tennis per essere efficace deve essere automatica e immediata. Penso che tutte le religioni (e non solo!) dovrebbero coalizzarsi per studiare quali sono le azioni che fatte ripetutamente possono influenzare l’uomo – ogni uomo – a non usare violenza a cercare di risolvere i problemi con il dialogo, Non basta desiderare la pace ma bisogna inseguirla in qualsiasi posto essa si trovi: bisogna praticarla
Ognuno pensa che la pace sia un obiettivo che deve essere perseguito dai capi politici, ma i capi sono espressione delle persone che vivono in un paese e in un certo tempo e quindi il loro carattere rispecchierà quello della maggior parte degli abitanti di un paese.
Se si vuole cambiare veramente l’uomo e far si che abbandoni l’uso della violenza e che non pensi a creare armi sempre più potenti, è necessario pensare a quali sono le azioni che noi riteniamo possano contribuire a cambiare il carattere violento: dobbiamo includerle in un percorso educativo e questo potrà dare i suoi frutti nel tempo. Sarebbe necessario creare una commissione formata da membri di vari paesi e religioni ecc che studino il problema e propongano dei percorsi educativi: per ottenere risultati sarà necessario investire molte energie molto tempo, ma sono certo che i risultati potranno esserci solo se tutti collaboreranno in armonia.
Il nostro punto di riferimento rimane sempre la Bibbia: gli episodi che vi sono narrati hanno lo scopo di insegnarci che la violenza non serve a risolvere i problemi: tutti gli episodi narrati nella Genesi rappresentano le controversie tra fratelli (Caino e Abele, Isacco e Ismaele, Giacobbe e Esaù, Giuseppe e i fratelli ecc). Solo la consapevolezza che siamo al servizio di un progetto che si propone di cambiare il Mondo, dove ognuno ha una missione – funzione da svolgere porterà i fratelli alla concordia come racconta la Genesi alla fine della storia di Giuseppe.
Scialom Bahbout