Marco Sed
Le recenti vicende relative alla kashrut romana mi inquietano non poco. È inutile prenderci in giro siamo arrivati alla resa dei conti. C’è chi ha avuto il coraggio di spaccare la kashrut di Roma. E se guardiamo in giro per il mondo il passo successivo sarà quello di creare un Bet Din diverso da quello di Roma e svolgere servizi paralleli a quelli comunitari come già ampiamente promesso via web.
Che ne sarà di Roma e delle nostre tradizioni? Ho la sensazione che qualcuno avalli questa spaccatura e che in modo molto latente giri il coltello nella piaga tentando di allargare sempre di più la spaccatura.
Ho il sentore che una parte del mondo ebraico che vive a Roma, che fino ad ora aveva lavorato per una kehillà unita, si sia rigirato, e che, anche in modo molto subdolo stia spingendo verso la divisione. Cosa ancora più grave che anche chi doveva appartenere ai fedelissimi di “piazza“ credo stia lavorando per la spaccatura, in nome di un perbenismo e assistenzialismo demagogo e populista.
Gli “am haaretz”, la gente comune, non vede oltre il loro naso o la loro tasca, vivono iom iom pensando che tanto domani ci sarà qualche altro che gli farà “sfangare la giornata”. E vanno dietro, dietro ai vari benefattori di turno. Mentre chi dovrebbe avere più cervello lo sta usando per altri scopi magari personali.
Ma le cose non dovrebbero andare così. Veniamo da scelte difficili e coraggiose nel modo del kasher, ma doverose. Siamo riusciti a togliere il quarto posteriore, suscitando malcontenti tra la gente , e voilà chi crea la kasherut alternativa, è pronto a reinserirlo , puro populismo! Abbiamo tolto l’uso della farina nelle abitazioni private durante Pesach, ma di sicuro ce la riproporranno. Abbiamo, con molta fatica, reso kasher il 90% dei banchetti della Comunità, sostenendo i costi necessari, e c’è chi è pronto ad offrire lo stesso servizio gratis incurante di un masghiach che lavora due giorni senza sosta e fino a tardi.
E chi farà i controlli di kashrut promessi gratis? Di cosa vivranno questi masghichim?
Si promettono lauti stipendi, che derivano da donazioni private. È kashèr questo? Giudicate voi. Questo attacco al sistema mi mette paura.
Ma la colpa è solo nostra. Abbiamo investito troppo poco nelle risorse della kashrut. Non abbiamo formato personale, abbiamo messo quattro masghichim, che avevano avuto difficoltà economiche nella vita, a fare i controlli, forti solo della esperienza acquisita durante qualche servizio svolto insieme a qualche masghiach più esperto che aveva avuto l’onore di studiare con Rav Y. Khachlon z.l.
I punti vendita kashèr sono aumentati notevolmente, e cosa abbiamo fatto? Abbiamo tassato in modo induttivo le aziende per il rilascio delle teudot, senza omogeneità alcuna, a seconda se il punto kashèr “lavora di più o di meno” e se chi lo gestisce è benestante oppure no. C’è chi la teudà la paga di meno e chi di più, ci sono posti che pagano cifre esorbitanti che non stanno né in cielo e né in terra e questo solo perché tanto “lavorano molto e se lo possono permettere”!
Il risultato? Operatori kashèr privati che godono di benefici, in nome di una protezione acquisita per partito preso. Macellerie vessate dal contributo sulla carne, spesso eluso, a causa di mancanza di controlli reali. Aziende produttrici di prodotti kasher che a causa di mancanza di personale e competenza, si sono rivolte ad altre organizzazione di kashrut per certificare i propri prodotti (OU e Star K, ovviamente sto parlando di me stesso) ma (e me ne vanto!) non ho mai tirato pugnalate dietro la schiena alla CER, mantenendo il suo simbolo sui prodotti.
Ma ci siamo impazziti? È mai possibile che non si riesce a distinguere chi fa le cose per far crescere l’ambiente e chi lo fa solo per scopi personali?
Vogliamo parlare di shechità? Dipendiamo da saccenti shochatim provenienti da Israele, falliti in patria ma gheonim a casa nostra. Il morè Nello z”l diceva , “In terra di ciechi, beato chi c’ha un occhio!”.
Non riusciamo a investire sul futuro, guardiamo solo davanti il nostro naso e mai a ciò che sarà domani. Ma forse è più facile difendere l’amico dell’amico, magari amico di famiglia, o appartenente allo stesso gruppo. Che aspettiamo? Non abbiamo soldi per investire? Troviamoli! Ma diventiamo grandi e forti. Forse è giunto il momento di dare a Rav Di Segni carta bianca vera, appoggiarlo nelle decisioni difficili ed impopolari, farlo coadiuvare da Rabbanim forti, e non spostare le pedine della scacchiera massacrando di lavoro chi resta.
Rav Funaro è andato in pensione, Rav Ascoli è tornato in Israele, un altro Rav (non faccio il nome di proposito) , è stato fatto bersaglio di chi sta tentando di spaccare il Bet Din, con attacchi violenti, sia fisici che mediatici. Il Bet Din ha il fianco debole, è sotto attacco, e chi mandiamo in guerra? Con chi ci difendiamo?
A Roma se certifica kasher un prodotto Rav Benedetto XVI, sommo pontefice, lo mangiano tutti, figurati se esce un hechsher fatto da tre “rabbinunculi” assoldati da mercenari privati. Come diceva un vecchio slogan “diffidate dalle imitazioni”.
Io alzerei il tiro, mettiamo i paletti, alziamo il muro, chi sbaglia paga e paga per sempre. Stringiamo la cinta, chi usa un prodotto o un servizio non riconosciuto dalla CER, deve essere estromesso da tutto per sempre. Le altre Comunità del mondo difendono i loro prodotti, e lo fanno con i denti. Prova a vendere un prodotto a Londra, se non hai l’hechsher LBD (London bet din), neanche ti fanno scendere dall’aereo. Per non parlare degli USA, senza OU, Star k, OK, o KOF -k non vai da nessuna parte.
A Roma chiunque viene detta legge! Roma non deve più essere terra di nessuno. Chi viene rilascia certificazioni. Basta! La tradizione romana non è seconda a nessuno. Smettiamola di farci ammaliare dalla prima barba lunga e cappellone che gira per Roma. Girano molti bluff, tutti a cercar fortuna presso la vigna dei…
“Al tifrosh min hatzibbur – non ti allontanare dalla tua gente” Masechet Avot
Marco Sed Yotvata – Ristoratore e produttore di formaggi