Polemiche fra rabbini atto II, ovvero: gli ebrei del Kippur e gli ebrei dello shabbat
Gianfranco Di Segni
Quest’anno Kippur capita di Shabbat. Non è un evento raro: in media, succede ogni tre anni. La stranezza è che anche l’anno prossimo Kippur capiterà di Shabbat; e saltando il 2012, ci sarà poi un’altra doppietta di Kippur/Shabbat nel 2013 e 2014. Quest’assembramento inusuale di Kippur coincidente con Shabbat, 4 volte in 5 anni, si ripeterà (con il calendario attualmente in uso) solo fra vent’anni, dal 2034 al 2038, mentre per almeno 64 anni prima di quest’anno non si è mai verificato (indietro non sono andato; chi è curioso di controllare, mi contatti e gli spiego un modo pratico e facile per farlo).
Tale fenomeno (che ricorda in un certo senso la vicinanza dei numeri primi – i cosiddetti “gemelli” –, che ha fatto la fortuna del romanzo di Paolo Giordano, “La solitudine dei numeri primi”) è dovuto al fatto che nel calendario ebraico bisogna rispettare determinati requisiti: i principali sono che i mesi possono essere di 29 o 30 giorni, né di più né di meno; Kippur non può capitare attaccato a Shabbat, ossia né di venerdì né di domenica (altrimenti si hanno due giorni consecutivi in cui non si può cucinare); e Hosha’anà Rabbà non può capitare mai di Shabbat (perché altrimenti non si potrebbero portare le ‘aravòt – i rami di salice – al tempio; quest’anno a Roma abbiamo avuto la rivolta per le ciambellette, figuratevi cosa succederebbe se il Bet Din decretasse che un certo anno, siccome Hosha’annà Rabbà capita di sabato, non si possono portare le ‘aravòt al tempio!). Per assicurarsi quindi che tali requisiti siano messi in atto, il calendario ebraico prevede due mesi che possono avere o 29 o 30 giorni, a seconda degli anni, e in questo modo si riesce ad aggiustare il calendario opportunamente.
Il calendario così strutturato fu stabilito da Hillel II nel quarto secolo, in base a calcoli astronomico-matematici. Prima di ciò, il Rosh Chodesh (capo-mese) veniva stabilito in base alla testimonianza oculare di coloro che avevano visto la luna nuova e si recavano nella sede del Bet Din (Tribunale). Se, dopo essere stati attentamente esaminati, i testimoni erano considerati attendibili, il Bet Din annunciava il Rosh Chodeh e di conseguenza fissava l’inizio delle feste.
Racconta la Mishnà, nel trattato Rosh ha-Shanà (cap. 2:8-9), di un fatto che sconvolse i rapporti fra i più importanti rabbini dell’epoca:
Accadde che una volta vennero due testimoni e dissero: “Al mattino abbiamo vista la luna a oriente e di sera l’abbiamo vista a occidente”; disse Rabbì Yochanàn ben Nurì: “Sono dei testimoni bugiardi!” [dal momento che non è possibile che nello stesso giorno la luna stia al mattino a oriente e di sera a occidente]; invece, quando vennero a Yavne [presso il Bet Din], Rabbàn Gamlièl [il presidente del Bet Din] li accettò come testimoni validi. E ancora accadde che vennero due testimoni e dissero: “L’abbiamo vista [la luna nuova] nel suo tempo [la sera del trentesimo giorno]”, ma la sera del trentunesimo non si vide e [nonostante ciò] Rabbàn Gamlièl li accettò. Disse Rabbì Dossà ben Harkinàs: “Sono dei testimoni bugiardi! [visto che è impossibile che la luna, una volta iniziata la sua fase crescente, compaia una sera e non appaia la sera dopo]. Come si può testimoniare che una donna abbia partorito se il giorno dopo è ancora in stato di gravidanza avanzata? [lett.: ha la pancia tra i denti]”. Gli disse Rabbì Yehoshùa‘: “Io sono d’accordo con le tue parole”. Rabbàn Gamlièl gli mandò a dire [a Rabbì Yehoshùa‘]: “Io decreto che tu venga da me, con il tuo bastone e con i tuoi soldi, nel giorno che secondo il tuo conto sarebbe il giorno di Kippur”. Rabbì ‘Aqivà andò e incontrò [Rabbì Yehoshùa‘] afflitto e gli disse: “Posso dimostrare che ogni cosa che ha fatto Rabbàn Gamlièl è fatta correttamente [e anche se avesse sbagliato a stabilire l’inizio del mese e avesse santificato il mese non a suo tempo, la sua decisione di fissare in questo modo l’inizio del mese sarebbe valida ugualmente], visto che è scritto: Queste sono le ricorrenze del Signore, sacre convocazioni, che voi proclamerete (Levit. 23: 4); che sia stato stabilito nel suo tempo o che non sia nel suo tempo, non ci sono per Me altre festività che queste” [le festività sono stabilite in base alle decisioni del Tribunale, sia quando il Tribunale abbia fissato l’inizio del nuovo mese in conformità con il ciclo lunare, sia in caso contrario]. [Rabbì Yehoshùa‘] andò da Rabbì Dosà ben Harkinàs che gli disse: “Se ci mettiamo a contestare il Tribunale di Rabbàn Gamlièl, dovremmo contestare anche tutti gli altri Tribunali che ci sono stati dai tempi di Mosè fino ad ora […]; [Rabbì Yehoshùa‘ quindi] prese con sé il suo bastone e i suoi soldi e andò a Yavne presso Rabbàn Gamlièl nel giorno che, secondo il proprio conto, sarebbe dovuto essere il giorno di Kippùr. Rabbàn Gamlièl si alzò e lo baciò sul capo dicendogli: “Vieni in pace, mio Maestro e mio discepolo! Mio Maestro per saggezza e mio discepolo perché hai rispettato le mie parole” (trad. e note di Gabriele Di Segni, nella nuova ed. ital. della Mishnà).
Dalla conclusione di questo episodio sembrerebbe che la polemica fra Rabban Gamliel e Rabbi Yehoshua si fosse risolta. E invece, l’anno dopo, di nuovo ci fu un altro episodio, per una questione totalmente diversa, che portò al precipitare dei rapporti fra i due rabbini. Mi limito a riassumere la storia, come riportata nel Talmud (Berakhot 27b). La questione verteva sopra la preghiera serale (Arvit): Rabban Gamliel (che come abbiamo visto era il presidente del Bet Din) riteneva che fosse obbligatoria, mentre Rabbi Yehoshua (che era il vice-presidente) era dell’idea che essa fosse facoltativa. Un giorno un certo alunno pose la domanda a Rabbi Yehoshua, il quale rispose che Arvit era facoltativo, e dopo di ciò fece la stessa domanda a Rabban Gamliel, che gli diede la risposta opposta (mai fare la stessa domanda a due rabbini diversi senza avvisarli prima!). L’allievo allora comunicò a Rabban Gamliel che Rabbi Yehoshua gli aveva detto che Arvit era facoltativo, il che fece indispettire Rabban Gamliel. Nella successiva seduta del Bet Din, Rabban Gamliel ingiunse a Rabbi Yehoshua di stare in piedi per tutto il tempo della derashภumiliandolo pubblicamente di nuovo come aveva fatto l’anno precedente riguardo alla data del Kippur (e in un’altra occasione ancora). A questo punto, i Maestri dell’Assemblea decisero che la misura era colma e decisero di revocare Rabban Gamliel dall’incarico di presidente. Si pose quindi il problema di chi nominare al posto suo al vertice del Bet Din: non certo rabbi Yehoshua, in quanto parte in causa nel conflitto con Rabban Gamliel; anche Rabbi Akivà, benché probabilmente il più saggio di tutti, fu scartato perché di lignaggio non sufficientemente illustre; alla fine si decise per Rabbi El’azar ben Azarià, che era saggio, ricco (in modo da trattare in maniera dignitosa con i governatori romani) e discendente di Ezrà. Rabbi El’azar ben Azarià si consultò dapprima con sua moglie, la quale lo sconsigliò dall’accettare l’incarico (“così come hanno revocato lui, revocheranno anche te!”): ma Rabbi El’azar le rispose che era meglio un onore, se pur temporaneo, che niente. La moglie insistette, sostenendo che era troppo giovane per l’incarico (in effetti aveva solo 18 anni) e non aveva la barba bianca. Miracolosamente (o forse per lo stress?), a Rabbi El’azar vennero improvvisamente 18 file di peli bianchi nella barba, e così accettò l’incarico. Per questo Rabbi El’azar disse: “È come se avessi 70 anni…”, (un brano riportato nella Mishnà di Berakhot e che leggiamo anche all’inizio della Haggadà di Pesach).
Il Talmud prosegue raccontando che il giorno in cui Rabbi El’azar fu nominato a capo dell’Assemblea il custode della Yeshivà, che aveva funzioni di “buttafuori”, fu rimosso e tutti gli allievi furono ammessi. Sotto la presidenza di Rabban Gamliel, invece, c’era una rigida selezione degli studenti, e chi non fosse reputato serio e moralmente adatto veniva lasciato fuori. Si racconta che furono aggiunte centinaia di banchi per far posto a tutti gli allievi che accorrevano e in questo modo molti problemi di halakhà rimasti insoluti trovarono una spiegazione. A questo punto, Rabban Gamliel capì di non essersi comportato bene e andò a chiedere scusa a Rabbi Yehoshua, il quale, con qualche reticenza, gliel’accordò. I Maestri decisero allora di reinsediare Rabban Gamliel nel suo incarico. Chi si oppose fu Rabbi Akivà, il quale acconsentì al reinsediamento di Rabban Gamliel solo dopo aver ricevuto conferma da Rabbi Yehoshua dell’avvenuta riappacificazione. A quel punto, si pose il problema di cosa fare di Rabbi El’azar ben Azarià: non poteva essere degradato a semplice rabbino dopo che era stato presidente; una possibilità poteva essere che i due presidenti si alternassero nella carica, ma si pensò (giustamente) che due rabbini allo stesso livello non sono funzionali; si decise quindi che si alternassero, ma Rabban Gamliel avrebbe mantenuto la preminenza, presiedendo due settimane su tre, mentre la presidenza della sola terza settimana sarebbe stata affidata a Rabbi El’azar ben Azarià. Fin qui in sintesi il racconto (invito tutti a leggersi integralmente il brano, nell’originale o in traduzione).
Tornando ai giorni nostri, credo che anche oggi abbiamo bisogno sia del “metodo Rabban Gamliel”, elitario, dei pochi ma buoni, sia del “metodo Rabbi El’azar ben Azarià”, dell’ammissione aperta a tutti. Abbiamo bisogno degli ebrei dello Shabbat e degli ebrei del Kippur. Coloro che osservano lo Shabbat (che non lavorano, non vanno in macchina, non usano l’elettricità, ecc.) sono chiaramente una minoranza: forse il 10% nella nostra comunità, e non credo che in altre parti del mondo – a parte Israele (dove sono un po’ di più) – la cifra sia molto diversa da questa. Sono in numero maggiore coloro che mangiano kasher; e sono ancora di più quelli che rispettano, in un modo o nell’altro, Kippur. Gli ebrei del Kippur sono 9-10 volte quelli che osservano lo Shabbat. Se vogliamo, gli ebrei del Kippur rispecchiano il “metodo Rabbi El’azar ben Azarià”: tutti sono ammessi. Gli ebrei dello Shabbat, invece, sono l’immagine del “metodo Rabban Gamliel”. La conclusione del racconto talmudico è che entrambi i sistemi hanno la loro validità. È evidente che gli ebrei dello Shabbat, da soli, sono troppo pochi per assicurare la sopravvivenza del popolo ebraico. Gli ebrei del Kippur, d’altronde, non sono sufficienti per assicurare la sopravvivenza dell’ebraismo. Un sistema cultural-religioso non si può reggere su un evento che capita una volta l’anno. Se non c’è un impegno quotidiano nell’attaccamento alla Torà e nell’osservanza delle mitzwot, l’ebraismo difficilmente può mantenersi oltre poche generazioni. È chiaro che questa è in parte una semplificazione: gli ebrei del Kippur non sono solo un bacino necessario per la riproduzione, sono anche dei fruitori e produttori di cultura ebraica; ma c’è da chiedersi se l’impeto di questa cultura sia tale da essere trasmesso alle future generazioni. È anche sbagliato considerare gli ebrei dello Shabbat come dei delegati del resto della comunità, il che ricorda l’atteggiamento delle comunità ebraiche italiane di buona parte del Novecento, quando i rabbini erano il clero e gli altri si autoconsideravano esentati dall’osservanza delle regole e dalla recitazione delle preghiere, prontamente sostituite dal chiacchiericcio. Però è un dato di fatto che tuttora, nonostante l’enorme crescita in cultura ebraica, nel numero e nella qualità degli eventi, nelle pubblicazioni, nella partecipazione collettiva, gli ebrei osservanti dello Shabbat sono sempre una minoranza. E non mi sembra che questa cresca proporzionalmente all’arricchimento culturale. Credo perciò che, da una parte, gli ebrei dello Shabbat non dovrebbero guardare con supponenza e malcelato fastidio agli ebrei del Kippur, come a volte fanno; ma d’altro canto, gli ebrei del Kippur non dovrebbero trattare gli ebrei osservanti “attaccati di petto” alla stregua di persone primitive, ancorate a tradizioni obsolete e antiquate. Non lo sono, anzi, è proprio grazie agli ebrei osservanti se ci sono ancora sinagoghe in cui si può festeggiare il Kippur.
Derashà tenuta a Kippur 5771 presso il tempio degli Asili, Centro di Cultura ebraico, Roma