La recente decisione del Parlamento europeo di equiparare i diritti delle coppie omosessuali a quelli degli eterosessuali ha suscitato perplessità, polemiche e reazioni di natura contrapposta, ora di plauso ora di condanna. Senza entrare nel merito delle numerose questioni di ordine giuridico, che una decisione del genere solleva dal punto di vista della Halakhà (la legge ebraica), penso sia utile fare un’analisi generale di come l’Ebraísmo affronta questo problema che, tuttavia, va inserito in un contesto più ampio.
Nell’Ebraismo, che non è soltanto una religione, ma un sistema di vita, la vita sessuale occupa certamente un posto rilevante: non solo la Torà non ha mai avuto un atteggiamento sessuofobico, ma la vita sessuale è sempre stata intesa come mezzo attraverso cui realizzare sia la riproduzione, che il miglioramento dell’intesa all’interno della coppia. Quindi, anche per questo, come per ogni altro aspetto della vita dell’uomo, esistono norme precise che regolamentano la vita sessuale, norme a cui entrambi i coniugi devono attenersi. La decisione di non unirsi in matrimonio è considerata una grave colpa e non un merito, anche perché con questo comportamento ci si sottrae volontariamente a uno dei compiti fondamentali affidati da Dio all’uomo e cioè quello di abitare la Terra e di non trasformarla in una landa desolata (lo tohu beraà).
Fin dall’inizio della creazione dell’uomo, viene posto il problema della scelta di un aiuto (ezer) per Adamo: “Non è bene che l’uomo sia solo” dice Dio prima della creazione della donna e, dopo la sua creazione, “Per questo l’uomo deve abbandonare la madre e il padre e unirsi a sua moglie, e divenire una sola carne“.
In effetti, con la parola Adamo bisogna intendere non l’uomo singolo, ma l’uomo come unione uomo donna. È questo il motivo per cui la benedizione “Benedetto sii Tu, o Signore Dio nostro re del Mondo creatore di Adam” non viene recitata alla nascita, ma al momento del matrimonio, quando uno degli scopi fondamentali della creazione si realizza.
I primi capitoli della Genesi, che contengono in nuce tutta la futura storia dell’uomo, costituiscono un continuo richiamo a non lasciarsi andare ad atteggiamenti devianti. Vediamo alcuni di questi accenni.
Dio mostra ad Adamo i vari animali per vedere se ce n’è qualcuno che possa fare al suo caso, in grado cioè di fargli da compagno e aiuto, ma alla fine arriva alla conclusione che nessuno degli animali può essere un vero partner per l’uomo e crea la donna. L’episodio di Cam che guarda con curiosità la nudità del padre Noè e ne parla ai due fratelli può essere interpretato o come una forma di voyeurismo oppure come un racconto velato di un atto omosessuale. La storia di Sodoma e Gomorra è fin troppo nota per essere ricordata. Meno noto è l’episodio delle figlie di Lot, che unendosi al padre, dopo averlo reso ubriaco, generano Moav e Ammon, consumando così il primo incesto della storia.
Un episodio che merita un’analisi più dettagliata è quello del Diluvio universale e dei suoi antefatti. Alcuni commentatori osservano che, alla base della decisione divina di distruggere l’Umanità, vi sarebbe stata la volontà di eliminare un certo disordine creato dalle unioni di quelli che il testo chiama “i figli di Dio” con “le figlie dell’uomo” (Genesi 6:1-2): per soddisfare i propri istinti, l’uomo aveva deciso di prendere due donne, da destinare una alla prolificazione e l’altra al piacere. In questa storia, un altro importante particolare è la procedura scelta per salvare gli animali: gli animali vengono introdotti a coppie nell’Arca, ma, ciò che stupisce di più, è il fatto che la Torà, accanto all’espressione “maschio e femmina” (zakhar u-nekevà) usa anche per gli animali quella di “l’uomo e sua moglie” (ish veishtò). Queste parole, che in tutta la Bibbia vengono usate solo per il mondo umano, sembra abbiano qui lo scopo di evidenziare che una delle finalità che si proponeva il diluvio sarebbe stato quello di ricostruire un certo ordine, una certa armonia, non solo nel mondo umano, ma anche in quello animale.
In effetti la ricerca di un ordine all’interno della creazione è una delle preoccupazioni costanti della Genesi e riguarda sia il mondo umano ed animale che quello vegetale: la Terra è chiamata a produrre “germogli, erbe, che facciano seme, alberi da frutto che diano frutti ciascuno della propria specie, contenenti il loro seme“. Nel Levitico (19:19) questi comandi diventeranno mitzvòt ed imporranno precisi limiti alla manipolazione della specie: “Osservate le mie leggi: non accoppiare due quadrupedi di specie diversa, non seminare il tuo campo con due specie diverse, ed una stoffa tessuta di due specie diverse, sha’atnez, non venga indossata da te“.
Il modo con cui si sarebbe passato dall’unità primitiva dell’uomo alla diversificazione uomo-donna è descritto in maniera assai diversa nel mito greco, citato nel Simposio di Platone, e nello Zohar, il testo fondamentale della mistica ebraica.
Il mito parla di esseri umani a due teste, a quattro braccia etc: Zeus, in un momento di ira, li avrebbe divisi in due e ne avrebbe ricucito la pelle. Ognuno di questi nuovi esseri umani, appartenente prima della divisione a un essere androgino o a un essere composto da una coppia omogenea, sarebbe poi stato destinato ad andare alla ricerca della propria metà: gli androgini quindi alla ricerca della propria metà, che sarà di sesso opposto, e gli altri alla ricerca delle persone dello stesso sesso, maschio o femmina che sia.
Lo Zohar (III 4b) presenta la riunificazione di Adamo, che era in origine una persona con due facce con queste parole: “Il Signore lo segò in due, separando il maschio dalla femmina e li mise insieme, così che essi potessero trovarsi faccia a faccia. E quando lei fu unita all’uomo, allora il Signore li benedisse come nel rito matrimoniale“.
Le differenze tra lo Zohar e il mito greco appaiano evidenti: lo stato primordiale è soltanto quello androgino e l’unione non è un fatto meramente biologico, ma l’unione solenne di marito e moglie. La versione dello Zohar trae origine dal testo della Torà (Genesi 5:2): “Maschio e femmina li creò. Li benedisse e dette “loro” il nome Adam“. Fino al matrimonio sia l’uomo che la donna vengono considerati incompleti in quanto privi della loro “metà”: lo Zohar sottolinea che “la Divina presenza sì posa solo su un uomo sposato, perché un uomo non sposato è solo la metà di un uomo, e la Divina presenza non si posa sopra ciò che è imperfetto“. Secondo il Midrash, Dio stesso avrebbe celebrato il primo matrimonio. Il problema non è tanto, o soltanto, quello della esternazione dell’eterosessualità, quanto piuttosto quello della costituzione della famiglia, che viene nutrita dall’unione sessuale; è la capacità di due esseri della stessa specie di generarne un terzo che li confermi come membri della stessa specie.
Secondo i Maestri, mentre i 365 precetti negativi sarebbero in corrispondenza dei giorni dell’anno solare, i 248 positivi sarebbero paralleli al numero delle membra del corpo umano: l’uomo deve cercare di usare sempre in maniera appropriata le proprie membra, usandole per lo scopo per cui ognuna è stata creata: non è detto che il soddisfacimento di ogni “passione” sia lecito. Nonostante questo chiaro indirizzo, la Halakhà ha sempre affrontato il problema dei rapporti omosessuali, così come di quelli eterosessuali, senza quel senso di curiosità morbosa che generalmente accompagna l’analisi di questioni di questo tipo.
L’importanza che rivestono le mitzvòt collegate con la vita matrimoniale non deve far dimenticare che si tratta pur sempre dì una parte della vita dell’uomo: il mondo delle mitzvòt è strutturato in maniera tale che ogni mitzvà copra in modo specifico una parte della vita dell’uomo, anche se poi a ben illuminarla, restituisce, come un ologramma, tutta l’informazione posseduta. Astenersi dalla vita sessuale, predicando castità e celibato, significa rinunciare a priori ad esprimere una parte della propria personalità. Praticare l’omosessualità costituisce una deviazione da quello che dovrebbe essere l’ordine armonico entro cui deve svolgersi la vita di tutte le creature. L’uomo, che è dotato anche della libera scelta, ha una responsabilità superiore agli altri esseri: deve essere capace di trasformare ogni comportamento, specie quelli in cui è più evidente l’istinto di natura biologica, in un atto sacrale. Chi sa muoversi all’interno della condizione che gli è riservata, ha a disposizione molte strade, che sebbene incomplete, tuttavia, permettono all’uomo di esprimere la propria umanità. Scrive infatti il profeta Isaia (56: 4-5): “Perché così dice il Signore a proposito di coloro che, non sono atti a generare, ma osservano i miei sabati, scelgono quello che a me piace e si mantengono fedeli al mio patto: “Io darò a loro nella mia casa ed entro le mie mura forza e rinomanza, meglio di figli e di figlie; rinomanza eterna che mai perirà darò a ciascuno di loro“.
1994