Il testo della Birkàt kohanim, la benedizione sacerdotale – che si trova proprio al centro della parashà Nasò – dovrebbe essere ricordato per la prima volta quando Aronne pronunciò la benedizione, il giorno della cerimonia della sua nomina a Gran Sacerdote: “Aronne sollevò le mani verso il popolo e lo benedisse .. “ (Levitico 9: 22).
Nell’analizzare questa benedizione dobbiamo innanzi tutto rispondere ad alcune domande:
1) Qual è il senso del verbo levarèkh, benedire?
2) Qual è il motivo per cui questa benedizione si trova proprio nel contesto della narrazione della partenza delle 12 tribù di Israele verso la Terra promessa.
3) Qual è il senso da dare alla radice Barèkh in generale e in questo contesto in particolare
4) Qual è il motivo per cui la Berachà che dicono i sacerdoti devia dalla formula consueta per le benedizioni che si dicono quando si eseguono le mizvot: infatti si aggiunge che l’ordine è di dire questa benedizione è eseguito “Beahavà – con amore”
1) Il senso del verbo Levarèkh
Cosa significa “benedire il Signore”: si potrebbe rispondere che l’intenzione è quella di dire “lodare il Signore”, ma se questa fosse l’intenzione, il verbo Lehallel, lodare sarebbe più corretto. Uno dei paradossi è che questo verbo viene usato in rapporto a Dio: normalmente la benedizione viene data da chi sta più in alto e chiede un miglioramento della sua situazione: il Signore benedice la prima coppia “prolificate moltiplicatevi”, i genitori benedicono i figli, Abramo benedice Isacco, Giacobbe benedice i figli ecc. perché chi ha di più può trasferire qualcosa a chi ha di meno. Quindi la benedizione dovrebbe arrivare dal Signore verso l’uomo, mentre in realtà sono i sacerdoti a trasferire all’uomo i benefici che il Signore può dare. La stessa idea viene espressa dalla benedizione che Dio dà al Sabato, alla quale viene aggiunto che l’uomo viene incaricato a collaborare alla creazione: Asher barà Elokim la’asot, che Dio creò perché l’uomo continuasse l’opera divina. L’azione dell’uomo completa quella divina. C’è da aggiungere che la radice Barèkh nella sua forma IF’IL (lehavrìkh), significa creare una propaggine: cioè si tratta di prendere un ramo della piante e di piantarlo lasciandolo ancora collegato alla pianta e quindi anche alle sue radici: la migliore benedizione che si può dare a una persona è che sia collegato alle sue radici cosa che gli dà stabilità.
Infine. ricordiamo che il senso della moltiplicazione dei beni è implicito nelle tre lettere da cui è composta la radice Barekh: Bet ha un valore numerico pari a due, kaf vale 20 e Resh vale 200. Due è il simbolo minimo della molteplicità che viene poi moltiplicato per 10 e per 100.
2) Il contesto
Diamo un rapido sguardo all’ordine con cui la Torà ci informa degli eventi (Numeri 1 – 9):
Il censimento nel deserto, i Capi delle 12 tribù; la somma dei censiti; i leviti; le quattro formazioni (i gruppi di Giuda, Ruben, Efraim e Dan, la tenda del convegno durante la marcia); il numero totale dei censiti, la genealogia di Mosè e Aron, i compiti dei leviti, il censimento dei leviti: Ghershon, Kehat e Merarì; Censimento dei primogeniti e sostituzione dei primogeniti con i leviti, incarichi di Kehat. Conferimento di incarichi a Ghershon e Merarì e loro censimento; purificazione dell’accampamento; risarcimento del proselita; la sospetta adultera, il nazireo.
Tutti questi testi hanno funzioni diverse, ma sostanzialmente tendono a dare valore a ogni singolo: sull’importanza e sulla specificità di ogni persona e di ogni famiglia abbiamo detto nel commento alla parashà di Bemidbàr. Il problema è se in certe circostanze il valore del singolo può venir meno e quindi creare una sorta di discontinuità nella struttura della Comunità: questo è il problema della persona che si scopre impura, della donna che viene sospettata di aver tradito il marito (e per la quale è anche permesso cancellare il nome divino nella speranza che questo serva a dimostrare la sua innocenza e d essere reintegrata nella collettività) e del Nazireo che ha voluto esprimere la sua convinzione di essere superiore agli altri, assumendo impegni che non erano previsti secondo la Torà, una colpa per la quale deve essere redento. L’ingresso nella Terra santa dovrà essere garantito da una compagine compatta, in cui sia forte il senso di corresponsabilità delle scelte che farà la collettività.
3) La benedizione sacerdotale nel contesto
La benedizione sacerdotale è rivolta a ogni singolo nel contesto del collettivo. Ciò che la distingue da una benedizione non collegata al collettivo, è la presenza della parola “beahavà”, con amore. Non può essere data una benedizione da chi non è in un rapporto di amore con la collettività: il singolo non perde la sua identità nell’essere parte integrante e attiva e il sacerdote non può benedire se non una collettività che lo accetta. Ci sono mizvoth che hanno bisogno di essere eseguite nel Santuario e secondo quanto scrive rav Yosef Soloveitchik, la benedizione data da Aronne alla fine del sacrificio di iniziazione, sta a dimostrare che nel Santuario senza la benedizione dei sacerdoti non può terminare la presentazione del sacrificio. Il testo che si trova nella nostra parashà sta a significare che la benedizione sacerdotale debba essere fatta ogni giorno.
Questo il testo della benedizione sacerdotale ( Numeri 6: 22 – 27):
L’Eterno parlò a Mosè dicendo: Parla ai figli di Aronne e ai suoi figli dicendo: Questo è il modo in cui benedirete i figli d’Israele dicendo loro: : Possa l’Eterno benedirti e proteggerti. Faccia l’Eterno risplendere verso di te il suo volto (benevolo) e usi grazia nei tuoi confronti. Possa l’Eterno volgere il proprio volto verso di te e concederti la pace. Essi imporranno il Mio nome sopra i figli di Israele e Io li benedirò.
Rimandiamo a un altro momento l’analisi dettagliata al contenuto della Benedizione e leggiamo in proposito cosa scrive il Sefer Hakhinnukh (Mizvà 375):
Il comandamento della benedizione sacerdotale va fatta ogni giorno: ai sacerdoti è comandato di benedire Israele ogni giorno, come è affermato (Numeri 6:23): “Così benedirete i Figli di Israele; dite loro”. Fa parte delle radici del comandamento che Dio voleva nella Sua grande bontà di benedire il Suo popolo attraverso i servi che dimorano sempre nella Casa di Dio e tutti i loro pensieri si collegano al Suo servizio e le loro anime sono collegate al timore per Lui tutto il giorno. E per loro merito la benedizione riposa sul popolo ebraico e tutte le loro azioni sono benedette, e la piacevolezza di Dio sarà su di loro. E non meravigliarti e dire: “Se Dio desiderasse la loro benedizione, comanderebbe loro la benedizione, e non ci sarebbe bisogno della benedizione sacerdotale”. Come ho detto già in anticipo molte volte dicendo quella benedizione sarebbe toccata a noi secondo la nostra capacità di preparare attraverso le nostre azioni, poiché la Sua mano, sia benedetto, è aperta per tutti coloro che chiedono e sono idonei e preparati a ricevere il bene. E quindi, quando ci ha scelto da tutte le nazioni e ha voluto che meritassimo la sua bontà, ci ha avvertito e ci ha comandato di preparare le nostre azioni e di raffinare i nostri corpi con i suoi comandamenti, in modo che saremo idonei a ricevere il bene. Ci ha anche comandato nella sua grande bontà di richiedere la benedizione da parte sua, e che dovremmo chiederla tramite i suoi puri servi. Poiché tutto questo sarà un merito per le nostre anime, e attraverso di esso, meriteremo la sua bontà. …
Nel momento in cui l’ufficiante della preghiera raggiunge la benedizione Retseh, tutti i sacerdoti nella sinagoga salgono sul palco con la faccia verso l’arca, la schiena verso il popolo e le dita piegate sui palmi, finché il leader della preghiera non termina la benedizione del ringraziamento (modim). E dopo, girano il viso verso la gente, allungano le dita e alzano le mani a livello delle spalle e iniziano: “Che Egli ti benedica”. E il leader della preghiera detta loro parola per parola, come è affermato, “dite loro”; e ripetono dopo di lui con un tono piacevole. E quando finiscono il primo versetto della benedizione, tutte le persone rispondono: “Amen”. E così anche per il secondo verso e il terzo. E quando finiscono i tre versi, l’ufficiante della preghiera inizia “Sim shalom, ecc.(poni la pace la benedizione successiva e i sacerdoti voltano il viso verso l’Arca Santa e piegano le dita e stanno lì sulla piattaforma finché non finisce la benedizione di Sim shalom, e poi tornano al loro posto. …..
E prima di voltare la faccia per benedire il popolo, recitano la benedizione: Benedetto sei tu, Signore, nostro Dio, re dell’universo, che ci hai santificati con la santità di Aharon e ci ha comandato di benedire il suo popolo, Israele, con amore. ….
E questo comandamento è praticato ogni giorno e in ogni momento dai sacerdoti, poiché questo comandamento di benedire Israele è un loro obbligo. E sono obbligati a benedirli nel servizio mattutino, nel servizio aggiuntivo (musaf) e alla chiusura delle porte (servizio di Neilah a Yom Kippur). Ma nel servizio pomeridiano non c’è la benedizione….. Loro, che la loro memoria sia benedetta, hanno decretato (di dirlo) anche nel servizio pomeridiano di un giorno di digiuno, come ha deciso Rav Nachman nell’ultimo capitolo di Taanit 26b. Ma laggiù dissero: “Ma oggigiorno, qual è la ragione [per cui] i sacerdoti alzano le mani nella preghiera pomeridiana di un digiuno? Dato che l’hanno detta vicino al tramonto, è considerato come il servizio di “Ne’ilah” (per il quale è prevista la benedizione dei sacerdoti)
4) Perché i sacerdoti aggiungono nella formula della Berakhà la parola Con amore.
L’ingresso nella Terra santa dovrà essere garantito da una compagine compatta, in cui sia forte il senso di corresponsabilità delle scelte che farà la collettività. L’imperativo dell’amore che deve dominare tra i componenti del popolo può trasformare ogni persona in un protagonista per lo sviluppo della collettività.
Rabbi Ariè di Modena diceva che non c’è alcun dubbio che la benedizione debba essere detta con amore, come è infatti scritto nelle parole stesse: Parla ad Aharon e si suoi figli dicendo: Così benedirete i figli di Israele Amòr lahem, Amore (deve essere rivolto) a loro.
Scialom Bahbout
Il Sefer ha-Chinnuch (ebraico: ספר החינוך: “Libro dell’Istruzione”), spesso citato semplicemente come “il Chinnukh” è un’opera che sistematicamente esamina i 613 comandamenti della Torah. Fu pubblicato anonimamente nella Spagna del XIII secolo. La numerazione dei comandamenti (mitzvot; sing. mitzvah) si basa sul sistema di conteggio di Maimonide, secondo il suo Sefer Hamitzvot; ciascuna mitzvah viene elencata in base alla sua presenza nella parashah settimanale e l’opera è quindi strutturata nel suo rispetto. Prima dell’edizione di Francoforte del 1783 le mitzvot erano stampate nello stesso ordine dato dall’opera di Maimonide.