La parashà inizia con la mitzvà annuale di portare le primizie della frutta di Eretz Israel al Bet ha-Mikdàsh con queste parole: “Quando sarai entrato nella terra che l’Eterno, tuo Dio, è per darti in retaggio, e la possederai, e vi abiterai; piglierai delle primizie di tutti i prodotti del suolo, che avrai raccolti dal tuo terreno, che l’Eterno, tuo Dio, è per darti, e le porrai in un canestro, e andrai a quel luogo, che l’Eterno, tuo Dio, avrà eletto per fìssarvi la sede del suo nome. E ti recherai al kohen che sarà a quei tempi, e dirai a lui: lo dichiaro oggi all’Eterno, tuo Dio, che sono venuto nella terra che l’Eterno ha giurato ai nostri padri di dare a noi ” (Devarìm, 26:1-3).
R. Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Modiin Illit) in Hearòt ve-He’aròt (p. 223) si domanda per quale motivo un agricoltore nato in Eretz Israel molte generazioni dopo la conquista del paese, possa dire “che sono venuto nella terra”. Egli risponde alla domanda commentando che il popolo d’Israele non è come gli altri popoli. Mentre la Francia fa degli abitanti del paese dei francesi e l’Inghilterra ne fa degli inglesi, Israele diventò popolo nel deserto quando ricevette la Torà. La conquista e l’insediamento in Eretz Israel avvenne quando era già diventato popolo. Le parole “sono venuto” non si riferiscono all’individuo ma al popolo d’Israele venuto nel paese già come popolo. Portando le primizie riconosciamo che abbiamo ricevuto il paese dall’Eterno; noi non ne siamo i proprietari. Pertanto la prima cosa che dobbiamo fare è di portare le primizie al vero “Proprietario”, come dei mezzadri che per prima cosa devono portare la parte che spetta al padrone del campo.
R. Moshè Alshich (Adrianopoli, 1508-1593, Safed) nel suo commento alla Torà cita la mishnà nel trattato Bikurìm (Delle primizie): “Come si separano le primizie? Se uno scende nel suo campo e vede un fico, un grappolo d’uva o una melagrana che stanno per maturare, li lega con un vinco e dice: questi saranno primizie […]. Come si trasportavano le primizie a Gerusalemme? […] il toro andava davanti a loro con le corna dorate e una corona d’ulivo sul capo. Davanti a loro risuonava il flauto, finché giungevano presso a Gerusalemme. Appena giunti presso a Gerusalemme mandavano (dei messi) davanti a loro e incoronavano le loro primizie. I rappresentanti dei kohanìm e dei leviìm e i tesorieri venivano loro incontro, uscivano (cioè) in proporzione all’onore che esigevano quelli che entravano. Tutti gli artigiani di Gerusalemme si alzavano in piedi davanti a loro e li salutavano dicendo: O nostri fratelli del tale e tal luogo, siate i benvenuti. Il flauto continuava a suonare finché arrivavano al monte del Bet ha-Mikdàsh. Giunti al monte del Bet ha-Mikdàsh ciascuno, fosse stato anche il re Agrippa, prendeva il suo cesto in spalla ed entrava finché giungeva al cortile (la ‘azarà del Bet ha-Mikdàsh). Quando giungevano al cortile i leviìm intonavano il canto” (del salmo 30).
R. Alshich si domanda: tutto questo per portare qualche fico e qualche melograno? E non solo questo: i Maestri nel Midràsh Bereshìt Rabbà (1:6) così commentano le prime parole della Torà: “In principio ha creato…”. Essi dissero: “Dio creò il cielo e la terra per la mitzvà delle primizie, che sono chiamate anch’esse “principio”! Cosa ha dunque di così grande questa mitzvà che per essa fu creato il mondo? R. Alshich risponde: poiché l’Eterno ha creato il mondo a noi viene chiesto di essere riconoscenti perché i Maestri insegnano (Midràsh Yalkùt Shim’onì, 667) che chi gode delle cose di questo mondo senza recitare una berakhà è come colui che deruba le cose sacre. Il motivo di questa mitzvà è di fare sì che l’uomo vedendo tutta questa abbondanza non pensi che sia tutto merito suo. La riconoscenza verso il Creatore è alla base di tutta la Torà ed è per questo che viene data tanta importanza alla mitzvà delle primizie che vengono portate a Gerusalemme in pompa magna.