La Parashà di Kedohsim contiene il famoso versetto “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. [Vayikra 19:18]. Riguardo a questo versetto Rabbi Akiva dichiara: Questo è un principio fondamentale della Torà. Questo versetto insegna la mitzva positiva di amare il prossimo, o, come spiega più precisamente il Ramban, di trattare il prossimo con amore, fare per lui quello che vorremmo fosse fatto per noi e non fare quello che non vorremmo fosse fatto a noi. Come tutti sappiamo, siamo nei giorni della Sefirat haOmer, in cui commemoriamo la morte di 24.000 studenti di Rabbi Akiva. Una delle grandi ironie è che Rabbi Akiva, che predicava l’amore per il prossimo, aveva discepoli che, dicono i Chachamim, morirono perché non trattavano l’un l’altro con il dovuto rispetto. Resta però da capire. In cosa consisteva questa mancanza di rispetto?
Una risposta classica è che il loro elevato livello spirituale amplificava il significato delle loro azioni in quanto D-o usa uno standard più elevato per giudicare i tzadikim, come è scritto, “Soppesa la punizione per loro secondo una sottile ciocca di capelli.” [Bava Kama 50a]. Il Chafetz Chaim porta una spiegazione interessante partendo dalla domanda su quale peccato possano aver commesso per meritare questa punizione. La risposta è che gli allievi di Rabbi Akiva non furono puniti per il peccato di mancanza di rispetto tra loro, ma per il peccato di Chilul HaShem (Profanazione del Nome di D-o). La mancanza di rispetto reciproco tra i discepoli di Rabbi Akiva diffuse nel mondo l’impressione che i Talmide Chachamim combattano tra loro e derivava dalle terribili divisioni che esistevano tra loro, e questo è un peccato che può essere punibile con la morte.
Solo pochi versetti prima la Parashà riporta: “Non commettere perversione nella giustizia; Non favorirai i poveri e non onorerai i grandi; Giudicherai con giustizia il tuo prossimo”. [Vayikra 19:15] Anche se questo versetto si riferisce apparentemente al Bet Din e ai giudici, i Chachamim dicono che le ultime parole – giudicherai con giustizia il tuo prossimo – implicano anche che una persona dovrebbe dare al prossimo il beneficio del dubbio (o, come scritto nei Pirke Avot: “have dan lekaf zechut). Quando vediamo qualcuno fare qualcosa che a prima vista sembra essere una cosa brutta, dobbiamo dagli il beneficio del dubbio: Molte volte le cose non sono come appaiono. C’è una famosa Ghemara in Masechet Shabbat [127b] che fornisce tre diversi esempi. Ne citeremo brevemente uno in cui la Ghemara illustra fino a che punto una persona deve spingersi per dare a qualcuno il beneficio del dubbio: I Chachamim insegnarono: Chi giudica favorevolmente il prossimo viene a sua volta giudicato favorevolmente. Accadde un fatto riguardante un uomo che, sceso dall’Alta Galilea, entrò per tre anni alle dipendenze di un proprietario di casa del sud. Alla vigilia di Yom Kippur, l’operaio disse al datore di lavoro: “Dammi il mio salario e andrò a provvedere a mia moglie e ai miei figli”. Il datore di lavoro rispose: “Non ho soldi”.
L’operaio disse: “Allora dammi il mio salario sotto forma di prodotti”. Il datore di lavoro rispose: “Non ne ho”. L’operaio suggerì allora: “Dammi della terra”. “Non ho niente.” “Allora dammi del bestiame” “Non ne ho”. “Allora dammi dei cuscini” “Non ne ho”. Non potendo ottenere nemmeno una parte della paga che gli era dovuta, l’operaio caricò le sue cose sulla schiena e tornò a casa avvilito. Dopo la festa, il datore di lavoro prese la paga del lavoratore insieme a tre carichi di merci – uno di cibo, uno di bevande e uno di varie prelibatezze – e si recò a casa del suo ex impiegato. Dopo che ebbero mangiato e bevuto, consegnò la paga all’operaio, e gli disse: “Quando mi hai detto: ‘Dammi la mia paga’ e io ho detto: ‘Non ho soldi’, cosa pensavi di me?” La Ghemara esamina ciascuna delle “scuse” che il datore di lavoro ha avanzato e spiega come il lavoratore gli abbia concesso il beneficio del dubbio e abbia ipotizzato – in ognuno dei casi – uno scenario che avrebbe giustificato la risposta. . Quando il datore di lavoro ha risposto “Non ho assolutamente nulla da darti” il lavoratore ha ipotizzato: “Forse ha consacrato tutti i suoi averi al Bet haMikdash”. Il datore di lavoro ha prestato giuramento “Per il servizio divino! Così è stato! Avevo promesso tutti i miei beni al Cielo a causa di mio figlio Hurkonos che non si occupava dello studio della Torà, quindi non volevo che ne traesse beneficio. E quando sono venuto dai miei colleghi del Sud, mi hanno annullato tutti i voti. E quanto a te, proprio come mi hai giudicato favorevolmente, così possa l’Onnipotente giudicare favorevolmente anche te! Cosa significa “Proprio come mi hai giudicato favorevolmente, D-o dovrebbe giudicarti favorevolmente”?
Il Baal Shem Tov nel commentare la Mishna in Avot [1:6] “Havè dan et kol haAdam lekaf zechut (giudica tutti, ognuno dandogli il beneficio del dubbio).” si chiede il perché ci sia la parola kol (tutti) portando la spiegazione che quando si giudica il prossimo bisogna conoscere tutta la sua storia. Non si può esprimere un giudizio equo in base a ciò che si vede in quel momento. Prima è necessario prendere in considerazione l’intera esperienza di vita della persona. Questo è il significato della locuzione kol haAdam: Include la sua storia, i suoi genitori, i suoi fratelli, dove è stato, cosa ha passato e tutto ciò che lo riguarda. Questa è la beracha menzionata nel Talmud. Naturalmente, D-o sa cosa stiamo facendo, ma è sempre possibile dare la berachà che le “attenuanti” possano portare ad un giudizio positivo. E questo fa parte del rispetto per il prossimo e del comandamento “siate santi perché Io sono santo”.