Confinate negli shtetl e nei ghetti, le comunità ebraiche dell’Europa orientale dovevano scontrarsi quotidianamente con l’ostilità della popolazione circostante e l’arbitrio delle autorità. In questo contesto, rielaborando suggestioni di origine qabbalistica, il folclore e la letteratura ashkenazita danno forma a spiriti che incarnano il desiderio di vendetta e la sete di giustizia. Il più famoso di questi è il golem.
Le origini della leggenda
Il folclore ashkenazita ha costruito, nel corso del tempo, un folto immaginario popolare di miti e leggende. Uno spazio particolare appartiene al golem. Traducibile come “materia grezza”, tanto da assumere il significato di “stupido” nell’ebraico moderno, il termine גולם (golem) si trova per la prima volta nel Libro dei Salmi, dove indica un essere umano ancora non del tutto formato, incompleto. Nel Sefer Yetzirah (Libro della Creazione), testo qabbalistico redatto tra il III e il VI secolo d.C., il golem diventa una creatura artificiale che un maestro versato nelle pratiche esoteriche potrebbe animare, avvalendosi dell’alfabeto ebraico. La tradizione esoterica attribuisce infatti un significato mistico alle lettere ebraiche, cui corrisponde un valore numerico (ghematria) e un peculiare potere evocativo, derivante dal fatto che lo stesso racconto della creazione si perfeziona con l’attribuzione di un nome agli esseri umani e, da questi ultimi, agli animali. Nella cultura semitica conoscere il nome di un essere animato, in altri termini, implica un rapporto di appropriazione nei confronti di esso, o quantomeno di alcune sue capacità: oltre la superficie delle lettere, infatti, si nasconde il senso più profondo del testo, il sod, ma la sua indagine è riservata ai pochi iniziati alla Qabbalah.
Nel periodo medievale sono numerosi i qabbalisti che, secondo la leggenda, furono in grado di formare e animare un golem. Una delle storie più importanti è incentrata sulla figura di Eliyahu Baal Shem (1550 – 1583), rabbino polacco vissuto nella città di Chełm (nell’antica regione della Galizia). Secondo la leggenda, il maestro riuscì a dare forma al golem inserendo in una statua di argilla un foglio contenente le lettere del Nome di Dio, in grado di incanalarne la forza creatrice: da qui l’attribuzione al rabbino del titolo di baal Shem, “padrone del Nome”.
Rabbi Eliyahu riuscì nell’impresa inserendo il foglio sul collo dell’uomo di argilla; tuttavia, il golem crebbe sempre di più fino a diventare qualcosa di più di un aiuto per le fatiche domestiche, ossia un essere dotato di volontà propria e un pericolo per il suo stesso creatore. Il dovere di evitare qualsiasi eccesso di zelo o ambizione, anche nella ricerca spirituale, è un tema centrale nella pedagogia ebraica e che nella leggenda del golem trova uno sviluppo drammatico. L’uomo di argilla, infatti, nella versione del folclorista Christian Arnold, arriva a ribellarsi al suo ambizioso creatorefino ad ucciderlo.
Il golem di Praga
La versione più conosciuta della leggenda, però, è quella che lega il mito del golem a Judah Loew ben Bezalel (XVI secolo), conosciuto anche come il Maharal di Praga.
Durante le persecuzioni antiebraiche dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo che affliggevano la comunità ebraica boema, il rabbino Loew decise di dare forma ad un golem d’argilla per difendere gli ebrei dai pogrom. Il gigante viene descritto come un essere invincibile, un guerriero-automa fondamentale per difendere la comunità dagli attacchi; tuttavia, in breve tempo il gigante d’argilla finisce per cercare una vita propria, contro il volere del proprio padrone, essendosi reso conto di cosa si provi ad essere vivi, completi. A seconda della versione della storia, il golem si innamora e impazzisce per la furia di non essere ricambiato oppure si rende responsabile di un omicidio per vendicare un’aggressione antisemita. In ogni caso, l’istinto di protezione nei confronti degli ebrei di Praga si trasforma gradualmente in furia distruttiva e incontrollata sete di vendetta. Il Maharal si trova quindi costretto ad annientare la propria stessa creazione, rimuovendo la lettera alef dal collo del golem: il nome אמת (emet, “verità”, uno degli attributi di Dio) diventa così מת (met), morte, e il gigante invincibile torna ad essere una statua d’argilla. I resti del mostro si troverebbero, ancora oggi, sull’attico della Vecchia Sinagoga di Praga, in attesa di essere risvegliati.
Sebbene le fonti storiografiche escludano un nesso diretto tra il mito e la figura, storicamente attestata, di rav Judah Loew, esistono diverse spiegazioni per l’origine della leggenda.
Una possibile ipotesi degli studiosi è che il mito del golem sia nato in Polonia, dove si sono trovate le testimonianze più antiche e rudimentali della leggenda, e che sia poi arrivato in Boemia attraverso il Chassidismo polacco. L’epoca di Rodolfo II d’Asburgo, nota come l’epoca d’oro dell’ebraismo in Boemia, vide un grande sviluppo della vita culturale e religiosa del popolo ebraico in questa regione, grazie anche al fiorire delle yeshivot (scuole religiose). All’interno di queste scuole si sarebbe diffusa, attraverso lo studio delle opere del Maharal, una sorta di venerazione nei confronti del maestro e le sue capacità qabbalistiche: da qui, forse, l’associazione con il gigante d’argilla.
Gli echi letterari e nella cultura pop
Quali siano le origini storiche, la leggenda del golem ha avuto riflessi considerevoli nella letteratura e nella cultura pop contemporanea.
Attraverso le raccolte di racconti popolari di autori quali Leopold Wiesel e Franz Klutschak, il mito del golem penetrò nella cultura letteraria di lingua tedesca. Tra i lavori incentrati su questa figura, si ricordano i romanzi Spinoza (1837) di Berthold Auerbach, Der Golem (1915) di Gustav Meyrink e il racconto pubblicato da Jakub Grimm nel 1808. Proprio quest’ultimo, secondo la studiosa Cathy Gelbin, era presumibilmente noto alla scrittrice Mary Shelley, che potrebbe esserne stata influenzata per la redazione del romanzo Frankenstein. E, in effetti, le analogie tra i due “mostri” appaiono sorprendenti: il pericolo delle elaborazioni umane volte a sovvertire l’ordine naturale, ma anche il rischio intrinseco in qualsiasi processo creativo.
A livello cinematografico, il golem è stato protagonista di ben quattro film horror girati tra il 1917 e il 1936, ma è arrivato anche nella cultura pop contemporanea, comparendo nel celebre cartone The Simpsons e in un episodio della serie tv Supernatural.
Il suo simbolismo, malgrado l’apparente linearità della leggenda, è mutevole e difficile da afferrare. Il golem non solo rivela il potere creativo del linguaggio e il pericolo dell’ambizione umana. La sua ribellione, infatti, tradisce la capacità del potere di corrompere chi lo detiene: anche un protettore, il più invincibile e apparentemente incorruttibile, ha un volto mostruoso pronto a rivoltarsi contro il bene, a trasformare in cieca vendetta la sete di giustizia.
Maria Savigni Laureata in giurisprudenza, nel 2016 ha trascorso un semestre all’Università di Cracovia. Si interessa in particolare di diritti delle minoranze, stato di diritto, cultura ebraica, femminismi e movimenti lgbt+ nell’Europa centro-orientale. Di questi e altri temi ha scritto per East Journal e Diritto Consenso.