All’amico carissimo Massimo Ghedalia ben Daniel Pieri z.l., amante del popolo d’Israele, per i percorsi e i progetti che abbiamo condiviso in questo come in altri temi Mino
Parashà di Ki Tetzè
Uno degli argomenti più noti ed ampiamenti discussi di questa parashà è lo “Shillùach ha- ken” – l’invio del nido ”: Se trovi davanti a te, per via, su un albero o per terra, un nido d’uccello con gli uccellini o con le uova, mentre la madre giace sugli uccellini o sulle uova, non prenderai la madre con i figli, lascia andar via la madre e prenditi i figli affinché tu sia felice e prolunghi i tuoi giorni (Deut. 22: 6-7)
La Torà dedica varie mizvoth al rapporto tra l’uomo e gli animali in questa e in altre parashòt. Tra queste, la più simile a questa mizvà per il contenuto, è l’ordine di non macellare nello stesso giorno la madre e il figlio: Il Signore parlò a Mosè dicendo: quando nasce un agnello o un capretto, per sette giorni rimarrà sotto sua madre e dall’ottavo giorno in poi sarà gradito come sacrificio al Signore. Quanto al bue e all’agnello, lui e il suo piccolo non li dovrete scannare nello stesso giorno. (Levitico 22: 26 – 27).
E per le implicazioni che comprende anche la mizvà: … non cucinerai il capretto nel latte della madre (Esodo 34: 26; Esodo 23: 19; Deut. 14: 21).
Come per ogni altra mizvà “strana”, la domanda che viene sollevata è quale sia il motivo di questo comandamento. Ma si possono cercare i motivi per cui sono state date le mizvoth?
In proposito, dopo aver ricordato i motivi di coloro che si oppongono alla ricerca dei motivi, Izhak Heineman scrive nel libro “Ta’amè hamizvoth besifrut Israel” (pag. 11- 13:
“Nonostante ciò (cioè il fatto che le mizvoth vanno accettate come decreto divino), molti dei grandi maestri del nostro popolo hanno considerato questa ricerca non solo come permessa, ma perfino come una mizvà, e ciò facendo essi possono appoggiarsi a importanti motivazioni religiose”
Heineman enumera le mizvoth per le quali la Torà stessa dà le motivazioni e sottolinea che la Torà è sia razionale che irrazionale. La mizvà Shilluach haken (lasciare andare via il nido – cioè la madre) è particolare perché viene detto il premio della mizvà – affinché tu sia felice e prolunghi i tuoi giorni. La stessa motivazione si trova anche nel quinto comandamento:: Onora tuo padre e tua madre “Affinché si prolunghino i tuoi giorni e sarà bene per te” (Deuter. 5: 16).
Qual è il motivo per cui la Torà mostra questo interesse per gli animali? Qual è la relazione tra queste due mizvoth?
1) La Torà è interessata a tutte le attività e i fenomeni che riguardano la società e l’individuo. Nel Deuteronomio, alla vigilia dell’ingresso in Erez Israel, Mosè ha come riferimento quanto promesso ad Abramo: “Osserveranno la strada del Signore per fare diritto e carità” (Genesi 18, 18). Quindi passa in rassegna alcuni degli aspetti più importanti della vita collettiva e individuale: da qui l’interesse per la vita sociale e politica, per il mondo vegetale e animale, le norme per la giustizia, la nomina delle guide del popolo, le regola di proporre la pace prima di dichiarare una guerra e di non distruggere l’ambiente, le norme per il rispetto dei lavoratori, degli animali e della natura.
2) Israele esce dall’Egitto per creare una società nuova e diversa da quella egiziana. La parashà di Ki tetzè si riferisce al mondo reale con tutti i suoi problemi e conflitti: soldati che si innamorano delle donne straniere; padri che preferiscono un figlio rispetto agli altri; figli testardi e ribelli ecc. Una società è composta da giudici e poliziotti, contadini e commercianti, oltre che da studiosi. E’ finito il tempo in cui l’acqua spillava miracolosamente dalle rocce e la manna scendeva dal cielo ed è necessario rimboccarsi le maniche per produrre i beni necessari. Ma nel costruire la nuova società non bisogna dimenticare il proprio passato e per questo non si deve restituire gli schiavi fuggiaschi ai loro padroni e si deve essere grati all’Egitto che ha dato riparo a Israele nel momento di difficoltà. Per realizzare gli ideali insegnati ad Abramo è necessario del tempo: per cambiare una società ci vogliono più generazioni: il precetto fondamentale sarà quello di insegnare norme e valori ai figli e ai nipoti che dovranno trasformare una società reale in una società ideale.
3) In una società normale, oltre agli umani, esistono anche gli animali, e a differenza di quanto sostengono alcuni filosofi, anche gli animali hanno un nefesh – “La persona giusta conosce l’anima (nefesh) del suo animale (Proverbi 12:10) – e non può abusarne a suo piacimento: bisogna fare attenzione a non considerare l’animale pari all’uomo, ma essere consapevoli che sono esseri senzienti. Potrebbero non pensare o parlare, ma certamente sentono e sono capaci di angoscia: preoccuparsi per quanto possibile di non causare dolore agli animali (tza’ar ba’alè chayim) è una mizvà.
Ecco alcuni esempi:
1. Non mettere la museruola a un bue quando sta pestando il grano,e parallelamente per l’uomo troviamo:Quando verrai (a lavorare) nella vigna del tuo prossimo, potrai mangiare tanta uva quanta ne vorrai per saziare la tua fame. Tuttavia, non puoi metterne in un recipiente che potresti avere. Quando vieni (a lavorare) nel campo di grano del tuo prossimo, puoi prendere le spighe con la mano. Tuttavia, non puoi sollevare la falce (a tuo vantaggio) nel campo di grano del tuo prossimo (Deuter. 23:25 – 26 ): il principio è identico in entrambi i casi: è crudele impedire di mangiare una parte del cibo a chi lo sta lavorando. Il parallelo è istruttivo: anche gli animali hanno dei sentimenti e vanno rispettati.
2. Non arare con un bue e un asino insieme: bisogna evitare la crudeltà, il bue è più forte di un asino e chiedere che l’asino faccia il lavoro di un bue è ingiusto. Ma questa norma può essere vista in un contesto più ampio, quello del rispetto della natura: “Non piantare due specie di semi nella tua vigna; se lo farai, non solo i raccolti che pianterai, ma anche il frutto della vigna saranno contaminati. Non arare con un bue e un asino insieme. Non indossare abiti di lana e lino intrecciati insieme (Deut. 9 – 12).
Il principio alla base di tutte e tre le leggi è il rispetto della biodiversità e dell’integrità delle specie. Questo è un buon esempio del fatto che l’ebraismo va inteso come una totalità. Ci sono leggi che riguardano la storia (il ricordo dell’uscita dall’Egitto), ma anche leggi che riguardano la creazione come le leggi sui tessuti misti e sulle specie degli animali:Dio disse. “La terra produca vegetazione: piante che producono seme e alberi sulla terra che portano frutto con seme in essa, secondo le loro varie specie”. E Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche, ciascuno secondo la sua specie». (Genesi 1: 11, 12, 24 – 25).
La creazione è buona quando vengono rispettati i confini tra generi distinti. Riconoscere e accettare la diversità significa attribuire a ciascuno il suo posto e il suo ruolo.
Mandare via la madre e prendere i figli
E arriviamo qui al dettaglio dal quale eravamo partiti: la legge di “mandare via l’uccello madre”:
La legge appare due volte nella Mishnah (Berakhot 5:3, Megillà 4:9) “Chi dice nella sua preghiera “La tua misericordia si estenda (su di noi come per) il nido di un uccello”, deve essere messo a tacere” Il Talmud offre questa spiegaziona: una preghiera del genere “fa sembrare che gli attributi di Dio siano (un’espressione di) misericordia, mentre in realtà sono (soltanto) decreti”. Molto è stato scritto su questa legge.
Maimonide ne parla più volte.
a) Nel suo commento alla Mishnà e nel Mishnè Torah (Tefillah 9:7) afferma: se la ragione per cui mandare via la madre-uccello fosse la misericordia divina verso gli animali, allora, coerentemente, Dio dovrebbe proibire di uccidere gli animali anche per il cibo. La legge deve quindi essere intesa come “un comando non razionale (mitzvah shim’it) che non ha motivo“.
b) Nella Guida degli smarriti (3,48), invece, adotta l’approccio opposto. Maimonide rifiuta l’idea che ci siano comandi che non hanno ragione e, forse basandosi sulla sua esperienza di medico, affermache il consumo di carne è necessario per la salute umana. Ecco perché l’uccisione di determinati animali per il cibo è consentita. La Shechità (macellazione), invece, è stata ordinata perché è il modo più indolore per uccidere un animale (cosa che sarebbe confermata dalle più recenti ricerche scientifiche). Maimonide aggiunge (Guida 3, 17): “È inoltre vietato uccidere nello stesso giorno un animale con i suoi piccoli, per impedire l’uccisione di entrambi insieme, in modo tale che il giovane verrebbe ucciso alla vista della madre, perché il dolore degli animali in tali circostanze è molto grande. Non c’è differenza in questo caso tra il dolore degli esseri umani e il dolore degli altri esseri viventi, poiché l’amore e la tenerezza della madre per i piccoli non è prodotta dal ragionamento, ma dall’immaginazione, e questa facoltà esiste non solo nell’uomo, ma anche nella maggior parte degli esseri viventi. . . lo stesso motivo vale per la legge che impone di lasciar volare via l’uccello madre quando prendiamo i piccoli”. Così Maimonide, contrariamente a quanto affermato nel Mishnè Torà, sostiene che nella logica della legge c’è la misericordia o la compassione, ma ciò che cerca di evitare di infliggere non è il dolore fisico ma psicologico: La maternità ha aspetti molto simili nel mondo animale come in quello umano. Le osservazioni di Maimonide qui anticipano recenti scoperte in socio-biologia.
c) Tuttavia sempre Maimonide afferma che La ragione per cui non dobbiamo causare dolore agli animali non è perché la Torah è preoccupata per gli animali, ma perché è preoccupata per noi. Perché Il Signore non desidera che l’uomo assuma comportamenti crudeli e causare un dolore a un animale se non è strettamente necessario.
Quindi vediamo che Maimonide dà tre diverse spiegazioni a questa norma:
1) è un decreto divino e va osservato senza che ci sia un motivo razionale;
2) ha lo scopo di risparmiare il dolore psicologico all’animale;
3) ha lo scopo di educare l’uomo affinché impari a non essere crudele.
Le tre risposte rispondono a domande diverse e possiamo dire che sono tutte valide. La crudeltà è da evitare per educare l’uomo a non comportarsi in generale con crudeltà.
La strategia per formare una società
Se analizziamo le norme contenute nella Parashà nel loro complesso, ci rendiamo conto che il processo per la formazione di una società formata da persone giuste, oneste e sensibili, necessita di un lungo cammino. Non è il potere che può cambiare nel profondo le persone, ma un processo educativo che passa necessariamente attraverso varie generazioni e l’osservanza di tutte le mizvoth: ogni mizvà ha un rapporto con le altre mizvot e, trascurandone anche una sola, le interconnessioni vengono danneggiate e non svolgono il loro ruolo. Noi non sappiamo quale sia il significato di ogni singola mizvà, ma approfondendole possiamo intuire quali saranno le conseguenze dell’osservanza sul singolo e sulla collettività.
All’interno di questa visione e struttura, il rispetto per gli animali ha un posto significativo: anche gli animali fanno parte della creazione e sono più vicini agli esseri umani di quanto pensassero in passato i filosofi. Ciò che viene scoperto oggi dagli scienziati, era ben noto agli ebrei: i grandi leader del popolo ebraico – Giacobbe, Mosè, Davide – erano pastori e sono stati a contatto continuo con i loro greggi ed erano stati scelti proprio in quanto pastori perché come scrive Davidenei salmi (23:1): “Il Signore è il mio pastore”.
In ogni società ogni individuo ha diritti, ma anche doveri. Gli animali non hanno diritti in quanto non sono agenti morali. Ma l’uomo ha doveri verso gli animali: non può causare loro dolore non necessario, e questo include per la madre-uccello il dolore psicologico.
Le due mizvoth – onora tuo padre e tua madre e lascia andare via la madre-uccello – vengono quindi osservate per uno stesso motivo, in quanto l’amore per i figli è simile nel mondo animale come in quello umano e il rapporto tra figli e genitori è alla base della costruzione di una società. La differenza sta nel fatto che la mizvà di onorare i genitori è considerata tra le più difficili da compiere in maniera perfetta, mentre quella del nido d’uccello è tutto sommato semplice. Ma noi non sappiamo quanto una mizvà possa influenzare il nostro comportamento e il nostro carattere. Pertanto i Maestri affermano che dobbiamo porre la stessa attenzione nell’osservare una mizvà difficile e complessa e una mizvà semplice.
In sintesi:
a) ferma restando l’obbligatorietà della mizvà, possiamo osservarla sia sul piano razionale che su quello irrazionale, perché altrimenti, sostituendoci a Chi ha dato questa legge, cadremmo nel divieto di idolatrare noi stessi;
b) anziché indagare sui motivi per cui è stata data una mizvà, dovremmo cercare di capire quali sono gli effetti che ha l’osservanza di un comandamento sulla società e sull’uomo: in ogni caso anche se non saremmo sempre in grado di capire il motivo di singole mizvot, potremmo valutare gli effetti che esse hanno, perché in fondo è questo che in ogni caso le rende importanti e preziose.
Elishà ben Abuyà e Rabbi Akivà
Non possiamo però terminare l’analisi di questa mizvà senza ricordare quanto narrato a proposito dell’esperienza di Elishà ben Abuyà (maestro di Rabbi Meir) e della sua decisione di abbandonare la Torà.
Cos’è che lo indusse ad allontanarsi dalla Torà? Lui era stato testimone di un evento che lo aveva scioccato: un padre ordina al figlio di salire su un albero sul quale c’era un nido per lasciare andare via la madre e prendere i piccoli. Il bambino osserva l’ordine del padre, ma quando scende viene morso da un serpente e muore. Questo episodio lo indusse a mettere in dubbio le promesse all’osservanza di entrambe le mizvoth e di tutta la Torà (Haghigà 15a). Infatti per entrambe le mizvot dovrebbe essere prevista una lunga vita, cosa contraddetta da quanto ha visto, e decide di abbandonare la Torà: per questo motivo Elishà sarà chiamato Achèr, l’altro, per essere diventata un’altra persona.
Ma chi era il nostro personaggio? I genitori di Elishà ben Abuyà lo avevano mandato a studiare Torà dopo aver visto che Rabbi Yehoshua e Rabbi Eli’ezer avevano ricevuto onori celesti eccezionali per il livello di Torà cui erano arrivati. L’errore di Elisha ben Abuyà è di avere interpretato la mizvà come strumento per ottenere un qualche vantaggio o onore, mentre come dicono i Maestri “le mizvot sono state date per purificare con esse l’uomo” (Tanchumà, Tazria’ 5). Come dice Antigonos uomo di Sochò “non siate come i servi che servono il proprio padrone per ricevere un premio” (Avot I, 3)”. Il rispetto della vita dell’animale non va condizionato al vantaggio che può derivare al singolo uomo, ma all’influenza che può avere nel modificare il carattere degli uomini e della collettività. L’osservanza di una mizvà shelò lishmà (non in quanto mitzvà, ma come strumento) non è l’ideale, anche se comunque viene raggiunto l’effetto voluto.
Vale la pena ricordare in contrapposizione con quanto narrato di Elishà ben Abuyà, come reagì Rabbi ‘Akivà in una situazione in cui aveva buoni motivi per mettere in discussione la giustizia divina. Torturato a morte dai romani, era l’ora della lettura dello Shemà, e gli allievi gli chiedono se bisogna accettare il giogo delle mizvot fino a questo punto.
Rabbi ‘Akiva risponde: Per tutta la vita mi addolorava il versetto “ amerai il tuo Signore con tutta la tua persona (nafshechà). E ora che ho l’opportunità di metterlo in pratica non dovrei applicarlo? E così mentre dice la parola “Echad” esala l’ultimo respiro.
Lishmà o lo Lishmà: questo il dilemma. Ma come dicono i Maestri “Mitoch shelò lishmà ba lishmà”: facendo una mizvà non per l’essenza per cui è stata data, si arriva a farla per raggiungere la sua essenza.
Scialom Bahbout
Moshe ben Maimon, più noto col nome di Mosè Maimònide (in ebraico: משה בן מימוּן, Mōsheh ben Maymōn; Cordova, 30 marzo 1135 – Il Cairo, 12 dicembre 1204), è stato un filosofo, rabbino, medico, talmudista, giurista spagnolo, una delle personalità di spicco dell’Andalusia sotto il dominio arabo, tra i più importanti pensatori nella storia dell’ebraismo. Conosciuto anche con l’acronimo di Rambam (RaMBaM, in ebraico: הרמב”ם, ovvero Rabbī Mōsheh ben Maymōn), Mosè Maimonide divenne, grazie al suo enorme lavoro di analisi del Talmud e sistematizzazione dell’Halakhah, il rabbino e filosofo ebreo di maggior prestigio ed influenza del Medioevo; le sue opere di diritto ebraico vengono ancora oggi ritenute le migliori, e sono, insieme al commentario di Rashi, un caposaldo indispensabile della letteratura rabbinica. Le sue opere più note sono il Mishnè Torà o Yad hahazakà, tutta la legge ebraica in 14 volumi, che comprende anche le norme sul Santuario e sui sacrifici. Criticato per questa scelta che in pratica poteva produrre un allontanamento dallo studio del Talmud. L’altro libro importante è Il Morè nevuchim (Guida degli smarriti) scritto in arabo e tradotto poi in ebraico: una guida ai vari problemi filosofici che mergono dalla Torà. Ha scritto i 13 articoli di fede dell’ebraismo. Ha scritto testi sulla medicina, Responsa e molti altri libri.
Izchak Heineman (Francoforte 1957 – Gerusalemme 1957). Ha studiato e insegnato nelle università e nei seminari per la formazione di insegnanti letteratura ebraica ellenistica (I testi di Filone), ha tradotto scritti di S.R. Hirsch . Vincitore del Premio Israele 1955. Tra i suoi libri: I motivi delle mizvoth nella letteratura ebraica (ultima edizione 1974) e I metodi della Agadà (Darkhè Haagadà)