Jonathan Pacifici, che da anni scrive e diffonde via email una commento alla parashà settimanale, reagisce stizzito alla lettura della Meghillà delle donne (Kolot del 24/6/09).
Caro David,
ho letto l’articolo di Daniela Fubini e Miriam Camerini sulla Meghillà delle donne. Non tedierò i lettori della tua newsletter con le inesattezze riportate nè con il pilpul halachico. L’ho fatto per gli ultimi tre anni ed evidentemente non è servito a gran che. Perché ti scrivo allora?
Per lamentare la cultura del reality che ci attanaglia. Perché il protagonismo a tutti i costi che è dietro questa storia, ormai ci impedisce di vedere persino quelle cose che una volta erano così chiare. Il fatto è, che l’halachà non è un reality nel quale chi vuole si improvvisa e che una brillante lezione di Rav Benny Lau (che i tre quarti dei presenti non ha capito) non trasforma gli ascoltatori in un Sinedrio che dopo venti minuti di lezione si sceglie la regola a propria immagine e somiglianza.
Una comunità dovrebbe avere un proprio Maestro e non chiedere ad hoc ad un Rav di cui già si conosce l’opinione scegliendolo in base all’opinione stessa. Ma è più comodo ad alcuni, ed a questo punto soprattuto ad alcune, che il Rav della Comunità non ci sia. Così possono raccogliere su internet un articolo di Yediot che parla per sentito dire di una derashà di Rav Ovadia e decidere da soli. Ma la halachà non si fa con i ritagli di giornale. Volete Rav Ovadia? Andate a chiedere a Lui allora, che ne pensa di un minian di donne a priori!
Vogliamo parlare del fatto che per alcuni Maestri una donna non fa uscire affatto d’obbligo altre donne? Ma certo che altri dicono il contrario! Ci sono opinioni per tutti i gusti. Ma il punto è proprio questo: chi sono io per decidere? Sulle domande di Halachà, sulle controversie, è il Marà DeAtra, il Signore del Luogo, che si deve pronunciare.
Siamo gelosi custodi di una tradizione unica in seno ad Israele, con incredibile perseveranza continuiamo a leggere pjutim che nessuno più capisce (e per chiarezza sono tra coloro che questa tradizione la difendono con i denti!) e poi siamo pronti ad introdurre con cotanta leggerezza un fenomeno che non è affatto nel consenso dell’ortodossia?
Che peso ha il fatto che alcune delle promotrici preghino regolarmente a Shirà Chadashà, il Tempio riformista che ha la chuzpà di chiamarsi ortodosso?
Eccomi qui. Ero contrario il primo anno, il secondo ed il terzo e così ho votato in Commissione Tempio. Non ho cambiato opinione come tutti gli alrti membri dopo la farsa di ‘chi vuole essere rabbino’. Non ho i titoli nè la competenza per pronunciarmi su una machloket che divide oggi Rav Ovadia shlita e Rav Mordechai Elyau shlita.
Sono stato accusato in maniera vile, sono state scritte cose su di me, che spero di avere la forza di dimenticare prima del prossimo Yom Kippur. Se qualcuno si fosse preso la briga di leggere le cose che ho scritto in questi anni su Torah.it capirebbe che le mie opinioni sul ruolo della donna nell’ortodossia, sono molto più moderne di tanti che ho visto fare tifo da stadio su una sughià, ancora non hanno nemmeno capito.
Volete innovazioni? Volete rivedere il ruolo delle Signore? A me sta benissimo.
Scegliamoci un Rabbino Capo per la nostra comunità e che sia lui a decidere.
Io al gioco dei dilettanti allo sbaraglio non ci sto.
Jonathan Pacifici
Il sito di Jonathan Pacifici: http://www.torah.it/
Sul tempio ortodosso egualitario Shirà Chadashà: http://en.wikipedia.org/wiki/Shira_Hadasha