Gheula Canarutto Nemni
Al direttore – All’inizio D-o creò il cielo e la terra… Bereshit barà Elokim et hashamaim veet haaretz. All’inizio D-o creò il cielo e la terra. La Torà non inizia con la prima mitzvà, constata Rabbi ltzchak nello Zohar. La Torah inizia ricordando Chi ha creato il cielo e la terra. Se un giorno verranno le nazioni del mondo e diranno al popolo di Israele “Siete dei ladri, avete conquistato le terre delle sette nazioni” gli ebrei potranno rispondere “tutta la terra è di D-o, che t’ha creata e la dà a chi ritiene giusto”. (Rashì Genesi 1:1).
“Non ci si può basare sul tema della Terra promessa per giustificare il ritorno degli ebrei in Israele… il Nuovo Testamento ha superato il Vecchio… Per noi cristiani non si può più parlare di terra promessa al popolo giudeo”. Così proclama il 23 ottobre 2010 il sinodo vaticano sul Medio Oriente. Un sinodo convinto che la soluzione per la pace in quell’area bollente passi attraverso una macchina del tempo. Che riporti il mondo agli anni in cui gli ebrei venivano chiamati giudei, in cui se non credevi che il nuovo testamento avesse superato il vecchio venivi bruciato sul rogo. Un sinodo incurante dei principi della fede ebraica, indifferente a 3.323 anni di Torà in cui D-o promette che la terra di Israele apparterrà sempre al popolo ebraico.
Gli ebrei non sono ritornati in Israele. Gli ebrei ci sono sempre stati. Mettendo a repentaglio le proprie vite, rinunciando alle comodità delle proprie case europee. Secoli di immigrazione ebraica nella terra dei propri avi, a difendere i luoghi sacri e le pietre millenarie. Una presenza ininterrotta per garantire un’identità ebraica e radici ebraiche, in una terra ebraica.
Ma essere ebrei per il sinodo è superato. Dal Nuovo testamento. E il 23 ottobre lancia un appello ai cristiani del Medio Oriente “Non vendete le vostre terre, anzi compratene nuove. Perché da quelle parti, la terra è tutto: identità, radici, garanzia di una presenza” I cristiani posseggono il diritto di comprare terre nuove. Gli ebrei non osino invece mantenere quelle di loro proprietà.
Il binomio terra-identità sembra una prerogativa da Nuovo testamento. E non spetta a quella nazione ebraica che portava i propri sacrifici a Gerusalemme 2.843 anni fa. Lo garanzia di una presenza è necessaria per i cristiani in medio oriente. E non per i discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe i quali, senza alcuna interruzione hanno risieduto nella terra dei propri avi difendendola con il proprio sangue. Nulla di nuovo sul fronte che divide il popolo ebraico dal resto dei mondo.
Rabbì Itzchak lo anticipò, Rashì lo riportò, il sinodo ce lo rammentò. E come ebrei, non possiamo esimerci dal nostro dovere morale. Siamo un popolo riconoscente. E desideriamo ringraziare i prelati e il Papa per avere pronunciato inconsapevoli le parole profetiche dei nostri maestri. Insegnamenti universali che hanno posto le basi per un vero rispetto, una reale accoglienza, una sincera integrazione dello straniero. Fino a farlo sedere nel Parlamento israeliano seppure accomunato dalla stessa fede del nemico. Di Bibbia utilizzata “a giustificazione delle ingiustizie” come il sinodo sostiene, non ce n’è traccia.
Il Foglio 26.10.2010