Giorgio Gomel
Una evidente convergenza di interessi fra il governo di Israele e Fini ha motivato il viaggio di quest’ultimo e l’accoglienza generosa da parte di Sharon. Israele è in una condizione molto difficile. L’opinione pubblica è smarrita, oppressa da uno stato di insicurezza fisica e psicologica per il perdurare dell’offensiva terroristica, che rinnova la condizione ebraica di angoscia, sradicamento e solitudine. Il collasso del turismo, la crisi economica, la sensazione di isolamento crescente alimentano una ricerca ansiosa di governi amici, alleati, in Occidente, in Europa, ovunque. Quello italiano, vantato a ogni pie’ sospinto da un ambasciatore che forse con un attivismo eccessivo per un diplomatico di mestiere esalta le affinità fra i due governi, è diventato, nella visione ufficiale di Israele, il governo più vicino e amico; nel semestre di presidenza della UE l’Italia ha difeso in Europa le ragioni di Israele su questioni come l’inclusione di Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche da bandire o la costruzione del muro, benché il tracciato dello stesso muro non percorra la Linea Verde ma penetri a fondo nei territori palestinesi espropriando terre e separando gli abitanti palestinesi dai loro mezzi di sostegno economico.
Vi sono poi oggettive somiglianze, pur con le differenze profonde di formazione e di storia, tra partiti – il Likud del premier Sharon e AN – che si nutrono dei valori dell’identità nazionale, del culto della forza e dell’autorità dello stato, nonché delle pulsioni di ceti piccolo-borghesi carichi di risentimento e di astio sociale.
Gli atti e proclami politici di AN in questi anni si sono mossi indubbiamente in una direzione positiva. Dalle dichiarazioni auto-assolutorie del Convegno di Fiuggi del 1994 a quelle grossolanamente riduttive di Bologna che definivano le leggi razziali un “tragico errore”, era mancato il ripudio fermo ed esplicito del fascismo, come regime razzista e totalitario. Ma l’anno scorso nella giornata del 25 aprile Fini ha dichiarato di riconoscersi a pieno nei “valori di libertà e democrazia celebrati il 25 aprile”, quelli della Resistenza al fascismo e ispiratori della Costituzione. Da ultimo, la proposta di voto amministrativo agli immigrati è meritoria.
Il percorso “revisionistico” in senso democratico di AN verso un’identità di destra moderata, moderna ed europea è dunque compiuto?
Ritengo di no. Come affermava Amos Luzzatto in una intervista dell’aprile 2002 e di nuovo con accenti analoghi nel recente colloquio con Fini riportato da La Repubblica, “Fini deve fare i conti con militanti che non vogliono rompere con la tradizione … Anche di fronte a fatti gravi, non mi risultano espulsioni dal partito … Fini ha sempre considerato Almirante, già segretario di redazione de “La difesa della razza” il suo maestro, il suo punto di riferimento…”
Nella periferia di AN, negli enti locali dove AN governa, resta un’ambigua continuità con l’eredità neofascista del MSI; impera un revanscismo nostalgico che prende la forma delle commemorazioni patriottiche, che degenerano nella celebrazione degli anni di Salò, delle targhe o dei nomi di strade e di scuole dedicate a gerarchi del regime di Mussolini. Rimozione della storia, banalizzazione degli orrori dello sterminio degli ebrei, oblio mascherato da volontà di “pacificazione” e di “ricnciliazione” tra eredi del fascismo e dell’antifascismo si confondono abilmente.
Il viaggio di Fini in Israele è ormai cosa fatta, malgrado le perplessità di non pochi ebrei italiani e l’opposizione degli israeliani di origine italiana che rifiutano di incontrarlo. Lo ha deciso alla fine, sulla base di sue autonome e legittime considerazioni, il governo di Israele. Non ritengo che sia nostro compito, in quanto ebrei italiani, parteciparvi o sostenerlo.
L’essere accolti in Israele costituisce per Fini e gli uomini di AN la legittimazione internazionale che da tempo inseguono, che si affiancherà a quella nazionale. In Europa essa è ancora parziale: lo testimonia il fatto che il Partito popolare europeo – federazione di partiti democratico-cristiani e conservatori di destra – rifiuta di accettarli nel suo grembo. Quanto agli Stati Uniti, nella concezione rozza e dal fondo antiebraico dei postfascisti nostrani, il viaggio in Israele sarebbe il viatico perfetto per quel paese per via dell’influenza che essi ritengono predominante degli ebrei americani nella società, nella cultura, nella politica di quel paese. Ironicamente, è una variante edulcorata dei “Protocolli dei Savi di Sion” – il mito antisemita del potere ebraico nel mondo.