Nella parashà è scritto: “L’Eterno parlo con Moshè e gli disse: Parla ai figli d’Israele e dirai a loro: Quando sarete entrati nel paese che vi do e ne mieterete il suo raccolto, dovrete portare al kohèn la misura di un ‘omer della prima mietitura. Il kohèn lo presenterà nel modo prescritto [nel Bet Ha–Mikdàsh] davanti all’Eterno affinché vi renda graditi; lo farà nel giorno successivo al Yom Tov” (Vaykrà, 23: 9-11).
Questo ‘omer era una misura che proveniva dal primo raccolto di orzo. Si trattava quindi di un’offerta farinacea (korbàn minchà) da portare nel secondo giorno di Pèsach. Da questa misura di orzo veniva prodotta della farina raffinata tredici volte. Sulla farina veniva versata una misura di un log di olio d’oliva e vi si metteva sopra dell’olibano (levonà).
L’autore catalano del Sèfer ha-Chinùkh (Barcellona, XIII sec. E.V.), che elenca tutte le 613 mitzvòt della Torà, spiega quale sia il motivo (shòresh, lett. radice) di questa mitzvà. L’offerta del ‘omer serve a farci meditare sulla grande benevolenza del Creatore che ogni anno fa sì che vi sia un nuovo raccolto. È quindi appropriato che la collettività d’Israele presenti questa offerta dal primo raccolto [in segno di gratitudine]. Questa mitzvà va osservata nel secondo giorno di Pèsach e non nel primo, per non sovrapporre due occasione felici. Infatti il primo giorno di Pèsach viene per ricordare il grande miracolo che il Santo Benedetto ha fatto con noi con la liberazione dall’Egitto.
La mietitura del ’omer veniva fatta nella notte che seguiva il primo giorno di Pèsach, possibilmente nei campi vicini a Gerusalemme. A questa mietitura accorrevano gli abitanti della cittadine vicine. Fino al giorno della mietitura del ’omer non era permesso mangiare dal nuovo raccolto.
Dopo la mitzvà della mietitura del ’omer segue quella di contare sette settimane, iniziando il conteggio dal giorno in cui viene mietuto lo ’omer, cioè il secondo giorno di Pèsach. Nella parashà è scritto: “A cominciare dal giorno successivo allo Yom Tov, dal giorno cioè in cui porterete lo ’omer che deve essere presentato [nel Bet ha–Mikdàsh], conterete sette settimane complete. Fino al giorno successivo alla settima settimana conterete cinquanta giorni e presenterete un’offerta farinacea di prodotti nuovi in onore dell’Eterno” (ibid., 15-16). Questo giorno successivo è il giorno della festa di Shavu’ot, nel quel bisognava portare un’offerta farinacea di frumento.
Questo conteggio si chiama “conteggio del ’omer” perché, come scritto nella Torà, ha inizio nel giorno della mietitura del ’omer. Non ha però nulla a che fare con l’offerta del ‘omer.
L’autore del Sèfer Ha-Chinùkh spiega che si contano questi giorni fino a Shavu’ot, il giorno in cui ci fu data la Torà al Sinai, perché la Torà è il fondamento di Israele e l’Eterno ci fece uscire dall’Egitto allo scopo di ricevere e osservare la Torà. E dobbiamo contare dal giorno successivo all’uscita dall’Egitto fino al giorno in cui ricevemmo la Torà per mostrare il nostro desiderio di arrivare a quel gran giorno. Nel contare questi giorni si devono contare sia i giorni sia le settimane. E nel contare, diciamo che contiamo dal giorno in cui viene portata l’offerta farinacea del ’omer e non dal secondo giorno di Pèsach, per essere precisi ed indicare quello che avviene nel giorno in cui si inizia il conteggio. Si tratta quindi di due mitzvòt diverse anche se in entrambe appare il nome ‘omer. Nel libro delle tefillòt della comunità di Milano, per indicare che la prima consonante della parola ‘omer è la lettera ‘ayn, è usato il suono “gn” come nella parola “ragno”. È quindi scritto: “Sefirath Agnomer”. Così in Italia si usava pronunciava la lettera ‘ayn.